Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8682 del 08/05/2020

Cassazione civile sez. I, 08/05/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 08/05/2020), n.8682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8244/2019 proposto da:

N.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Federico Cesi,

72, presso lo studio dell’avvocato Andrea Sciarrillo, e

rappresentato e difeso dall’avvocato Pietro Sgarbi per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato per legge presso l’Avvocatura Generale dello Stato in

Roma, Via dei Portoghesi, 12;

– intimato –

avverso la sentenza n. 117/2018 della Corte di appello di Ancona

depositata il 28.01.2019.

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella Camera di consiglio del 17/01/2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza in epigrafe indicata ha rigettato, pronunciando su ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, l’impugnazione proposta da N.A. avverso l’ordinanza del locale tribunale che ne aveva respinto l’opposizione al provvedimento della competente Commissione territoriale di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

Per il racconto reso dinanzi alla Commissione il richiedente era stato vittima di scontri tribali tra i villaggi di (OMISSIS) per la supremazia e nomina di uno dei quattro re sottoposti al grande re alle cui dipendenze svolgeva attività il marito della madre con il quale il richiedente era vissuto dopo il divorzio dei genitori.

L’appellante non sarebbe stato un perseguitato dalla polizia locale, che lo aveva scagionato dall’iniziale accusa di omicidio di due giovani morti durante una manifestazione di piazza, ma dagli esponenti del gruppo avversario di (OMISSIS) la cui perdurante minaccia era stata esclusa dai giudici di merito per la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal richiedente in sede amministrativa; in ogni caso quella minaccia non sarebbe stata riconducibile ad un organo statale. Non sarebbero rimaste integrati gli estremi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), quanto alle condizioni del Ghana, paese di origine e la mancanza di allegazioni specifiche che avrebbero potuto integrare il riconoscimento della protezione umanitaria in difetto di una personale pericolo riconducibile al paese di origine non avrebbero consentito di accogliere la richiesta di protezione per ragioni umanitarie.

2. N.A. ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza con tre motivi illustrati da memoria.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo articolato motivo il ricorrente fa valere la violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), sulla definizione del termine “rifugiato”.

Il ricorrente aveva subito persecuzione dai gruppi tribali e comunque i trattamenti inumani e degradanti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), posto a fondamento della protezione sussidiaria; il racconto non sarebbe stato generico ed inverosimile come sbrigativamente sostenuto dalla Corte di merito. Il ricorrente aveva puntualmente chiarito le proprie vicende personali fornendo particolari importanti e descrivendo compiutamente le ragioni della fuga. La motivazione sarebbe stata incongrua e mancante limitandosi ad avallare quella del primo giudice; la Corte di merito non avrebbe verificato concretamente la credibilità soggettiva delle dichiarazioni.

Il motivo è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.

La Corte di merito ha dato soluzione alla preliminare questione sulla credibilità del dichiarante e sulla attendibilità del racconto reso valorizzando di quest’ultimo la contraddittorietà dei contenuti.

Il richiedente aveva riferito delle perduranti minacce rivolte dal gruppo tribale avversario al proprio padre collocandole temporalmente nel novembre 2016 e quindi in epoca successiva all’ultimo contatto, dell’ottobre 2016, avuto con il proprio patrigno che di quell’avvenimento aveva reso edotto il richiedente.

Con siffatta ratio il ricorrente non si confronta ed il motivo è come tale inconcludente, ferma la natura di giudizio di fatto del giudice del merito che, censurabile in cassazione nel limiti di una motivazione apparente o del tutto mancante (tra le altre: Cass. 05/02/2019 n. 3340), come tale non si lascia apprezzare nella fattispecie in esame in ragione dei passaggi motivatori segnalati in ricorso, parziali ed incapace di evidenziare le effettive ragioni del decisum.

Il motivo è ancora inammissibile e generico là dove il ricorrente deduce la sussumibilità della persecuzione sofferta da un gruppo tribale alla ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e) ed al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), senza ancora dialogare con quella parte della sentenza impugnata che esclude per gli indicati contenuti una minaccia proveniente dagli organi statali, incapaci di tutelare le ragioni del privato cittadino.

2. Con il secondo motivo il ricorrente fa ancora valere la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis. La Corte di merito avrebbe omesso ogni valutazione del narrato richiamando apoditticamente la motivazione del primo giudice e non avrebbe fatto ricorso ai poteri doveri officiosi di indagine.

Il motivo è inammissibile oltre che per le ragioni sub 1 indicate, anche per il principio per il quale nella intrinseca inattendibilità del richiedente alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, i giudici di merito non sono tenuti a porre in essere alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass., 27/06/2018, n. 16925; Cass. 10/4/2015 n. 7333; Cass. 1/3/2013 n. 5224).

