Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8673 del 29/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 29/03/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 29/03/2021), n.8673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30676-2019 R.G. proposto da:

FRAVER s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

C.F., nonchè T.M., C.R.,

CA.Ro.Gi. e C.A., rappresentati e difesi, per procura

speciale a margine del ricorso, dall’avv. Carlo CAFORIO, ed

elettivamente domiciliati in Roma, alla via Laura Mantegazza, n. 24,

presso lo studio legale dell’avv. Marco GARDIN;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 772/23/2019 della Commissione tributaria

regionale della PUGLIA, Sezione staccata di Lecce, depositata in

data 11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del giorno 21/01/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza n. 1480 del 27/06/2014 la Commissione tributaria regionale della Puglia rigettava l’appello proposto dalla FRAVER s.r.l., nonchè dai soci T.M., C.R., CA.Ro.Gi. e C.A. avverso la sfavorevole sentenza di primo grado pronunciata nel ricorso con cui i predetti contribuenti avevano impugnato gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società per maggiori redditi d’impresa ai fini IVA, IRES ed IRAP per gli anni d’imposta 2004 e 2005, derivante dal disconoscimento di costi che l’amministrazione finanziaria riteneva derivanti da operazioni inesistenti intercorse con la ditta individuale di tale M.A., nonchè nei confronti dei soci per il maggior reddito di capitale ai fini IRPEF loro spettante pro quota.

2. I contribuenti impugnavano per revocazione la predetta sentenza sostenendo che la CTR aveva rigettato l’appello valorizzando le dichiarazioni confessorie rese dal M. alla G.d.F. ma successivamente risultate non veritiere, per come desumibile dal provvedimento del GIP del Tribunale di Brindisi che, archiviando il procedimento iscritto nei confronti del predetto M. su denuncia presentata da T.M. e C.R., aveva escluso la sussistenza del reato di calunnia al medesimo contestato per difetto dell’elemento soggettivo, avendo il predetto M. riferito di aver fatto la dichiarazione sulla falsità delle fatture emesse dalla ditta a lui intestata sulla base delle informazioni dategli dal padre, vero dominus dell’impresa.

3. La CTR con la sentenza qui impugnata dichiarava inammissibile il ricorso per revocazione in quanto le dichiarazioni del M., raccolte dalla G.d.F., “non costituendo, di per sè, prova non possono essere oggetto di giudizio di falso e quindi non consentono la revocazione” e il provvedimento di archiviazione non costituiva giudicato.

4. Per la cassazione di tale sentenza ricorre con tre motivi la società contribuente, cui replica l’intimata con controricorso.

5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale i ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2 e dell’artt. 2727 e 2729 c.c., per avere la CTR escluso dal giudizio di revocazione la prova indiziaria rappresentata dalle dichiarazioni dei terzi.

2. Con il secondo motivo deducono la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, e dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2, per avere il giudice d’appello escluso che la falsità della prova possa essere desunta da altro provvedimento che non sia la sentenza.

3. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati e vanno rigettati alla stregua di Cass. n. 26140 del 2017 e Cass. n. 1590 del 2020 secondo cui “La prova falsa che, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 2, consente la proponibilità dell’impugnazione per revocazione è quella che sia stata dichiarata tale con sentenza passata in giudicato” (cfr., ex plurimis, Sez. 3, Ordinanza n. 28653 del 30/11/2017, Rv. 64665), “ovvero la cui falsità sia stata ammessa dalla parte a vantaggio della quale essa è stata utilizzata dal giudice, ma non la deposizione riconosciuta falsa o reticente dal testimone” (v. anche Cass., Sez. 2, Sentenza n. 7576 del 29/08/1994, Rv. 487790, secondo cui “La prova falsa che, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 2, consente la proponibilità dell’impugnazione per revocazione, è quella che sia stata dichiarata tale con sentenza passata in giudicato, ovvero quella la cui falsità sia stata riconosciuta dalla parte a cui vantaggio essa è stata utilizzata dal giudice (nella specie, si trattava, invece, di deposizioni testimoniali riconosciute false o reticenti dagli stessi testimoni)”, cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 3863 del 30/03/1992, Rv. 476480). Al riguardo osserva il Collegio che nel caso di specie non vi è stata pronuncia di falsità nè delle dichiarazioni del M. nè del di lui padre e ciò emerge chiaramente dal provvedimento del giudice penale che ha escluso l’elemento soggettivo del reato di calunnia in capo al M. senza alcuna verifica e conseguente pronuncia sulla falsità delle dichiarazioni e, per quanto rilevante in sede tributaria, sulla falsità delle operazioni contestate.

4. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per errata percezione da parte del giudice d’appello del contenuto del provvedimento del GIP.

5. Il motivo è inammissibile alla stregua del noto principio giurisprudenziale secondo cui “una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Cass. n. 1129 del 2019).

6. Da quanto detto consegue il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali che liquida in Euro 7.800,00 per compensi oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021

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