Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8679 del 04/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 04/04/2017, (ud. 10/02/2017, dep.04/04/2017),  n. 8679

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5194-2014 proposto da:

UNI SPA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e

legale rappresentante pro tempore, sig. C.V.,

elettivamente domiciliata in ROMA, V. PINCIANA 25, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO SCIAUDONE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCESCO SIMONE CRIMALDI giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO DE

CAROLIS 145, presso lo studio dell’avvocato GIULIO MASOTTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCIANO PRONZELLO

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il

27/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCESCO SIMONE CRIMALDI;

udito l’Avvocato GIULIO MASOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 15 marzo 2012 UNI S.p.A. conveniva davanti al Tribunale di Verbania l’ingegner F.P., chiedendo di accertare e dichiarare che egli aveva inadempiuto “alle obbligazioni assunte nei confronti dell’attrice ed aventi ad oggetto l’attività professionale descritta” nella citazione, e per l’effetto di accertare e dichiarare l’insussistenza di ogni obbligazione attorea di pagargli il corrispettivo “per le prestazioni d’opera professionale svolte dall’ing. F. in favore dell’attrice”, nonchè di condannare il convenuto al risarcimento del danno all’attrice “a titolo di responsabilità contrattuale per gli inadempimenti descritti nella narrativa in fatto…ed extracontrattuale per gli illeciti pure indicati”. Il convenuto si costituiva resistendo. Con sentenza del 9 aprile 2013 pronunciata ex art. 281 sexies c.p.c. l’adito Tribunale dichiarava la continenza di una parte della regiudicanda rispetto ad altra causa pendente dinanzi al Tribunale di Novara, e per il resto rigettava le “domande risarcitorie” attoree.

Avendo UNI S.p.A. proposto appello – cui il F., costituitosi, resisteva -, con ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. del 17-27 dicembre 2013 la Corte d’appello di Torino lo ha dichiarato inammissibile.

2. Ha presentato ricorso UNI S.p.A. sulla base di tre motivi, dichiarando di non impugnare l’ordinanza del giudice d’appello “direttamente” (ricorso, pagina 8), ma poi, prima di esporre i motivi, dichiarando altresì di ricorrere ai sensi del’art. 348 ter c.p.c., comma 4, e art. 360 c.p.c. per la riforma della sentenza “nonchè ove occorrer possa avverso l’Ordinanza della Corte di Appello per i successivi esposti motivi” (ricorso, pagina 9). Si difende F.P. con controricorso. Entrambe le parti hanno sviluppato le loro prospettazioni in memorie versate ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Va premesso che il ricorso deve intendersi rivolto a impugnare esclusivamente la sentenza del Tribunale di Verbania, non occorrendo – a tacer d’altro – per sostenerne i motivi la impugnazione anche dell’ordinanza di inammissibilità pronunciata ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c. dalla Corte d’appello di Torino.

3.1.1 Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza e della procedura per erronea ricostruzione del fatto processuale e omessa pronuncia sulla dedotta responsabilità contrattuale del F.; denuncia altresì, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 1176, 1218, 1453 e 2236 c.c.

Il Tribunale avrebbe errato nella ricostruzione del fatto processuale laddove ha ritenuto “indeterminata la fonte della responsabilità” risarcitoria del convenuto, asserendo che questa sarebbe stata individuata dall’attrice dapprima nella violazione della garanzia di regolarità dei locali che costituivano i punti di vendita di Unica S.r.l. (società partecipata per la quota maggioritaria dalla ricorrente, che poi, nella vicenda da cui è insorta la causa, ne cedette le quote ad altra società, Billa AG), ma che in seguito l’attrice stessa l’avrebbe mutata in illecito extracontrattuale, adducendo di avere determinato il proprio comportamento con Billa AG nel senso di darle le più ampie garanzie della regolarità dei suddetti locali in forza della propria fiducia sull’adempimento del convenuto alle proprie obbligazioni contrattuali nei confronti di Unica S.r.l., da cui era stato incaricato di occuparsi della regolarità edilizia e amministrativa dei punti di vendita. Ad avviso del Tribunale l’attrice avrebbe poi “cristallizzato” la sua posizione sul titolo extracontrattuale (in conseguenza dell’inadempimento del convenuto nei confronti di Unica S.r.l. sarebbero risultati necessari dei lavori e l’attrice avrebbe dovuto “indennizzare” Billa AG) nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. del 18 ottobre 2012, per cui tardivo sarebbe stato il nuovo mutamento del titolo risarcitorio espletato dall’attrice nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c. del 19 novembre 2012, che avrebbe nuovamente addotto la fonte contrattuale.

