Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8681 del 08/05/2020

Cassazione civile sez. I, 08/05/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 08/05/2020), n.8681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6927/2019 proposto da:

J.S., e J.M., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Federico Cesi, 72, presso lo studio dell’avvocato Andrea

Sciarrillo, e rappresentati e difesi dall’avvocato Pietro Sgarbi per

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., per legge

domiciliato presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, Via

dei Portoghesi, 12;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2241/2018 della Corte di appello di Ancona

depositata il 22.10.2018.

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella Camera di consiglio del 17/01/2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza in epigrafe indicata ha rigettato, pronunciando su ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, l’impugnazione proposta da J.S. e J.M. avverso l’ordinanza del locale tribunale che aveva respinto l’opposizione avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria. Le situazioni dedotte dagli appellanti, di natura familiare e privata, non erano ascrivibili ad ipotesi di persecuzione e non avrebbero integrato il grave danno richiesto per la protezione sussidiaria in difetto di una minaccia individuale. Doveva escludersi per il Gambia una situazione di violenza indiscriminata e non potevano essere accolte le richieste di protezione umanitaria in difetto di allegazione di specifiche situazioni soggettive legittimanti l’accoglimento.

J.S. e J.M. ricorrono per la cassazione dell’indicata sentenza con cinque motivi illustrati da memoria.

Il Ministero dell’Interno ha depositato “Atto di costituzione” tardivo con cui ha rappresentato di costituirsi “al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il gli articolati motivi i ricorrenti fanno valere la violazione: dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 per la definizione ivi contenuta della nozione di “rifugiato” e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 lett. e); D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, sull’esame dei fatti e delle circostanze e delle procedure di esame; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, sugli atti di persecuzione; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), sulla protezione sussidiaria; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, sui criteri applicabili alle domande di protezione; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sulla protezione umanitaria e sull’art. 10 Cost. (sul diritto di asilo).

1.1. La Corte di merito, relegando il racconto dei richiedenti ad una vicenda familiare e personale, aveva ritenuto non ascrivibile alla condizione di rifugiato, normativamente definita, le loro posizioni con motivazione apodittica ed apparente senza valutare il ceto umile di appartenenza del sig. J.M. che ove avesse fatto ritorno in patria sarebbe stato di nuovo esposto a persecuzioni e violenze.

1.2. Non sarebbe stata considerata l’attendibilità e credibilità del racconto ed i giudici di appello non si sarebbero attenuti ai criteri di cui al D.Lgs. n. 25 del 2007, art. 3 ed al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis.

1.3. La Corte di merito non si sarebbe espressa sulla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), motivando solo sulla attuali condizioni carcerarie del Gambia e ai fini della ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), senza tenere in considerazione, neppure correttamente, i report del Ministero dell’Interno e di Amnesty International (anno 2017/2018) sull’esercizio delle libertà, gli sviluppi legislativi, costituzionali ed istituzionali nel Gambia le condizioni effettive di detenzione, i diritti delle persone lesbiche e gay, “i diritti sessuali e riproduttivi nella Repubblica islamica della Gambia” per un quadro invece ritenuto integrato da riportate pronunzie delle corti di merito.

1.4. I giudici di appello in tal modo non avrebbero considerato la situazione politica e di sicurezza dei paesi del Gambia fornendo una interpretazione lacunosa che non avrebbe dato conto dell’istruttoria esperita sulla situazione del Paese di origine con violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

1.5. Con il motivo sulla protezione umanitaria si deduce la nullità della sentenza per apparenza di motivazione e violazione della disciplina sulla protezione per ragioni umanitarie e del diritto di asilo ex art. 10 Cost., mancando la sentenza impugnata di un effettivo esame di situazioni di vulnerabilità dei richiedenti non rientranti in quelle tipiche, con sottovalutazione dell’inserimento in Italia per il “fattivo e proficuo percorso di integrazione socio lavorativo intrapreso dal richiedente” (enfasi di chi scrive) (pp. 15 e 16 ricorso) al quale la situazione da cui egli era fuggito non avrebbe potuto garantirgli una vita libera e dignitosa.

