Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8683 del 08/05/2020

Cassazione civile sez. I, 08/05/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 08/05/2020), n.8683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2170/2019 proposto da:

S.D.D.P., rappresentato e difeso dall’avv. Anna

Proserpio, giusta procura speciale in calce al ricorso, domiciliato

presso la Cancelleria della Prima Sezione Civile della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2909/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/01/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 12.6.2018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di S.D., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stata, in primo luogo, rigettata la domanda per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, in relazione alla ritenuta non credibilità del suo racconto e difettando, comunque, la prova di una persecuzione personale e diretta ai sensi della Convenzione di Ginevra (il richiedente aveva riferito di non voler far ritorno in Senegal per il timore di subire ritorsioni da parte della autorità del suo paese per aver avuto un rapporto sessuale con un uomo per motivi di denaro – comportamento considerato reato punito con una pena detentiva – pur non essendo omosessuale).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, la Corte d’Appello di Milano ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato altresì ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione S.D. affidandolo a due motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. E’ stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7,8 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 26, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 3 CEDU, nonchè l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla protezione umanitaria.

Contesta, in primo luogo, il ricorrente la valutazione di non credibilità del suo racconto, fondandosi tale giudizio su una valutazione del tutto parziale delle dichiarazioni dal medesimo rilasciate.

Espone, inoltre, il ricorrente che la circostanza che il Senegal sanzioni con una pena detentiva il compimento di atti omosessuali costituisce un atto di persecuzione. In particolare, la previsione di una sanzione penale per gli atti omosessuali costituisce una violazione del diritto fondamentale di vivere liberamente il proprio orientamento sessuale.

Appare quindi fondato timore del ricorrente di persecuzione nel paese d’origine a causa del suo comportamento sessuale, con conseguente necessità di riconoscere allo stesso lo status di rifugiato.

In subordine, il ricorrente ha chiesto il riconoscimento della protezione sussidiaria a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in ragione del fondato timore di subire un danno grave e, segnatamente, il rischio di incarcerazione in patria per l’atto sessuale compiuto e comunque trattamenti inumani e degradanti.

In ulteriore subordine, il ricorrente ha rivendicato il diritto al riconoscimento della protezione umanitaria in virtù della sua condizione di vulnerabilità.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 4 e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27.

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello si è astenuta dal compiere le verifiche istruttorie richieste dalla legge nell’esame delle domande di protezione internazionale.

3. Entrambi i motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate sono inammissibili.

Va preliminarmente osservato che, in ordine alla domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, la Corte d’Appello ha rigettato il gravame sulla base di due autonome rationes decidendi, avendo ritenuto, da un lato, la mancanza di credibilità dell’intera vicenda narrata dal richiedente, e, dall’altro, che comunque l’atto sessuale asseritamente posto in essere dal medesimo apparterrebbe alla sfera privata, avendo egli stesso affermato di non essere omosessuale.

Orbene, le censure svolte dal ricorrente sulla prima ratio decidendi (non credibilità del narrato) si appalesano inammissibili.

In proposito, va osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, il ricorrente ha solo genericamente contestato la valutazione di non credibilità effettuata dal giudice di merito, non allegando neppure eventuali gravi anomalie motivazionali del provvedimento impugnato (nei termini sopra illustrati dalla giurisprudenza di questa Corte), che sono le uniche attualmente denunciabili nei ristretti limiti consentiti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Inoltre, il ricorrente, con l’apparente censura della violazione da parte del Tribunale di norme di legge, ovvero il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ha, in realtà, svolto delle censure di merito, in quanto finalizzate a prospettare una diversa lettura delle sue dichiarazioni.

L’accertata inammissibilità delle censure attinenti la prima ratio decidendi determinano l’inammissibilità anche di quelle vertenti sulla seconda ratio.

In proposito, è orientamento consolidato di questa Corte che qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza o inammissibilità delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, e censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (vedi Cass. n. 11493 del 11/05/2018).

Quanto alla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), va osservato che avendo il ricorrente fondato il timore per la propria incolumità sulla rappresentazione di una situazione soggettiva personale ritenuta non credibile dal giudice di merito, le censure svolte sul punto dallo stesso richiedente si appalesano inammissibili in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dai giudici di merito.

Analogo ragionamento deve svolgersi con riferimento alla richiesta protezione umanitaria, avendo il ricorrente dedotto una situazione di vulnerabilità legato al suo rischio di incarcerazione che si fonda sempre sulla vicenda narrata ritenuta non attendibile.

Nè, infine, può rilevare il dedotto livello di integrazione raggiunto nel paese d’accoglienza, elemento che, secondo il costante orientamento di questa Corte, può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero costituito in giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020

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