Questa ricostruzione del fatto processuale operata dal giudice di prime cure fu appellata, ma la corte territoriale avrebbe ritenuto che non vi fosse stato un rapporto contrattuale tra l’appellante e l’appellato, che il Tribunale avesse correttamente svolto la sua attività di qualificazione della domanda e che fosse comunque generico il titolo contrattuale addotto dall’appellante nei confronti dell’appellato, basandosi questo sulla rassicurazione del F. in ordine alla regolarità amministrativa dei punti vendita. Quindi la stessa corte avrebbe ritenuto che fu proposta domanda contrattuale, e si sarebbe quindi contraddetta laddove nega che il primo giudice abbia violato l’art. 112 c.p.c.

In realtà, sia nella citazione sia nei successivi atti difensivi, l’attuale ricorrente avrebbe addotto la responsabilità di controparte “nell’ambito della cessione a Billa AG delle quote di Unica S.r.l.”, per “due titoli di responsabilità autonomi e fondati su presupposti in fatto e in diritto diversi”, mai rinunciati; e le conclusioni dell’atto di citazione sarebbero le stesse della prima memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c. e della precisazione delle conclusioni finali. Vi sarebbe stata dunque una erronea ricostruzione del fatto processuale, ovvero una erronea identificazione del contenuto degli atti, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c.

Il motivo aggiunge poi argomenti diretti a dimostrare che l’attuale ricorrente aveva adempiuto al suo onere probatorio relativo al rapporto contrattuale. In particolare da una lettera inviatale da un collaboratore del F. e prodotta proprio da quest’ultimo risulterebbe dimostrato il conferimento al F. dell’incarico di consulente nella operazione di vendita delle quote di Unica S.r.l. a Biella AG; e di questo incarico sarebbe stato poi allegato l’inadempimento e sarebbero stati dedotti i conseguenti pregiudizi. Secondo la ricorrente, controparte avrebbe dovuto assisterla nella predisposizione e nella raccolta della documentazione autorizzativa relativa ai punti vendita di Unica S.r.l. “in vista del trasferimento delle partecipazioni sociali a Billa AG”. Si rileva altresì che l’attuale ricorrente avrebbe chiesto prove testimoniali che il giudice di prime cure non aveva ammesso proprio perchè contrastanti con quella che aveva inteso come prospettazione di fatto attorea, e che le istanze istruttorie furono riproposte in secondo grado.

3.1.2 Va immediatamente sgombrato il campo sia dalle censure relative alla motivazione che sorregge l’ordinanza di inammissibilità dell’appello, che qui non hanno alcuna incidenza, sia dall’ultima parte argomentativa del motivo in esame, che scende in effetti, inammissibilmente, al merito, con particolare riguardo all’asserita prova documentale dell’esistenza del contratto di consulenza tra il F. e l’attuale ricorrente e alle istanze istruttorie che quest’ultima avrebbe presentato in relazione al suddetto asserito contratto.

Quel che rileva, e costituisce l’effettivo nucleo della censura, è la questione della proposizione o meno di una domanda risarcitoria fondata su una causa petendi costituita da un contratto di consulenza che avrebbe avvinto le parti, e che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto oggetto di rinuncia da parte della attuale ricorrente, quale attrice. Invero, il Tribunale – come già si è visto – reputa che nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. l’attrice abbia abbandonato la domanda contrattuale con una rinuncia di tale completa pregnanza da rendere inammissibile per contrasto con le barriere decadenziali la sua reintroduzione nella successiva seconda memoria ex art. 183 c.p.c. E’ ovvio che un simile ragionamento non concerne la qualificazione giuridica delle domande proposte dalla parte attrice (ovvero la cognizione riconducibile all’espressivo brocardo da mihi factum dabo tibi jus), bensì la identificazione del contenuto degli atti difensivi, ovvero del fatto processuale, in relazione al quale anche il giudice di legittimità estende la sua cognizione come giudice di fatto.