3. Con il terzo si fa valere la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), anche in relazione all’art. 3 Cost.. I giudici di appello avrebbero sottovalutato le violenze fisiche e psicologiche subite in patria dal richiedente la violazione dei diritti essenziali ed il concreto pericolo per la sua vita ed incolumità fisica in una situazione di costante insicurezza ed instabilità socio-politica del paese di provenienza, rispettivamente presupposti della protezione sussidiaria. Dalla lettura dei report internazionali e nazionali sulle condizioni del Ghana (Amnesty International 2017-2018 sui diritti ed il sistema giudiziario nel Ghana; Viaggiare sicuri del M.A.E. aggiornato al 7 marzo 2019 sul rischio di terrorismo) sarebbero stati integrati gli estremi della richiesta tutela.

Il motivo si espone ad una lettura di inammissibilità per una duplice ragione.

Per costante giurisprudenza di legittimità, in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi sulle domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (vd. supra sub 2; in termini, sul rifugio: Cass. n. 16925 del 27/06/2018).

Il motivo è ancora inammissibile perchè quanto alla fattispecie relativa la cd. rischio Paese (art. 14, lett. c), D.Lgs. cit.) e, quindi, agli estremi di una violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, la critica manca di autosufficienza là dove non si allega dal ricorrente di avere tempestivamente portato all’esame dei giudici di merito i report menzionati in ricorso, non valendo in tal senso la mera indicazione numerica dei documenti che si deducono allegati nelle fasi di merito (p. 8 ricorso).

Il motivo vale quindi a contrapporre alla motivazione impugnata ed alle fonti ivi menzionate, e scrutinate, una alternativa lettura, inammissibile in sede di legittimità.

Il trattamento, poi, che si rappresenta in ricorso riservato a diritti e libertà in Ghana neppure vale ad integrare la definizione, chiara nella giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, della nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale” che viene in valutazione per la richiamata norma.

Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 08/07/2019 n. 18306; Cass. 02/04/2019 n. 9090).

Il motivo è per siffatto profilo manifestamente infondato.

4. Con il quarto motivo si fa valere la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 3 e quindi il mancato richiamo alle fonti aggiornate è inammissibile perchè generico: la Corte di merito ha indicato il rapporto di Amnesty International 2017-2018 e su quello ha motivato la decisione.

5. Con il quinto si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; artt. 10,3,32,35 Cost. e dell’art. 3Cedu.

sulla protezione umanitaria si deduce la nullità della sentenza per violazione della disciplina sulla protezione per ragioni umanitarie e del diritto di asilo mancando la sentenza impugnata di un effettivo esame di situazioni di vulnerabilità non rientranti in quelle tipiche o perchè temporanee o perchè vi è un impedimento al riconoscimento della protezione maggiore, con sottovalutazione dell’inserimento in Italia del richiedente.

Il giudice del gravame non avrebbe neppure operato una valutazione comparativa tra integrazione raggiunta in Italia e pericolo corso dal richiedente in caso di suo rientro nel paese di origine e la decisione sarebbe stata esito di un mero automatismo del rigetto delle protezioni maggiori.

Sarebbero stati violati gli artt. 10 e 2 Cost. e gli artt. 3 e 8 CEDU sul diritto di asilo e la protezione sui trattamenti disumani e degradanti e non valutata l’integrazione sociale legittimante il riconoscimento della protezione umanitaria.

5.1. Quanto mancata valutazione delle situazioni di vulnerabilità soggettiva integrative della protezione per motivi umanitari anche in ragione delle condizioni del paese di provenienza, il motivo è inammissibile in ragione del giudizio espresso dalla Corte di merito – non censurabile in sede di legittimità per le ragioni più sopra esposte – sulla inattendibilità del racconto che quelle situazioni descrive.

5.2. L’apprezzamento della valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere correlata ad una valutazione individuale, da spendersi caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia che va comparata con la situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

Là dove infatti si prescindesse dalla situazione particolare del richiedente, si prenderebbe in considerazione non già la peculiare situazione del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 03/04/2019 n. 9304).

5.3. Per l’effetto, venuto meno, per l’inattendibilità del racconto, incapace come tale di definire una situazione di vulnerabilità del richiedente protezione umanitaria nel Paese di provenienza, uno dei due termini di comparazione secondo i quali deve trovare svolgimento il giudizio sulla riconoscibilità della protezione umanitaria, l’ulteriore situazione descritta dal ricorrente come da egli goduta in Italia non entra neppure nel giudizio di bilanciamento a cui è chiamato il giudice del merito.

Resta altresì fermo il principio dell’allegazione declinato nei termini che seguono e per il quale: la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (Cass. 07/08/2019 n. 21123).

Il ricorrente non può far valere la protezione umanitaria in ragione dei fatti costitutivi allegati a sostegno delle altre forme di protezione per il principio della domanda e del correlato onere di allegazione.

5.4. La violazione dell’art. 3 Cost., dedotta per avere la Corte di merito trattato in modo diseguale situazioni analoghe diversamente decise da altre corti di merito e tribunali è ancora manifestamente infondata, invocando essa a sostegno della dedotta illegittimità il fisiologico diverso atteggiarsi delle decisioni giurisdizionali.

6. Conclusivamente il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese non avendo l’amministrazione intimata articolato difese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020

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