Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8679 del 08/05/2020

Cassazione civile sez. I, 08/05/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 08/05/2020), n.8679

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3669/2019 proposto da:

B.H.S.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Federico Cesi, 72, presso lo studio dell’avvocato Andrea Sciarrillo

e rappresentato e difeso dall’avvocato Pietro Sgarbi per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato in Roma Via dei Portoghesi, 12 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1673/2018 della Corte di appello di Ancona

depositata il 08.08.2018.

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella Camera di consiglio del 17/01/2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza in epigrafe indicata ha rigettato l’impugnazione proposta D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, da B.H.S.M. avverso l’ordinanza del locale tribunale che aveva respinto l’opposizione avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

B.H.S.M. ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza con tre motivi illustrati da memoria.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha articolato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, originario del Bangladesh – che nel racconto reso dinanzi alla competente commissione territoriale aveva dichiarato di aver lasciato il proprio Paese, il Bangladesh, per le gravissime condizioni di povertà in cui versava dopo un’alluvione che aveva sommerso i terreni di proprietà familiare e la casa di abitazione e trovandosi altresì esposto, in caso di suo rientro, a dover fronteggiare una organizzazione criminale alla quale doveva restituire denaro avuto in prestito, ragione, quest’ultima, per la quale egli sarebbe stato arrestato – con il primo motivo fa valere la violazione: dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 di definizione della nozione di “rifugiati” e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e); D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, sull’esame dei fatti e delle circostanze e delle procedure di esame, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, sugli atti di persecuzione, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), sulla protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, sui criteri applicabili, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sulla protezione umanitaria e sull’art. 10 Cost. (sul diritto di asilo).

La Corte di merito aveva ritenuto intrinsecamente non credibile il racconto del richiedente pur avendo il richiedente esposto la sua storia personale in modo credibile e lineare.

La motivazione sarebbe stata apodittica ed apparente ed avrebbe avallato quella del primo giudice e prima ancora della commissione territoriale.

Sui numerosi report di Amnesty International tra questi in quello 2017-2018, e sul sito “(OMISSIS)” del M.A.E. veniva descritta una situazione di riconoscimento del “danno grave” nei termini di cui al D.Lgs. n. 261 del 2007, art. 14, lett. c), su tutto il territorio del Bangladesh che in modo non veritiero era stato invece escluso dalla Corte territoriale.

La violenza anche ove non integrativa della situazione di cui dell’art. 14 cit., lett. c), avrebbe potuto realizzare le diverse ipotesi di cui dell’art. 14 D.Lgs. cit., lett. a) e b).

I giudici di appello non avrebbero effettuato alcun cenno alla situazione politica e di sicurezza del Bangladesh e dei paesi di transito fornendo una interpretazione lacunosa, con violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

2. Con il secondo motivo sulla protezione umanitaria si deduce la nullità della sentenza per violazione della disciplina sulla protezione per ragioni umanitarie e del diritto di asilo mancando la sentenza impugnata di un effettivo esame di situazioni di vulnerabilità non rientranti in quelle tipiche o perchè temporanee o perchè vi è un impedimento al riconoscimento della protezione maggiore, con sottovalutazione dell’inserimento in Italia del richiedente.

Il giudice del gravame non avrebbe neppure operato una valutazione comparativa e la sua decisione sarebbe stata esito di un mero automatismo del rigetto delle protezioni maggiori.

Sarebbero stati violati gli artt. 10 e 2 Cost. e gli artt. 3 e 8 CEDU sul diritto di asilo e la protezione sui trattamenti disumani e degradanti.

3. Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione per omessa valutazione delle condizioni di vulnerabilità integrative della protezione umanitaria facendosi valere gli esiti di una relazione psicologica che avrebbe accertato l’esistenza in capo al richiedente di un grave disagio e di disturbi psichici.

4. Il ricorso è improcedibile in applicazione del principio secondo il quale “In tema di ricorso per cassazione, ai fini dell’osservanza di quanto imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, nel caso in cui la sentenza impugnata sia stata redatta in formato digitale, l’attestazione di conformità della copia analogica predisposta per la S.C. (fintantochè innanzi alla stessa non sia attivato il processo civile telematico) può essere redatta, della L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, dal difensore che ha assistito la parte nel precedente grado di giudizio, i cui poteri processuali e di rappresentanza permangono, anche nel caso in cui allo stesso fosse stata conferita una procura speciale per quel singolo grado, sino a quando il cliente non conferisca il mandato alle liti per il giudizio di legittimità ad un altro difensore” (Cass. 08/05/2018 n. 10941; vd. Cass. SU 24/09/2018 n. 22438 e Cass. SU n. 8312 del 25/03/2019).

Ed, infatti, dagli atti risulta che la procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione è stata conferita all’avvocato Pietro Sgarbi il 5 ottobre 2018 là dove l'”Attestazione di conformità”, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, comma 9-bis e art. 16-undecies, comma 1, della copia analogica della sentenza impugnata a quella digitale, la n. 1673/2018 della Corte di appello di Ancona, è stata formata, il 21 gennaio 2019 dall’avvocato Micol Lanzidei che aveva assistito il ricorrente nella precedente fase del giudizio, dinanzi alla Corte di merito.

Il procuratore che ha attestato la conformità di legge, l’avvocato Lanzidei, era quindi privo del relativo potere e tanto perchè era intervenuto, nel lasso di tempo intercorrente tra l’adozione della sentenza impugnata e la formazione dell’indicata attestazione, il rilascio di nuova procura alle liti in favore dell’avvocato Sgarbi che, investito della difesa per il giudizio di legittimità, era l’unico ad essere legittimato al rilascio dell’attestazione a pena di improcedibilità del ricorso in cassazione ex art. 369 c.p.c., comma 2.

Essendo l’Amministrazione rimasta solo intimata e quindi non avendo nel costituirsi, anche tardivamente, a sua volta depositato copia analogica della decisione ritualmente autenticata o comunque non disconosciuto la conformità della copia informale all’originale, il ricorso è improcedibile (Cass. SU 25/03/2019 n. 8312).

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara improcedibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020

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