Il giudice del gravame non avrebbe neppure operato una valutazione comparativa tra integrazione raggiunta in Italia e pericolo corso in caso di rientro nel paese di origine e la decisione sarebbe stata esito di un mero automatismo del rigetto delle protezioni maggiori.

2. Tutti i motivi di ricorso si prestano ad una valutazione di inammissibilità per difetto di autosufficienza e di allegazione (ex art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6) oltre che di genericità e non concludenza (in talune proposizioni in cui si richiama, finanche, la posizione di un solo richiedente là dove il mezzo è proposto da due ricorrenti).

2.1. I ricorrenti contestano l’impugnata sentenza per avere la Corte di appello apprezzato la dimensione familiare e personale del racconto reso dai dichiaranti che, in quanto tale, non avrebbe evidenziato situazioni tutelabili sub specie del rifugio o del danno grave legittimante il riconoscimento della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)) o ancora vulnerabilità non capaci di sostenere il riconoscimento della protezione per ragioni umanitarie.

Nel far ciò i ricorrenti non provvedono però neppure a dare contenuto al racconto reso che resta solo evocato per fugaci riferimenti ad un “ceto sociale di appartenenza”, peraltro riferito al solo M. (p. 5 ricorso).

Mancano pertanto anche quelle evidenze fattuali sulle quali questa Corte di legittimità possa essere chiamata a sindacare la motivazione impugnata per le dedotte violazioni di legge ed i vizi di motivazione.

Alla mancata deduzione dei fatti integrativi del racconto segue poi il difetto di allegazione dei ricorrenti di aver portato all’esame della Corte di merito le censure proposte in sede di legittimità.

2.2. Chiara è inoltre la genericità del ricorso ed il mancato dialogo con la motivazione impugnata là dove si contesta alla Corte di merito di non aver apprezzato la attendibilità e credibilità soggettiva dei richiedenti su cui fondare la fondatezza del timore espresso di subire persecuzioni e/o trattamento inumani e degradanti (pp. 4 e 5 ricorso).

La Corte territoriale infatti non ha motivato sulla non credibilità del racconto quanto ed invece sulla non capacità dei fatti narrati ad integrare le fattispecie di protezione internazionale che è ratio decidendi niente affatto attinta dalla indicata critica.

2.3. Quanto poi all’obiettività propria della fattispecie integrativa del cd. rischio Paese di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), vero è che le deduzioni contenute in ricorso sull’esistenza di fonti rappresentative di situazioni di conflitti armati e di violenza generalizzata mancano ancora di specificità ed incorrono in una inammissibilità da “novità”, per nulla rappresentando la loro tempestiva allegazione dinanzi ai giudici di merito (sulla inammissibilità da novità dell’allegazione, tra le altre: Cass. n. 32804 del 13/12/2019).

2.4. La situazione fatta valere in ricorso sulla violazione di diritti e libertà fondamentali nel Gambia, Paese di provenienza dei richiedenti protezione, neppure vale a sostenere la invocata protezione umanitaria in difetto di deduzione circa la tempestività dell’allegazione nella fase di merito; tanto è destinato a valere anche in ordine agli ulteriori requisiti della misura di protezione richiesta, quali le sofferte personali situazioni di vulnerabilità e l’integrazione in Italia di cui, peraltro, non solo manca in ricorso la deduzione di una loro rappresentazione nel giudizio di merito, ma anche una rappresentazione compiuta in fase di legittimità.

La natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (Cass. 07/08/2019 n. 21123).

Ecco che il ricorrente non può far valere la protezione umanitaria in ragione dei fatti costitutivi allegati a sostegno delle altre forme di protezione per il principio della domanda e del correlato onere di allegazione.

3. In conclusione, tutti i motivi proposti sono inammissibili.

Nulla sulle spese nella irritualità della costituzione dell’Amministrazione intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020

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