Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8683 del 04/04/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. III, 04/04/2017, (ud. 28/02/2017, dep.04/04/2017),  n. 8683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 26340 del ruolo generale dell’anno

2015, proposto da:

S.A., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso, giusta

procura in calce al ricorso, dagli avvocati Francesco Cannizzaro

(C.F.: CNN FNC 60H19 C351D) e Michele Pontecorvo (C.F.: PNT MOL

59D08 H501I);

– ricorrente –

nei confronti di:

F.O., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa, giusta

procura a margine del controricorso, dall’avvocato Enrico Visciano

(C.F.: VSC NRC 65M10 A859L);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Milano n.

5527/2015, depositata in data 30 aprile 2015;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

28 febbraio 2017 dal consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale

dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

l’avvocato Michele Pontecorvo, per il ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel corso di un procedimento di espropriazione mobiliare promosso nei suoi confronti da F.O., S.A. ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione con la quale, in seguito ad istanza di riassunzione del processo esecutivo, avanzata dalla creditrice a norma dell’art. 627 c.p.c. (a seguito del rigetto in primo grado di una opposizione di terzo all’esecuzione proposta ai sensi dell’art. 619 c.p.c., che aveva dato luogo a sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 624 c.p.c.), era stata disposta la prosecuzione dello stesso.

Il Tribunale di Milano ha dichiarato cessata la materia del contendere sul merito dell’opposizione, avendo il debitore integralmente soddisfatto il creditore procedente in sede esecutiva, ma ha comunque condannato l’opponente al pagamento delle spese di lite, in base al principio della soccombenza virtuale.

Ricorre il S., sulla base di un unico motivo.

Resiste con controricorso la F..

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Nonostante sia cessata la materia del contendere in ordine al merito dell’opposizione, sussiste certamente l’interesse del ricorrente all’impugnazione del capo della sentenza relativo alle spese di lite, essendo egli stato condannato al pagamento di tali spese in base al principio della soccombenza virtuale. Va quindi disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, sollevata dalla controricorrente.

2. Con l’unico motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 627 c.p.c. e dell’art. 282 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo è infondato.

La pronunzia impugnata è conforme al principio di diritto enunciato da questa Corte (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 24447 del 21/11/2011, Rv. 620501 – 01; in senso sostanzialmente conforme: Sez. 3, Sentenza n. 7053 del 09/05/2012, Rv. 622356 – 01), all’esito di ampia analisi storica e sistematica del dato positivo, secondo il quale “l’art. 627 c.p.c., nella parte in cui allude alla riassunzione del processo esecutivo nel termine di sei mesi dal passaggio in cosa giudicata della sentenza di primo grado che rigetta l’opposizione all’esecuzione, deve essere inteso nel senso che tale momento segna soltanto il “dies a quo” del termine per la riassunzione (che, se la sentenza viene impugnata, non decorre, venendo sostituito dal momento della comunicazione della sentenza di appello che rigetti l’opposizione) e non il momento di insorgenza del potere di riassumere, il quale, in conseguenza dell’immediata efficacia della sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione ai sensi dell’art. 282 c.p.c., nasce con la sua stessa pubblicazione”.

Il ricorso non contiene elementi tali da indurre a rivedere il suddetto indirizzo, al quale il collegio intende dare continuità. Va in proposito ribadito che (come in realtà già chiarito nel primo dei precedenti richiamati) la conclusione per cui la riassunzione del processo esecutivo sospeso è sempre possibile a seguito della sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione, benchè non passata in giudicato, trova fondamento non solo nel riconoscimento della generalizzata immediata efficacia delle sentenze di primo grado di cui all’art. 282 c.p.c., ma anche – e soprattutto – nei principi generali in materia di provvedimenti cautelari, in particolare nel principio per cui il provvedimento a cognizione piena (anche non definitivo) assorbe il provvedimento cautelare ad esso strumentale e, se negativo, ne determina la caducazione (di tale principio è diretta espressione normativa la disposizione dell’art. 669-novies c.p.c., comma 3).

Il provvedimento cautelare di sospensione dell’esecuzione emesso ai sensi dell’art. 624 c.p.c. (e altrettanto è a dirsi per quello eventualmente emesso ai sensi dell’art. 618 c.p.c, in caso di opposizione agli atti esecutivi) è fondato sul presupposto necessario (benchè non sufficiente) della probabile fondatezza dell’opposizione proposta (cd. fumus boni iuris), sulla base di una valutazione sommaria operata allo stato degli atti dal giudice dell’esecuzione.