E la suddetta identificazione operata dal Tribunale non corrisponde, realmente, al fatto processuale che qui si riscontra. L’attuale ricorrente ha mantenuto, invero, nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., anche la conclusione fondata sulla domanda contrattuale relativa, appunto, all’asserita consulenza di cui il F. sarebbe stato incaricato nella fase precontrattuale della cessione delle quote di Unica S.r.l. a Billa AG. Il fatto poi che le argomentazioni proposte nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. abbiano coltivato in particolare la causa petendi extracontrattuale non è certo sufficiente a ritenere che la causa petendi contrattuale, che rimane espressamente menzionata nelle conclusioni, sia stata oggetto di una rinuncia, ovvero sia stata estromessa dalla regiudicanda dalla stessa attrice che l’aveva appena introdotta in un atto di citazione le cui conclusioni, d’altronde, sostanzialmente coincidevano con quelle della memoria in questione: conclusioni che, d’altronde, sono state poi riproposte come precisate conclusioni nel momento in cui la sequenza procedurale in cui hanno ruolo le parti (anche in ordine all’esercizio del loro potere dispositivo) si è perfezionata e si è dato adito alla fase decisoria. L’errata impostazione del Tribunale, quindi, lo ha condotto, ineludibilmente, all’omessa pronuncia, con violazione dell’art. 112 c.p.c. per mancato rispetto della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Del primo motivo, pertanto, emerge un’assoluta fondatezza.

3.2.1 E’ ora il caso – per quel che si verrà infra a constatare – di fornire una illustrazione congiunta del contenuto dei successivi due motivi.

Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. nonchè erronea, carente e/o contraddittoria ricognizione ed interpretazione dei principi relativi all’illecito aquiliano quanto alla responsabilità extracontrattuale del F. nei confronti dell’attuale ricorrente.

Il Tribunale avrebbe escluso che l’inadempimento di un contratto possa costituire illecito aquiliano nei confronti di un soggetto che rispetto al contratto è terzo. Sarebbe pacifico che il contratto in questione venne stipulato tra il F. e Unica S.r.l.; ma – rileva la ricorrente – dopo il trasferimento delle quote di quest’ultima a Billa AG sarebbero emerse gravi irregolarità tecniche dei punti vendita, per cui il 5 novembre 2009 le parti avrebbero dovuto concordare un “protocollo di lavori” per ovviarvi. In conseguenza di ciò l’attuale ricorrente avrebbe pagato per gli interventi di ripristino la somma di Euro 5.546.270,24 e avrebbe altresì dovuto sostenere ulteriori oneri per le correlate pratiche. Nella domanda extracontrattuale l’attuale ricorrente non si sarebbe lamentata dell’inadempimento del F. nei confronti di Unica S.r.l. (contratto cui era estranea), bensì avrebbe fatto valere nei confronti del F. “il proprio diritto all’integrità patrimoniale…leso in conseguenza del comportamento negoziale inadempiente posto in essere dall’ing. F. in relazione ai contratti intercorsi con Unica S.r.l.”. Si richiama quindi giurisprudenza di questa Suprema Corte (Cass. 18 luglio 2002 n. 1403 e S.U. 13 giugno 2012 n. 9590) per sostenere che l’illecito extra contrattuale addotto non sarebbe una generica e astratta violazione dei canoni di buona fede e correttezza, bensì “inosservanza di un obbligo in grado di rafforzare l’affidamento del terzo”, e si adduce che il danno extracontrattuale consisterebbe in quanto avrebbe pagato l’attuale ricorrente a Billa AG come indennizzo nonchè negli “ulteriori oneri” di UNI S.p.A. relativi alla vicenda.

Il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c., artt. 40 e 41 c.p., nonchè erronee, carenti e contraddittorie ricognizione e interpretazione dei principi relativi al nesso causale nell’illecito aquiliano rispetto alla responsabilità extracontrattuale del F..

