Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8678 del 12/04/2010

Cassazione civile sez. I, 12/04/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 12/04/2010), n.8678

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.E., elettivamente domiciliata in Roma, via San

Godenzo 59, presso l’avv. Aiello Giuseppe che la rappresenta e

difende giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Catania, cron. n. 2941,

del 9 luglio 2007, nella causa iscritta al n. 139/2007 R.G.C.C.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27 gennaio 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, dott. GOLIA Aurelio, che nulla ha osservato.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La corte:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti, con la quale – premesso che ” B.E. adiva la Corte d’appello di Catania, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tribunale di Gela il 26.7.1993, avente ad oggetto una divisione ereditaria, non ancora definita.

La Corte territoriale, con decreto del 9 luglio 2007, fissata la durata ragionevole del giudizio in cinque anni e due mesi, ritenuta sussistente la violazione del relativo termine per il periodo di anni otto e mesi sette, reputava fondata la domanda relativa alla dedotta sussistenza del danno non patrimoniale, stabilendo il risarcimento nella misura di Euro 600,00 per anno, condannano il convenuto a pagare complessivi Euro 6.008,00, nonchè le spese del giudizio nella misura di 1/3, dichiarando compensata la residua parte.

Per la cassazione di detto decreto ha proposto ricorso B. E., affidato a due motivi; ha resistito con controricorso il Ministero della giustizia” – si è osservato che “1.- La ricorrente, con il primo motivo denuncia violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 2056 e 1226 c.c., nonchè omessa ed insufficiente motivazione su si un punto decisivo della controversia (art 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

L’istante, in riferimento al termine di durata ragionevole fissato nel decreto, osserva riteniamo non valga la pena soffermarsi su una siffatta questione (pg. 10) e contesta l’entità della somma liquidata a titolo di equa riparazione. A suo avviso, il provvedimento, stabilendo il risarcimento nella misura di Euro 600,00 per ogni anno di ritardo, si sarebbe discostato dai parametri stabiliti dalla Corte EDU, senza fornire alcuna motivazione e sarebbe perciò censurabile.

E’ quindi formulato il seguente quesito di diritto: Il giudice di merito dovrà determinare l’equa riparazione adeguandosi ai criteri adottati in casi simili dalla CEDU, anche se con un margine di valutazione ragionevole e adeguatamente motivato”.

Il secondo motivo denuncia violazione e mancata applicazione di legge (tariffe professionali) e difetto di motivazione nel punto in cui il decreto impugnato ha liquidato le spese del giudizio in contrasto con la nota depositata, disponendone la parziale compensazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), disattendendo la nota spese.

2.- Il primo motivo – concernente – giusta la precisazione riportata nella sintesi, la sola misura del risarcimento – appare manifestamente fondato, nei termini precisati di seguito.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi dopo le sentenze del 2004 delle Sezioni Unite, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di modo che va ritenuto sussistente, senza bisogno di specifica prova (diretta o presuntiva), in ragione dell’obiettivo riscontro di detta violazione, sempre che non ricorrano circostanze particolari che ne evidenzino l’assenza nel caso concreto (Cass. S.U. n. 1338 e n. 1339 del 2004). Una volta che questo danno non sia stato escluso, i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte Europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, e, se intenda discostarsi dai criteri indennitari affermati dalla Corte di Strasburgo, senza incorrere nel vizio di violazione di legge (successivamente, per tutte, Cass. n. 9328 del 2008; n. 14274 del 2006), deve procedere sempre ad un giudizio di comparazione i cui termini sono costituiti, per un verso, dalla natura e dall’entità della pretesa pecuniaria avanzata e, per altro verso, dalle condizioni socio-economiche dell’attore e, quindi, può apportare le deroghe che siano in relazione ragionevole con detti parametri (Cass. n. 2254 del 2007) giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 19205 del 2005; n. 8600 del 2005; n. 8568 del 2005), avendo riguardo appunto alle particolarità della fattispecie (quali: l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 6898 del 2008; n. 1630 del 2006).

In applicazione di detti principi, il decreto non è immune da censure, in quanto ha liquidato una somma di Euro 700,00 per ciascun anno di ritardo, discostandosi in misura non ragionevole dai parametri della Corte EDU (fissati nella misura compresa tra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00), senza fornire adeguata motivazione, facendo generico e non ulteriormente esplicitato riferimento alla entità dell’interesse oggetto della causa.

Dalla manifesta fondatezza del mezzo consegue la cassazione del decreto e la possibilità di decidere nel merito la causa, facendo applicazione del parametro di Euro 1.000,00 per anno, in difetto di elementi che consentano di discostarsi, in melius o in peius, dal medesimo.

Il secondo motivo è destinato a restare assorbito, siccome dovrà procedersi alla riliquidazione delle spese.

Pertanto, il ricorso, stante la manifesta fondatezza, nei limiti e nei termini precisati, può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”;

B) osservato che la ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione, per quanto concerne la difformità dai parametri della Corte EDU della disposta liquidazione dell’indennità nella misura di Euro 700,00 per ogni anno di ritardo;

ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, deve essere accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e che il decreto impugnato deve essere annullato in ordine alla censura accolta;

B1) considerato che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1; che in particolare, determinato, secondo il non censurato accertamento del giudice del merito, in otto anni e sette mesi il periodo di durata non ragionevole, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; che, secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; ritenuto che tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno; che nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere alla ricorrente l’indennizzo di Euro 7.83300, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente;

B2) considerato altresì che le spese del giudizio di merito e di quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352).

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di B.E. della somma di Euro 7,833,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.

Condanna inoltre il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 595,00 di cui Euro 495,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2010

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