Esso è dunque destinato necessariamente a venir meno, laddove sia al contrario accertata l’infondatezza dell’opposizione con sentenza emessa all’esito di un giudizio a cognizione piena, sebbene non passata in giudicato.

Anche da un punto di vista logico – prima ancora che giuridico – non sarebbe del resto giustificabile attribuire prevalenza ad un provvedimento adottato sulla base di una cognizione urgente e sommaria dal giudice dell’esecuzione (che non ha diretta competenza sul merito del giudizio di opposizione), rispetto ad un successivo provvedimento adottato dal giudice competente all’esito di un ordinario giudizio a cognizione piena, benchè non ancora passato in giudicato, data l’assoluta coincidenza dell’oggetto della valutazione (e cioè la fondatezza o meno dell’opposizione), che peraltro nel primo caso è solo sommaria e prognostica, mentre nel secondo caso è completa ed effettiva, sebbene non definitiva.

La disciplina così ricostruita è poi assolutamente compatibile con la immutata formulazione dell’art. 627 c.p.c..

Tale norma non esclude affatto la possibilità di riassumere il processo esecutivo prima del passaggio in giudicato della sentenza, anche di primo grado, sull’opposizione (ed in effetti non lo ha mai escluso, derivando in realtà la contraria conclusione, diffusamente sostenuta prima delle riforme processuali del 1990, da altre disposizioni e da altri argomenti sistematici). Essa si limita a prevedere l’onere per la parte interessata di provvedere a tale riassunzione non più tardi del semestre dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, ovvero della comunicazione di quella di secondo grado, di rigetto dell’opposizione. Si tratta cioè di una disposizione che non disciplina il termine iniziale (il dies a quo) della possibile riassunzione del processo esecutivo dopo la pronunzia a cognizione piena sull’opposizione, ma esclusivamente quello finale (il dies ad quem) di essa, e la cui previsione si giustifica al fine di consentire al creditore opposto, ove lo ritenga prudente ed opportuno (anche in considerazione delle responsabilità connesse alla prosecuzione e definizione di un procedimento esecutivo in pendenza di opposizione), di non effettuare tale riassunzione al solo fine di evitare l’estinzione dell’esecuzione, in caso di impugnazione della pronunzia di rigetto in primo grado dell’opposizione di merito.

Le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 627 e 282 c.p.c. sollevate dal ricorrente si rivelano in quest’ottica manifestamente infondate, in quanto incentrate sulla pretesa lesione al diritto di difesa in giudizio che deriverebbe dal riconoscimento dell’efficacia esecutiva alle sentenze di rigetto (e di mero accertamento in generale), per l’impossibilità di ottenerne la sospensione ai sensi dell’art. 283 o 351 c.p.c..

L’interpretazione delle norme che regolano la riassunzione del processo esecutivo sospeso dopo la pronunzia di merito sull’opposizione nel senso fatto proprio dal giudice di merito (e qui condiviso), per quanto sopra osservato, non dipende infatti dal riconoscimento dell’efficacia esecutiva delle sentenze di primo grado, anche di rigetto (efficacia esecutiva del resto neanche affermata dai precedenti richiamati, che si limitano a far riferimento alla semplice “efficacia” delle pronunzie di primo grado).

In ogni caso, le indicate ulteriori ragioni sistematiche che depongono in favore di essa sono da sole in grado di giustificare la suddetta interpretazione. E tali ragioni, valorizzando la prevalenza di un accertamento a cognizione piena rispetto ad uno meramente sommario sul medesimo oggetto, non solo non possono in alcun modo ritenersi lesive del diritto alla tutela in giudizio dei diritti sostanziali, ma al contrario realizzano in modo certamente più adeguato tale diritto.

Del resto, appare evidente che la stessa questione, almeno per come è posta dal ricorrente, si risolve in una petizione di principio: l’eventuale riconoscimento dell’efficacia esecutiva di tutte le sentenze di primo grado implicherebbe infatti automaticamente e necessariamente la possibilità di ottenere la sospensione di tale efficacia ai sensi dell’art. 283 c.p.c..

2. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA