Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8673 del 04/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 04/04/2017, (ud. 23/01/2017, dep.04/04/2017),  n. 8673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8892-2014 proposto da:

P.J.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 262, presso lo studio dell’avvocato STEFANO OLIVA, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO 63,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO MARIA FARGIONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati LEONARDO PENNA, MARCO FALSINI

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

CONDOMINIO (OMISSIS), FONDIARIA ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 257/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 07/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/01/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS Mariella, che ha concluso per l’accoglimento dei primi tre

motivi, assorbiti gli altri;

udito l’Avvocato STEFANO OLIVA;

udito l’Avvocato LEONARDO PENNA;

udito l’Avvocato FABIO ALBERICI per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 25 settembre 2006 P.R.J. conveniva davanti al Tribunale di Firenze B.F., il Condominio di (OMISSIS) e la compagnia assicuratrice di quest’ultimo, Fondiaria Sai S.p.A., perchè – ciascuno per quanto gli spettasse o in solido – fossero condannati a risarcirgli i danni che aveva riportato dalla caduta da un balcone posto nell’appartamento del B. al quinto piano dell’edificio condominiale per cedimento di parapetto. Si costituivano resistendo i convenuti. Con sentenza n. 502/2013 il Tribunale di Firenze, ritenuto responsabile ex art. 2053 c.c. per quanto accaduto il B., lo condannava a risarcire l’attore, escludendo invece la responsabilità del condominio per non essere il balcone un bene comune.

Avendo il P. proposto appello principale in ordine alla responsabilità del condominio, chiedendone la condanna solidale, e avendo proposto appello incidentale il B., il condominio e la compagnia assicuratrice, con sentenza del 22 giugno-7 febbraio 2014 la Corte d’appello di Firenze, ritenendo prioritario l’appello incidentale del B., lo ha accolto, escludendo quindi la responsabilità dell’appellante ex art. 2053 c.c. perchè la rovina del balcone sarebbe derivata dal suo uso improprio da parte del P. per esservisi seduto, dovendosi inoltre tenere conto “nell’eziologia” dell’evento che il P. era in stato di alterazione alcolica.

2. Ha presentato ricorso il P. sulla base di sette motivi.

2.1 I primo motivo denuncia, facendo riferimento in rubrica all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., “sentenza fondata su prove inesistenti”, violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e “vizio della motivazione”.

Il giudice d’appello afferma che il ricorrente sarebbe stato in alterazione alcolica quando cadde dal balcone: si tratterebbe però di fatto falso e non provato. In tal senso vengono richiamati il referto di polizia, i dati del pronto soccorso, la cartella clinica e la c.t.u. medica, rimarcando la non identificazione del “medico” che, secondo la corte territoriale, sarebbe “intervenuto nell’immediatezza del fatto” e gli avrebbe così rilevato l’alterazione alcolica del P.. Si sostiene che quindi la prova di tale alterazione “non esiste e non è mai esistita agli atti”. Si osserva altresì che non si sarebbe dinanzi a una questione di interpretazione di prova, bensì ad una “invenzione di una prova inesistente”, per cui il vizio non riguarderebbe il fatto, ma il diritto nella misura in cui, inventandola, il giudice d’appello “ha di fatto pronunciato in violazione” dell’art. 116 c.p.c., artt. 2727 e 2729 c.c. A ciò si aggiunge che, di fronte alla prova certa della inesistenza di stato di ebbrezza del P. (ovvero quanto attestato dalla documentazione del pronto soccorso), il giudice non può avvalersi di presunzione, nè comunque preferire una prova presuntiva alla prova documentale.

2.2 Il secondo motivo, ancora in riferimento in rubrica all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., omesso esame dell’appello principale, violazione e falsa applicazione dell’art. 352 c.p.c. e vizio motivazionale.

La corte territoriale avrebbe omesso di decidere sull’appello principale dell’attuale ricorrente, riguardante la responsabilità anche del condominio, in quanto il parapetto “per la sua particolare conformazione, si inseriva come elemento ornamentale, o comunque caratterizzante la facciata dell’edificio”, dovendosi quindi qualificarlo parte comune. La corte pertanto avrebbe dovuto nella sua motivazione esternare le ragioni del mancato accoglimento dell’appello principale.

2.3 Il terzo motivo, sempre in riferimento in rubrica all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e vizio motivazionale.

Il giudice d’appello afferma che l’attuale ricorrente non ha contestato che il balcone fosse “intercluso” (rectius: ne fosse vietato l’accesso agli ospiti dell’appartamento), laddove, invece, nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, la contestazione era stata avanzata. Sarebbe poi abnorme, contraddittoria e illogica la motivazione della sentenza laddove perviene a concludere che gli studenti – il ricorrente alloggiava nell’appartamento con un gruppo di compagni di studio – avessero scavalcato una finestra per accedere al balcone. Viene rimarcato altresì che nella conclusionale si è richiamata la c.t.u., per cui non sarebbe risultato che “il balcone fosse stato interdetto”, e non vi sarebbero stati comunque dispositivi per impedirvi l’accesso, sostenendo che per sgravarsi di responsabilità, altrimenti oggettiva, il proprietario dell’appartamento avrebbe dovuto dimostrare di averli adottati. Il “fatto principale” su cui il giudice d’appello fonderebbe la decisione, cioè “la presunta mancata contestazione della pretesa interdizione del balcone” sarebbe dunque “falso”. Dopo aver ulteriormente argomentato su come gli studenti avevano raggiunto il balcone, si adduce che la corte territoriale fornisce una motivazione apparente, perchè non vi sarebbe prova che al momento del fatto fossero preclusi il balcone e la relativa stanza.

2.4 Il quarto motivo, ancora in riferimento in rubrica all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 244 c.p.c. e ss. e art. 202 c.p.c. e ss. e vizio motivazionale.

Nella motivazione della sentenza impugnata si afferma che la teste G.R., in s.i.t. rese alla polizia dell’ospedale dove fu ricoverato il P., avrebbe dichiarato che egli era seduto sul parapetto quando questo improvvisamente cedette. Ma la suddetta non fu testimone nel processo civile e le sue s.i.t. non furono acquisite agli atti. Nessuna parte poi ha autorizzato una sua testimonianza scritta ex art. 257 bis c.p.c., e poichè le prove orali formatesi in altro giudizio siano utilizzabili, devono essere acquisite, mentre, appunto, in questa causa non lo sarebbero stati i verbali di tali s.i.t.. Argomenta poi il motivo nel senso che possano utilizzarsi elementi probatori assunti in processo penale qualora nel processo civile le parti non abbiano chieste altre prove, e ciò per sostenere che l’attuale ricorrente, quale attore, le aveva invece chieste, per cui il giudice civile avrebbe dovuto ammetterle.

2.5 Il quinto motivo, ancora in riferimento in rubrica all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. nonchè vizio della motivazione.

La corte territoriale, “respingendo l’appello principale”, avrebbe ritenuto che il balcone non fosse parte comune, come già erroneamente reputato dal giudice di prime cure. Invece il parapetto del balcone sarebbe stata una parte comune in quanto caratterizzante la facciata dell’edificio condominiale e la c.t.u. svolta avrebbe attestato tale incidenza sull’aspetto estetico, dato che, però, il giudice di merito non avrebbe tenuto in conto. Quindi il giudice d’appello, nel non affrontare la questione, sarebbe incorso non solo nel vizio di omessa pronuncia già denunciato come secondo motivo, ma anche in violazione di legge e vizio di illogicità motivazionale per omessa considerazione della natura condominiale del parapetto.

2.6 Il sesto motivo, sempre in riferimento in rubrica all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, denuncia violazione e scorretta applicazione degli artt. 342 c.p.c. e ss. e vizio motivazionale, per non avere il giudice d’appello rilevato che gli appelli incidentali delle parti appellate erano inammissibili per difetto di specificità ed assenza dei requisiti minimi di cui agli artt. 342 c.p.c. e ss..

2.7 I settimo motivo, in riferimento in rubrica all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, lamenta violazione e scorretta applicazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2727 e 2729 c.c. e vizio motivazionale.

Il giudice d’appello avrebbe dato rilievo alle testimonianze di B.C. – figlia di B.F. – “sulla presunta interclusione del balcone” nonchè di tali Bi. e L., che avrebbero deposto nel senso che il P. era seduto sul parapetto. In realtà, secondo il ricorrente, Bi. e L. sarebbero stati “testimoni impossibili” perchè si trovavano cinque piani più sotto, cioè nel cortile, e in un’ora in cui era buio. E comunque nessun testimone avrebbe detto che il P. fosse stato a cavalcioni del parapetto. Ad avviso del ricorrente, non sussiste nemmeno la prova che egli vi fosse seduto quando crollò.

Si osserva altresì che, per chiarire le circostanze di fatto, la difesa dell’attuale ricorrente aveva chiesto la testimonianza degli studenti che erano con lui sul balcone: il giudice di prime cure aveva ammesso la loro testimonianza, ma poi, nonostante fossero i testimoni tutti residenti all’estero, aveva rifiutato la rogatoria ex art. 204 c.p.c.; detto giudice, peraltro, “non può aver escluso le testimonianze allegate dalla parte attrice, inizialmente ammesse, sol perchè i testi dovevano essere sentiti per rogatoria”.

Il giudice d’appello poi avrebbe costruito l’evento – quanto alle modalità di accesso degli studenti nel balcone, alla posizione del P. al momento del sinistro e alla interclusione o meno del balcone – mediante “due scorrette applicazioni dell’istituto della presunzione” (il riferimento è alla presunzione di interclusione per mancata sua contestazione come denunciato nel secondo motivo e alla presunzione che il P. fosse seduto sul parapetto). Se la corte territoriale è ricorsa alla presunzione questo significherebbe che mancava prova diretta; quindi la lista testimoniale del ricorrente sarebbe stata “azzerata” pur in mancanza di prova certa di fatti. Ma secondo il ricorrente l’evento pacificamente sarebbe avvenuto perchè egli era sul balcone e parte del parapetto cedette: tali fatti verrebbero a fondare la presunzione di responsabilità del proprietario e del condominio, “a seconda della funzione protettiva e/o estetica del parapetto”. Tutto il resto – la posizione del P., l’interclusione del balcone e la liceità del suo accesso – rientrerebbe nella prova liberatoria che dovrebbe essere fornita dal proprietario, e il cui mancato raggiungimento comporterebbe l’accoglimento della domanda. Il ricorrente fa riferimento a giurisprudenza relativa alla fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. per sostenere che non rileva l’ordinarietà dell’uso della cosa in custodia, bensì la prevedibilità dell’uso che ne viene fatto e la pericolosità della cosa: pertanto, se un balcone è accessibile e pericoloso, vi sarebbe necessità di prevenire anche l’accesso dalla finestra, poichè il custode dovrebbe “estendere la sua cautela anche ai danni potenzialmente derivanti da vizi impropri, ma prevedibili, della cosa in custodia”, onde sarebbe insufficiente vietare l’accesso e chiudere sulla porta. Ma se ciò vale per la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. per il custode, secondo il ricorrente vale anche per il proprietario dell’edificio ai sensi dell’art. 2053 c.c., che delinea una responsabilità oggettiva. Quindi, se davvero il ricorrente era giunto al balcone dalla finestra – il che sarebbe peraltro non provato -, pur essendo il balcone pericoloso e non adeguatamente mantenuto (“ne è prova il cedimento del parapetto”), poteva farlo “senza particolari difficoltà”. Invece il proprietario avrebbe dovuto evitare il rischio impedendo adeguatamente l’accesso.

Si adduce altresì che non sarebbe ipotizzabile una responsabilità concorrente del P., per difetto di prova che egli abbia svolto attività pericolose: in particolare non vi sarebbe prova sul suo essersi posto a cavalcioni sul parapetto e sull’ubriachezza. In ogni caso l’eventuale concorso di responsabilità varrebbe soltanto nei confronti del B. e non anche del condominio, perchè la responsabilità condominiale non deriverebbe da una relazione di custodia, bensì dalla funzione estetica del parapetto.

Il ricorso si conclude con domanda di decisione nel merito ex art. 384 c.p.c.

Si difendono, ciascuno con suo controricorso, B.F., il condominio e la compagnia assicuratrice, ora UnipolSai Assicurazioni S.p.A.

Hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. il ricorrente e il condominio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è fondato per quanto si verrà ad esporre.

3.1 Come si è visto nella sintesi appena tracciata dell’ampio contenuto del ricorso, in ogni doglianza viene denunciato anche vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Per meglio comprendere, allora, queste doglianze è opportuno subito esaminare come la corte territoriale ha motivato la sua decisione.

La corte prende le mosse dall’asserto che l’appello incidentale del proprietario dell’appartamento “pone temi che si palesano logicamente prioritari rispetto alla complessiva materia controversa”. E poichè il B. si era difeso anche adducendo l’esistenza di un rapporto di locazione in cui sarebbe stato vietato l’accesso nel balcone, la corte in primis dedica la sua attenzione a tale profilo (pagine 6-8), pervenendo ad affermare, sulla base in sostanza della testimonianza della figlia dell’asserito locatore B.C. e della non contestazione da parte della difesa dell’attuale ricorrente del divieto che la teste avrebbe riferito, che “la conclusione che sul punto dev’essere raggiunta è che i giovani abbiano raggiunto il balcone accedendovi dalla finestra del bagno, che dalle fotografie allegate alla relazione peritale si palesa assolutamente comoda in relazione a detto fine, comunque che lo abbiano fatto ignorando il limite posto dagli accordi ricordati dalla testimone e non contestati della difesa attrice”.

Dopo questo argomento, che pare a favore del P. perchè conclude che chi andò sul balcone non conosceva il divieto di accedervi (“il limite posto dagli accordi”) la corte territoriale passa in medias res, ovvero alla descrizione di quel che accadde (pagine 8-9).

Osserva allora: a) che sul balcone gli studenti stavano facendo una festa, ciò risultando dalle testimonianze di tali Bi. e L.: “numerosi di loro (la testimone Biagi ha affermato che (sic) di averne visti quattro) si sedevano sul bordo del parapetto del balcone”; b) “La testimone G.R., in sede di sommarie informazioni rilasciate alla Polizia di Stato presente nel nosocomio in cui il P. è stato ricoverato, ha riferito che il P. era seduto sul parapetto del balcone quando “improvvisamente la struttura del parapetto ha ceduto e R. è caduto all’indietro”” c): “Dalla relazione peritale e relative fotografie è agevole rendersi conto sia della conformazione del parapetto, sia della parte di esso che ha ceduto. Ebbene, in quel tratto…il parapetto è costituito da elementi laterizi traforati, che a propria volta sono sovrastati da una lastra di travertino. Ciò che ha ceduto è, oltre alla suddetta lastra, una porzione della stessa struttura in laterizio… Il C.T.U. ha adeguatamente illustrato le ragioni per cui il parapetto, conforme alla normativa vigente all’epoca dell’edificazione,… era costruito e mantenuto in condizioni tali da essere idoneo alla funzione che gli è propria, vale a dire di elemento che serve ad evitare la caduta nel vuoto di persone od oggetti che si trovino sul balcone… Si può quindi pervenire ad individuare la causa del fatto dannoso, premettendo che nell’eziologia deve riconoscersi rilevanza a quell’elemento che è stato invece ritenuto indifferente dal primo giudice e cioè lo stato di alterazione alcoolica del soggetto agente, rilevata dal medico intervenuto nell’immediatezza del fatto: una persona sobria ben difficilmente si sarebbe messa a sedere sopra il parapetto di un balcone, posto al quinto piano, dando le spalle al vuoto”. Quindi, sulla base di questo, il giudice d’appello enuncia la sua conclusione: “Il fatto dannoso si è verificato in conseguenza non già dell’uso che sarebbe stato proprio del parapetto di cui si discorre, vale a dire dell’eventuale appoggiarsi ad esso dei giovani che, sia pur illegittimamente, si trovavano sul balcone, ma di un uso improprio, quale descritto dai testimoni: il peso eccessivo imposto sul parapetto dalla persona del P. che vi sedeva sopra. Dimostrato che la rovina del parapetto non è dipesa da difetto di manutenzione o da vizio di costruzione ma dall’altra ed inopinabile causa, non riferibile al proprietario, il B. va ritenuto esente dalla responsabilità che è prevista dall’art. 2053 c.c.”.