Il Tribunale avrebbe negato che vi sia stata causalità diretta e immediata tra la condotta del convenuto e i pretesi danni attorei, ma in tal modo avrebbe violato i suddetti canoni. Nel caso in esame, dalla valutazione ex ante sarebbe risultato probabile che gli esborsi effettuati l’attuale ricorrente non avrebbe dovuto sostenerli se il F. “avesse correttamente adempiuto ai contratti” con Unica S.r.l., se non avesse commesso le gravi negligenze contestategli e se “non avesse reso all’esponente infondate ed erronee rassicurazioni sulla regolarità dei punti vendita, che hanno indotto UNI s.p.a. a rilasciare le garanzie contrattuali in favore di Billa AG”.

3.2.2 Il Tribunale, nella motivazione della sentenza impugnata, pone a sostegno del rigetto della domanda risarcitoria extracontrattuale due autonome rationes decidendi: la prima, il fatto che l’inadempimento contrattuale non potrebbe costituire fatto illecito ex art. 2043 c.c. nei confronti di un soggetto che rispetto al contratto è assolutamente terzo; la seconda, il fatto che nel caso di specie manca comunque ogni nesso di causalità diretta e immediata come esige l’illecito aquiliano, poichè il danno è derivato dalla “scelta autonoma della Uni S.p.A. di prestare delle garanzie così ampie” a Billa AG: in tal modo l’attuale ricorrente è incorsa in “negligenza” nel suo “vendere beni prima di verificarne il… valore”, e semmai sussiste responsabilità dei dirigenti di Unica S.r.l., i quali celarono a UNI S.p.A. “il minor valore dei propri beni aziendali”.

Non è discutibile, bensì emerge ictu oculi, che il contenuto della seconda ratio decidendi corrisponda ad un accertamento fattuale: e al riguardo il terzo motivo, che attiene appunto alla sussistenza nel caso concreto del nesso causale, prospetta in realtà una valutazione alternativa, che non rimane entro i confini della giurisdizione del giudice di legittimità, onde rende inammissibile il motivo.

Peraltro, se la seconda ratio decidendi rimane non inficiata dal motivo ad essa dedicato, l’inammissibilità investe pure il secondo motivo del ricorso, ovvero quello attinente (proponendo, in effetti, questione di diritto) alla prima ratio decidendi sulla base della quale si è fondato il rigetto della domanda risarcitoria aquiliana, non permanendo più alcun interesse processuale ad esaminare quanto addotto in tale motivo dal momento che resta comunque intatta la autonoma e sufficiente ulteriore ratio decidendi attinente all’assenza di nesso causale tra la condotta del F. e il preteso danno patito dalla ricorrente.

Invero, in presenza di più rationes decidendi, considerata l’autonomia di ciascuna a sorreggere in modo esaustivo la decisione, chi ricorre per cassazione avverso la decisione deve fondatamente censurarle tutte, onde, qualora soltanto una di esse sia investita da una censura fondata, la proposizione di tale censura risulta, logicamente, priva di interesse, poichè non inficia le ulteriori rationes decidendi (Cass. sez.3, 7 novembre 2005 n. 21490; Cass. sez. 3, 11 gennaio 2007 n. 389; Cass. sez. 3, 5 giugno 2007 n. 13070; Cass. sez. lav., 11 febbraio 2011 n. 3386; Cass. sez. 3, 14 febbraio 2012 n. 2108; S.U. 29 marzo 2013 n. 7931; Cass. sez. L, 4 marzo 2016 n. 4293). Il che significa rendere superfluo altresì l’accertamento della fondatezza o meno delle censure delle ulteriori rationes decidendi a partire dal momento in cui emerge che una delle rationes decidendi resiste alle censure ad essa attinenti.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto per quanto concerne il primo motivo, non trovando accoglimento invece gli ulteriori motivi; conseguentemente la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente grado, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione rispetto a quella con cui fu pronunciato il provvedimento che dichiarò inammissibile l’appello avverso la sentenza in questa sede cassata.

PQM

Accoglie il ricorso limitatamente al primo motivo, rigetta gli altri, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese del presente grado, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017

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