Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8686 del 08/05/2020

Cassazione civile sez. I, 08/05/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 08/05/2020), n.8686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3297/2019 proposto da:

A.W., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico n. 38,

presso lo studio dell’avvocato Lanzilao Marco che lo rappresenta e

difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4931/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/01/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 15.112018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di A.W., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le sue dichiarazioni state ritenute credibili (costui aveva riferito di essere fuggito dal Pakistan per il timore di essere ucciso dal suo datore di lavoro – che era anche il capo del suo villaggio – per conto del quale aveva effettuato numero trasporti di droga, in relazione ai quali era stato più volte arrestato e poi liberato grazie sempre all’intervento del suo datore di lavoro).

Al richiedente è stata inoltre negata la protezione sussidiaria, essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata nella sua zona di provenienza (Edo State nel sud della Nigeria).

Il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari per carenza di una condizione di vulnerabilità.

Ha proposto ricorso per cassazione A.W. affidandolo a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti relativo alla situazione di pericolosità e violenza generalizzata in Pakistan, nonchè l’omessa consultazione e valutazione delle fonti informative.

Il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello ha ritenuto che la situazione di violenza generalizzata e di conflitto all’interno del Pakistan non sia più attuale senza neppure citare alcuna fonte al riguardo e valutarla.

2. Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso/errato esame delle dichiarazioni del ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni in giudizio ai fini della valutazione della condizione personale del ricorrente.

3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs n. 251 del 2007, art. 14, l’omesso esame delle fonti informative, l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost..

5. Il primo ed il terzo motivo, da esaminare unitariamente, avendo entrambi ad oggetto la mancata indicazione delle fonti informative, sono fondati.

Va preliminarmente osservato che secondo una costante giurisprudenza di questa Corte – che questo Collegio condivide e fa propria – ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 28990 del 12/11/2018; Cass. n. 17075 del 28/06/2018; n. 17069 del 28/06/2018; n. 9427 del 17/04/2018).

Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e quindi “… alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa”.

In proposito, questa Corte ha già più volte statuito sul punto che il riferimento operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle “fonti informative privilegiate” deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449/2019, vedi anche Cass. n. 13897/2019).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Milano, dopo aver essa stessa premesso che nell’anno (OMISSIS) gli episodi di violenza ad opera di gruppi estremistici islamici si erano intensificati su tutto il territorio nazionale del Pakistan nei confronti delle istituzioni, con diretto coinvolgimento della popolazione civile, ha apoditticamente affermato che “tale situazione generalizzata di conflitto all’interno del paese” (che quindi per il passato ha ritenuto sussistente) non era più attuale, non indicando in alcun modo la fonte internazionale cui ha fatto riferimento per escludere la situazione di violenza indiscriminata già ritenuta in essere, non consentendo così la verifica dell’attendibilità e della pertinenza dell’informazione utilizzata e, conseguentemente, la sua effettiva provenienza da fonti autorevoli ed aggiornate.

Nè, peraltro, rileva il riferimento effettuato dalla Corte di merito all’assenza di dati univoci circa l’effettiva zona di provenienza del richiedente asilo (si contestava al ricorrente che innanzi alla Commissione aveva indicato quale luogo di nascita una località del Punjab, mentre in sede giurisdizionale aveva riferito di provenire dal Kashmir): avendo proprio la Corte d’appello di Milano (prima di ritenere apoditticamente la situazione non più attuale), evidenziato che la situazione di violenza generalizzata, provocata dai gruppi terroristici islamici, e con diretto coinvolgimento della popolazione civile, riguardava indistintamente tutto il territorio nazionale, ne consegue che, in tale prospettiva, non aveva più rilevanza da quale regione del Pakistan provenisse il ricorrente.

4. Il secondo motivo è assorbito.

5. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 298 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonchè l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost..

5. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato, con riferimento alla richiesta d’asilo ex art. 10 Cost., che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, questo diritto ha trovato piena attuazione attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 e del D.Lgs.n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 (Cass. n. 16362 del 04/08/2016).

Con riferimento alla richiesta protezione umanitaria, va osservato che il ricorrente ha genericamente dedotto la compromissione del diritto alla salute e all’alimentazione nel paese d’origine senza minimamente correlarla alla sua condizione personale.

Deve quindi cassarsi la sentenza impugnata limitatamente al primo ed al terzo motivo, assorbito il secondo, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il terzo motivo, assorbito il secondo ed inammissibile il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020

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