3.2 Se ne deduce, quindi, in primo luogo che gli studenti ignoravano che non avrebbero dovuto accedere al balcone, ma nonostante ciò hanno in essere una condotta illegittima accedendovi; in secondo luogo che i testi Bi. e L. hanno visto quello che accadeva sul balcone, nonostante che la festa fosse avvenuta in ora serale/notturna in data (OMISSIS) (la corte però non indica se erano anche loro sul balcone o se si trovavano altrove, vale a dire non indica le modalità della percezione da parte loro di quello che accadeva) e vi constatavano la presenza di più persone sedute sul parapetto del balcone (benchè non emerga se questo era o meno illuminato da una qualche luce posta su di esso o nell’appartamento); in terzo luogo che la teste Biagi ha dichiarato che le persone erano quattro, senza però indicare che una di queste fosse il P.. Infine, che quest’ultimo fosse seduto sul parapetto si evince dalla “testimone G.R.”, e precisamente da “sommarie informazioni rilasciate alla Polizia di Stato presente nel nosocomio in cui il P. è stato ricoverato”. Peraltro le dichiarazioni rese dalla suddetta si limitavano a riferire che il P. era seduto sul parapetto quando “improvvisamente la struttura del parapetto ha ceduto”. La motivazione della sentenza non precisa comunque altri dati: se il P. era seduto da solo o con altri sul parapetto, da quanto tempo si era seduto quando questo è crollato e che tipo di corporatura – massiccia o magra, obesa o snella ecc. – aveva all’epoca il P.. La corte territoriale, a questo punto, dato atto che secondo il c.t.u. il parapetto era idoneo, per costruzione e manutenzione, alla sua funzione di impedire la caduta di chi si trovasse sul balcone, conclude in realtà con un’argomentazione duplice.

La causa del crollo sta anche nel fatto che il P. era ubriaco. Ciò è stato accertato “dal medico intervenuto nell’immediatezza del fatto”. La corte, peraltro, non dà le generalità di questo “medico intervenuto nell’immediatezza del fatto”, nè indica se tale accertamento è avvenuto mediante una sua testimonianza oppure in via documentale (in tal caso attraverso quali documenti). Al che consegue che l’ubriachezza affermata non poggia su dati concretamente provati. Illogico appare poi il successivo argomento per cui una persona sobria non si sarebbe seduta sul parapetto di un balcone posto al quinto piano dando le spalle al vuoto. Allora, la causa del crollo è nel sedersi sul parapetto e solo in questo, poichè la corte non attribuisce alcun altro movimento o alcuna altra iniziativa al P. che abbia causato il crollo stesso. Peraltro la motivazione è anche carente laddove non spiega come in difetto di altri movimenti od iniziative del P. causativi del crollo la sola pretesa sua alterazione alcolica abbia inciso sull’eziologia del fatto.

La seconda causa che, nella prospettazione della corte, genera il fatto dannoso è l’uso improprio del balcone, “quale descritto dai testimoni: il peso eccessivo imposto sul parapetto dalla persona del P. che vi sedeva sopra”. Ma anche qui restano oscuri quali siano i testimoni che hanno dichiarato che il P. ha imposto al parapetto un “peso eccessivo” e quindi quali siano la fonti di prova da cui trarre la conclusione. Forse allora che l’uso improprio consista nel sedersi su un parapetto di un balcone, perchè ciò è sufficiente a provocare il crollo? Non lo afferma neppure la motivazione, poichè dà atto che altre persone erano sedute, ed è pacifico che queste non sono cadute.

3.3 A questo punto, dopo una completa analisi della struttura e del contenuto “portante” dell’apparato motivazionale offerto dal giudice d’appello, non si possono non richiamare gli interventi nomofilattici che hanno chiarito il significato della riforma, operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Se è vero che questo ora recita che la sentenza può essere impugnata “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, è altrettanto vero che la lettera esige una interpretazione correttamente conforme all’inquadramento sistemico in cui la norma rimane inserita. Le Sezioni Unite hanno letto, per così dire, quel che dopo la novellazione è “rimasto tra le righe”, cioè la permanente necessità di un modulo motivativo reale, ovvero rispettoso del principio costituzionale di cui all’art. 111 Cost., comma 6. Anche qualora sia stato formalmente esaminato ogni fatto decisivo controverso, ciò non toglie che la motivazione debba avere esternato tale analisi con modalità rispettosa del c.d. minimum costituzionale, e non mediante un mero richiamo materiale.

