Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8689 del 08/05/2020

Cassazione civile sez. I, 08/05/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 08/05/2020), n.8689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3697/2019 proposto da:

R.A., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppina Marciano,

giusta procura speciale in calce al ricorso, domiciliato presso la

Cancelleria della I sezione Civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5270/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/01/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 28.11.2018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di R.A., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non sussistendo la gravità del pericolo, in caso rientro in patria, così come paventato dallo stesso richiedente (costui, di religione (OMISSIS), aveva riferito di essere fuggito dal (OMISSIS) per il timore di essere arrestato in quanto accusato della morte della propria ragazza, di religione cattolica, dai fratelli di quest’ultima, in realtà, veri responsabili, seppur accidentalmente, del decesso della sorella).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione R.A. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione degli artt. 6 e 13 Convenzione EDU, art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 46 della direttiva 2013/32 in riferimento alla effettiva situazione sociale, politica ed economica e alla pericolosità interna del (OMISSIS), zona di provenienza del ricorrente.

Lamenta il ricorrente il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

2. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato, alla luce di fonti internazionali qualificate (come report di Amnesty International 2017/2018, sito del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, sito del Ministero egli Esteri) l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel (OMISSIS) ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente sul punto si configurino come di merito, e, come tali inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.

3. Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia, in relazione al diniego della richiesta protezione umanitaria.

Lamenta il ricorrente che la condizione di vulnerabilità richiesta per il riconoscimento del permesso umanitario può derivare da una lesione del diritto alla salute o all’impoverimento radicale riguardante la carenza di beni di prima necessità.

4. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente si è limitato ad elencare alcune fattispecie nelle quali è configurabile la condizione di vulnerabilità, ma senza neppure aver allegato il ricorrere delle medesime con riferimento alla sua condizione personale, di talchè le sue censure si appalesano estremamente generiche.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia.

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello non ha in alcun modo esaminato la documentazione dallo stesso prodotta, e segnatamente i documenti n. 17 e 18, che riguardano la sua vicenda personale, documenti che, ove esaminati, avrebbe portato ad una pronuncia favorevole.

Lamenta, altresì, il ricorrente che i giudici di merito hanno omesso di comparare la sua situazione individuale con quella vissuta prima della partenza in modo tale da verificare l’incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali, tenuto conto che ha fornito prova del proprio positivo inserimento e radicamento del tessuto economico-sociale dello Stato italiano.

6. Il motivo è inammissibile.

Va, in primo luogo, osservato che il ricorrente non ha colto la ratio decidendi del provvedimento impugnato. Infatti, la Corte di merito non ha dubitato della veridicità della vicenda narrata dal ricorrente, ma ha evidenziato che, tenuto conto che lo stesso ricorrente era ritornato volontariamente in patria nel 2018 (come dal timbro risultante dal suo passaporto), non sussisteva la gravità del pericolo, in caso rientro in patria, così come dallo stesso paventato.

In ordine al dedotto omesso esame comparativo dei due contesti di vita, va osservato che la Corte di merito, viceversa, con una valutazione in fatto non sindacabile in sede di legittimità, tale giudizio comparativo l’ha, in realtà, compiuto, ritenendo che l’eventuale rientro in patria non comporterebbe uno sradicamento da un nuovo contesto sociale, nel quale il ricorrente non si è compiutamente inserito, avendo invece mantenuto i contatti nel paese d’origine.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero costituito in giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020

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