Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8680 del 08/05/2020

Cassazione civile sez. I, 08/05/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 08/05/2020), n.8680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4501/2019 proposto da:

S.I., elettivamente domiciliato in Roma, Via della Giuliana,

32, presso lo studio dell’avvocato Antonio Gregorace, che lo

rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui

uffici in Roma, Via dei Portoghesi, 12 domicilia;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1253/2018 della Corte di appello di Ancona

depositata il 06.07.2018.

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella Camera di consiglio del 17/01/2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza in epigrafe indicata ha rigettato, in un giudizio introdotto D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, l’impugnazione proposta da S.I. avverso l’ordinanza del locale tribunale che aveva respinto l’opposizione al provvedimento della competente Commissione territoriale di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

2. S.I. ricorre in cassazione con cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso con cui deduce inammissibilità ed infondatezza dell’avverso mezzo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, originario della (OMISSIS), nel racconto reso alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di aver dovuto abbandonare il proprio paese perchè ribelli, provenienti dal Casamance, una notte avevano fatto irruzione nel suo villaggio e dopo averlo costretto a riaprire l’esercizio commerciale di cui era titolare ed averne ucciso il padre, lo avevano sequestrato portandolo nella foresta in cui rimaneva per due mesi in cattività e da cui riusciva a fuggire, fortunosamente, raggiungendo il Senegal per poi, attraversando il Mali, il Burkina Faso, il Niger e la Libia, imbarcarsi per l’Italia.

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’omesso esame di un fatto decisivo integrato dalla mancata audizione del ricorrente espressamente richiesta nell’atto di appello.

1.2. Con il secondo motivo si fa valere la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed alla Direttiva 2004/83/CE recepita dal D.Lgs. n. 251 del 2007, dell’obbligo di collaborazione istruttoria. I giudici di merito avrebbero dovuto svolgere un ruolo attivo provvedendo a disporre l’audizione del richiedente al fine di valutare ed approfondire i temi rilevanti.

1.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame delle dichiarazioni ed allegazioni rese sulle condizioni del paese di origine e di quello di transito. Fonti ufficiali avrebbero attestato l’esistenza nella Guinea Bissau di delinquenza comune organizzata in aumento, che lungo alcuni assi stradali, può dar luogo a scontri; il rapporto 2017/2018 sulla Guinea di Amnesty International avrebbe attestato l’esistenza di tensioni sociali e politiche dovute al rinvio delle elezioni locali.

1.4. Con il quarto motivo si deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per avere la Corte di merito escluso la sussistenza di un danno grave in caso di rientro del richiedente nel paese di origine.

1.5. Con il quinto motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la mancata concessione del permesso di soggiorno per motivo umanitari. La Corte di merito non avrebbe valutato il grado di integrazione del richiedente in Italia e le precarie condizioni socio-economiche del Paese di provenienza.

2. I motivi sono inammissibili.

2.1. Il primo motivo si presta ad un giudizio di inammissibilità per una duplice ragione.

Per la proposta censura quanto viene in rilievo non è un fatto decisivo ai fini della decisione, inteso come fatto storico mancato nella valutazione del giudice del merito, ma un adempimento processuale il cui difetto avrebbe inficiato la decisione impugnata per violazione del contraddittorio.

Ove correttamente qualificato il proposto motivo e quindi inteso come di denuncia di una regola del processo piuttosto che di una omissione fattuale, esso è comunque inammissibile.

In tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la violazione dei “principi regolatori del giusto processo” e cioè delle regole processuali ex art. 360 c.p.c., n. 4, deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia (Cass. 26/09/2017 n. 22341). Nessuna deduzione è portata in ricorso a sostegno della decisività dell’omissione denunciata.

2.2. Il secondo ed terzo motivo sono inammissibili perchè non segnalano la decisività di quanto mancato nella valutazione della Corte di merito e perchè quanto ancora indicato in ricorso quale “fatto omesso” risponde a contenuti di fonti ufficiali sulla cui tempestiva introduzione nella fase di merito nulla è dedotto.

Sulla violazione di legge, si ha poi che in tema di protezione internazionale sussidiaria, il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, sancisce un dovere di cooperazione del richiedente consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, ponendo quindi a carico del giudice del merito l’obbligo di cooperazione istruttoria nel vagliare le dichiarazioni rese dal richiedente protezione oltre che nell’informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del Paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti (in termini: Cass. n. 7333 del 10/04/2015; Cass. n. 25319 del 16/12/2015).

Questa Corte di legittimità, con principio al quale vuole qui darsi continuità nell’apprezzata sua ragionevolezza, ha per vero affermato che in materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. n. 15794 del 12/06/2019; Cass. n. 27336 del 29/10/2018).

Ferma l’indicata premessa, nella intrinseca inattendibilità del richiedente alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, i giudici di merito non sono tenuti a porre in essere alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass., 27/06/2018, n. 16925; Cass. 10/4/2015 n. 7333; Cass. 1/3/2013 n. 5224).

Con siffatti principi non si confronta la difesa del ricorrente che genericamente ed in modo non concludente richiama il dovere di collaborazione istruttoria gravante sui giudici di merito.

5.4. Il quarto motivo ed il quinto motivo sono inammissibili per genericità e perchè si risolvono in una mera riproposizione di tesi difensive disattese dai giudici di appello senza confrontarsi, secondo i più squisiti e propri contenuti del proposto mezzo, con la motivazione del provvedimento impugnato (Cass. n. 22478 del 24/09/2018).

6. Il ricorso è in via conclusiva inammissibile ed il ricorrente va condannato a rifondere all’Amministrazione le spese di lite secondo soccombenza come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Amministrazione resistente le spese di lite che liquida in complessivi Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020

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