Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8691 del 08/05/2020

Cassazione civile sez. I, 08/05/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 08/05/2020), n.8691

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3806/2019 proposto da:

I.P., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Dei Consoli,

62 presso lo studio dell’avvocato Inghilleri Enrica che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Paolinelli Lucia,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2924/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/01/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 13.6.2018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di I.P., cittadino della (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le sue dichiarazioni state ritenute attendibili (costui aveva riferito di essere fuggito dalla (OMISSIS) per sottrarsi alle minacce della setta degli (OMISSIS), alla quale aveva rifiutato di aderire a seguito della morte del proprio padre, già componente di tale setta).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione I.P.A. affidandolo ad un unico articolato motivo.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. E’ stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, artt. 11 e 32 nonchè il vizio di motivazione, dell’art. 5 comma 6 artt. 2 e 3 CEDU e vizio di motivazione.

Lamenta, in primo luogo, il ricorrente l’erroneità, la genericità e l’insufficienza della motivazione, contestando la valutazione di non credibilità effettuata dalla Corte d’Appello con riferimento al suo racconto.

In ordine alla sua storia personale, il ricorrente ha depositato alcuni documenti a sostegno della vicenda riferita che ha dedotto aver ottenuto solo dopo la sentenza di secondo grado.

Il ricorrente ha, inoltre, contestato la valutazione effettuata dalla Corte d’Appello in ordine alla ritenuta insussistenza della situazione di violenza generalizzata nella sua zona di provenienza, rilevando che lo stesso giudice di merito non ha acquisito le necessarie informazioni in ordine alla medesima e ed esponendo che il nostro legislatore non aveva recepito l’art. 8 direttiva 2011/95/UE in ordine alla possibilità del richiedente di far rientro e stabilirsi nella zona meno pericolosa del paese di provenienza.

Infine, il ricorrente ha lamentato il mancato riconoscimento della protezione umanitaria la lesione dei diritti fondamentali (alla vita e incolumità e alla salute) in (OMISSIS).

2. Il ricorso è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Milano ha valutato le dichiarazioni del ricorrente tenendo ben presenti i parametri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 essendo state specificamente indicate le ragioni della ritenuta non plausibilità e coerenza del suo racconto, da rinvenirsi nella descrizione del funerale del padre, nella pretesa dei cultisti di adesione alla loro setta per via ereditaria, nella comunicazione del rifiuto del ricorrente di aderire alla setta per il tramite della madre nonostante le asserite minacce già rivolte a quest’ultima dalla stessa setta, nella confusione sulla data di morte della madre e sulle relative cause, ricondotte sic et simpliciter a qualche rito dei cultisti.

Il ricorrente ha genericamente contestato la valutazione di credibilità del ricorrente effettuata dal giudice di merito, non confrontandosi minimamente con le argomentazioni del provvedimento impugnato e non allegando eventuali gravi anomalie motivazionali del provvedimento impugnato (nei termini sopra illustrati dalla giurisprudenza di questa Corte), che sono le uniche attualmente denunciabili nei ristretti limiti consentiti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Inoltre, il ricorrente, con l’apparente censura della violazione da parte del Tribunale di norme di legge, ovvero il D.Lgs. n. 251 del 2007, l’art. 3 comma 5 e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 ha, in realtà, svolto delle censure di merito, in quanto finalizzate a prospettare una diversa lettura delle sue dichiarazioni.

Proprio la valutazione di non credibilità e verosimiglianza del racconto del richiedente ha indotto i giudici di merito ha ritenere coerentemente l’insussistenza delle fattispecie di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

In ordine alla richiesta protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) legge cit., va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato, alla luce di fonti internazionali autorevoli, come le pubblicazioni dell’UNHCR ed il sito internet del Ministero degli Esteri italiano, l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel (OMISSIS) della (OMISSIS) (essendo l’attività terroristica del (OMISSIS) concentrata nella zona nord-est) ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure sul punto del ricorrente si configurano come di merito in quanto finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito.

Peraltro, sono indiscutibilmente inammissibili i nuovi documenti (asseritamente recentemente rinvenuti) depositati dal ricorrente con il ricorso per cassazione, atteso che, a norma dell’art. 372 c.p.c., non è ammesso in sede del giudizio di legittimità il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo.

Inoltre, inconferente è il richiamo del ricorrente all’art. 8 della direttiva 2004/83/CE (quanto dedotto dal ricorrente si trova in tale direttiva).

Il ragionamento svolto dal ricorrente avrebbe un fondamento ove fosse stato accertato che nella parte di territorio del paese di origine da cui lo stesso proviene vi fosse un pericolo concreto di “grave danno” alla persona ed il giudice di merito gli avesse negato la protezione sul rilievo che il richiedente avrebbe potuto trasferirsi in altra parte del suo Stato più sicura.

In realtà, nel caso di specie, è stato accertato che la sua regione di provenienza non presenta i paventati pericoli.

In proposito, anche recentemente questa Corte ha statuito che, in tema di protezione internazionale, il riconoscimento dello “status” di rifugiato politico va escluso nell’ipotesi in cui il pericolo di persecuzione non sussista nella parte di territorio del paese di origine dalla quale proviene il richiedente, essendo tale ipotesi diversa da quella prevista dall’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, non recepita nel nostro ordinamento, in cui il pericolo di persecuzione sussista nel territorio di provenienza, ma potrebbe tuttavia essere evitato con il trasferimento in altra parte del territorio del medesimo paese in cui tale pericolo non sussiste (Cass. n. 28433 del 07/11/2018).

Infine, il ricorso è inammissibile anche con riferimento alla richiesta protezione umanitaria.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente nulla ha allegato con riferimento alla dedotta violazione dei diritti umani in Bangladesh se non facendo riferimento alla sua vicenda personale ritenuta, tuttavia, non attendibile dalla Corte di Appello.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020

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