Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8675 del 29/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 29/03/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 29/03/2021), n.8675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31238-2019 R.G. proposto da:

PAPIRO SARDA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al

ricorso, dall’avv. Silvia OBINO, presso il cui studio legale sito in

Cagliari, alla via Garibaldi, n. 203, è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 864/04/2018 della Commissione tributaria

regionale della SARDEGNA, depositata il 24/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del giorno 21/01/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel corso dell’anno di imposta 2001 la Papiro Sarda s.r.l. effettuava investimenti in relazione ai quali maturava crediti d’imposta automatici per Euro 286.610,00, che utilizzava interamente in compensazione in parte nel corso dell’anno 2001 e in parte nell’anno 2002. Nel 2007 la Guardia di Finanza eseguiva una verifica a carico della predetta società a seguito della quale accertava che alcune spese per investimenti sostenute nel 2001 non potessero fruire del credito d’imposta in quanto riferibili ad investimenti in aree c.d. svantaggiate risultanti da fatture relative ad operazioni ritenute inesistenti, per cui in data 29/10/2007 inoltrava denuncia all’Autorità Giudiziaria per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.

2. In data 07/01/2009 l’Agenzia delle Entrate notificava alla società contribuente un avviso di recupero con cui rettificava le risultanze della dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2001 (presentata nel 2002), rideterminando il credito d’imposta spettante per l’anno 2001 e recuperando a tassazione, ai fini IVA ed IRAP, i crediti illegittimamente utilizzati in compensazione nel 2002.

3. Il ricorso proposto dalla società contribuente, che deduceva la decadenza dell’azione accertatrice per inosservanza dei termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, veniva rigettato dalla CTP di Cagliari per impossibilità di assimilare l’avviso di accertamento all’avviso di recupero, ritenendo quindi applicabile non il termine del citato art. 43, ma quello decennale e ritenendo comunque raddoppiato il termine di cui alla citata disposizione per la rilevanza penale dei fatti.

4. La questione veniva riproposta dalla società con ricorso in appello alla CTR della Sardegna che, sul presupposto che l’avviso di recupero aveva natura sostanzialmente accertativa e come tale era assimilabile all’avviso di accertamento, lo rigettava ritenendo applicabili i termini del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, nella specie raddoppiati per la rilevanza penale dei fatti contestati e l’intervenuta denuncia alla A.G., e rispettati comunque i termini decadenziali di otto anni previsti per gli avvisi di recupero del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. n. 2 del 2009.

5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre con due motivi la società contribuente, cui replica l’intimata con controricorso.

6. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1 e della L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132, censurando la sentenza impugnata per avere omesso di considerare che nel caso in esame le compensazioni oggetto di recupero da parte dell’amministrazione finanziaria erano state effettuate nell’anno d’imposta 2002, che il termine decadenziale ordinario di accertamento, di quattro anni, andava a scadere il 31/12/2006 e che non operava il raddoppio dei termini in forza del disposto di cui alla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132, essendo nella specie pacifico che la denuncia penale era stata inoltrata in data 29/10/2007, ovvero dopo la scadenza di quel termine.

2. Il motivo è fondato nei limiti di cui appresso si dirà.

3. Il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2006, integrando il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, ha stabilito che “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.c., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di cui ai commi precedenti (ovvero di notifica, a pena di decadenza, degli avvisi di accertamento) sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”.

3.1. Analoga disposizione è stata introdotta dall’art. 37, comma 25, del medesimo D.L. n. 223 del 2006, in materia di IVA, previa modifica del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57.

4. Orbene, ai sensi delle citate disposizioni, nei testi applicabili “ratione temporis” (e, quindi, prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 128 del 2015 e dalla successiva L. n. 208 del 2015, vertendosi nel caso di specie di avviso di accertamento emesso e notificato nell’anno 2014 – cfr., ex multis, Cass. n. 16728 del 2016, Cass. n. 26037 del 2016 e, più recentemente, Cass. n. 33793 del 2019) il raddoppio dei termini presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, tanto da essere del tutto indifferente l’effettiva presentazione della denuncia (cfr. Corte Cost. n. 247 del 2011, Cass. n. 1171 del 2016 e n. 27629 del 2018) e non rilevando nè la configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, nè l’intervenuta archiviazione della denuncia, “nè l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, nè la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario” (in termini, Cass. n. 9974 del 2015, n. 16728 del 2016 e più recentemente Cass. n. 22337 del 2018 e n. 5228 del 2019);

5. La Corte costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, ha evidenziato che l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicchè “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”.

6. Precisato che nel caso di specie la società contribuente non ha mai dedotto di aver contestato la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia (cfr. Cass. n. 13481 del 2020), osserva il Collegio che diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, non incidono sugli atti impositivi già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, com’è quello in esame, notificato il 7 gennaio 2009.

7. E’ orientamento consolidato di questa Corte, infatti, quello secondo cui “In tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per l’IRPEF e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per l’IVA, come modificati dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, conv., con modif., in L. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati” (Cass. n. 11620 del 2018; conf. Cass. n. 33793 del 2019).

8. Da quanto detto consegue che la statuizione impugnata va cassata con riferimento all’accertamento in materia di IRAP, posto che, “non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali, è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione temporis (cfr. Cass. n. 4775 del 2016; n. 20435 del 2017; n. 26311 del 2017; n. 23629 del 2017), mentre per il resto va confermata.

9. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 17, convertito con modificazioni dalla L. n. 2 del 2009. Sostiene la ricorrente che la CTR aveva errato nel ritenere rispettato nel caso di specie il termine di cui al comma 16 della disposizione censurata non avendo tenuto conto della norma transitoria di cui al successivo comma 17.

10. Il motivo è infondato e va rigettato.

11. Il D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 17, convertito, prevede che la medesima disposizione, comma 16, che fissa in otto anni il termine di decadenza per la notifica degli avvisi di recupero, salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater, “si applica a decorrere dalla data di presentazione del modello di pagamento unificato in cui sono indicati crediti inesistenti utilizzati in compensazione in anni con riferimento ai quali alla data di entrata in vigore del presente decreto” ovvero il 29/11/2008, “siano ancora pendenti i termini di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 1 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57”.

12. Orbene, anche a voler prescindere dal rilievo che il citato comma 16 nel suo incipit fa “salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per il reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater”, dettato in materia di “indebita compensazione” di crediti “non spettanti” (citato art. 10, comma 1) o “inesistenti” (comma 2), nella specie indubbiamente ipotizzabile come sussistente, ed anche a voler ritenere che nel caso in esame, per effetto della citata disposizione transitoria, non potrebbe applicarsi il termine ottennale previsto dal comma 16 – in quanto alla data del 29/11/2008, di entrata in vigore del D.L. convertito n. 185 del 2008, non era pendente il termine quadriennale di accertamento ordinario (di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 57) con riferimento all’anno d’imposta 2002, scaduto il 31/12/2006 – sarebbe comunque applicabile, per l’esercizio del potere di accertamento dell’amministrazione finanziaria, il termine decadenziale di cui alle disposizioni da ultimo citate, prorogato, così come chiarito esaminando il precedente motivo di ricorso (par. 3).

13. In estrema sintesi, il primo motivo di ricorso va accolto limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IRAP, con rigetto del secondo motivo.

14. Le spese processuali vanno compensate in ragione dell’esito del giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione e rigetta il secondo, compensando tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021

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