La ben nota S.U. 7 aprile 2014 n. 8053 afferma infatti che il testo riformato “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione” onde rimane denunciabile “l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”. Il sindacato del giudice di legittimità, pertanto, investe ancora, benchè entro limiti assai rigorosi, il contenuto della motivazione relativa all’accertamento di fatto.

Sviluppa questo insegnamento – seguito frattanto dalle sezioni semplici successive -, assai di recente, un altro intervento nomofilattico, S.U. 3 novembre 2016 n. 22232, ulteriormente “scavando” nel concetto della motivazione apparente che la contestualizzazione sistemica ha condotto ad affiancare a quello dell’assenza materiale di motivazione: la motivazione apparente è tale quando non rende “percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento”; e nel caso di specie ciò era avvenuto per la presenza di “considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione”. L’incomprensibilità oggettiva che il precedente arresto delle Sezioni Unite aveva indicato come integrante l’apparenza motivazionale – come lo integra quell’elevato tasso di contraddittorietà che pure conduce alla incomprensibilità – è stata così identificata anche nella incompletezza delle argomentazioni, ovvero nell’utilizzo di argomentazioni che potrebbero assumere un significato di esternazione del ragionamento soltanto se costituenti la base per necessarie argomentazioni successive, ovvero se sviluppate in queste.

Non può non rimarcarsi che entrambi questi fondamentali interventi hanno individuato come parametro l’oggettiva comprensibilità del ragionamento seguito dal giudice per formare il suo convincimento: parametro che, ictu oculi, incarna il ruolo della motivazione, ovvero la trasparenza nell’esercizio della funzione giurisdizionale. Quest’ultima è sì manifestazione della sovranità popolare attraverso il pertinente strumento normativo (art. 101 Cost., comma 1): ma laddove la conformità a quest’ultimo non assorbe in toto l’esercizio della giurisdizione, ovvero laddove non trattasi esclusivamente di questione di diritto bensì di accertamento di fatto, ontologicamente non essendo sufficienti ad attribuire la necessaria trasparenza all’esercizio della giurisdizione neppure le norme che dettano la via procedurale e i canoni interpretativi degli elementi probatori, il giudice è tenuto a rendere conto di come è pervenuto ad accertare il fatto in forza del combinato disposto dell’art. 101 Cost., comma 1, e dell’art. 111 Cost., comma 6. Se, dunque, sul contenuto dell’accertamento il giudice di legittimità non ha alcun sindacato, rimane peraltro, in una lettura costituzionalmente orientata, nell’ambito denunciabile del vizio motivazionale anche il profilo dell’apparenza della motivazione, da intendersi come motivazione che non esterna realmente l’iter decisionale di fatto, bensì offre una motivazione in termini di stile assolutamente generici o anche argomenta su dati specifici ma comunque in modo oggettivamente incomprensibile, pure per incompletezza e/o insuperabile illogicità.

3.4 Quest’ultima patologica conformazione affligge la motivazione della sentenza impugnata, per quanto sopra si è esposto.

Il giudice d’appello, invero, impernia il suo apparato motivaziuonale su dati nettamente ambigui/contraddittori oppure incompleti: vi sarebbero stati “testimoni” che avrebbero visto il P. svolgere l’uso improprio – ad avviso della corte territoriale – del parapetto, ma questi testimoni non sono identificati, per cui tale asserto avrebbe dovuto essere la base di una successiva indicazione, del tutto mancante; e ciò considerato che – e qui la motivazione cade anche nella manifesta contraddittorietà intrinseca, come conseguenza di una genericità manifesta – un’unica persona, secondo i precedenti passaggi della motivazione, avrebbe visto il P. seduto sul parapetto, dichiarandolo però non come testimone ma solo in sommarie informazioni alla polizia.

Ancora: il giudice d’appello si limita a definire un uso improprio causativo del crollo la seduta sul parapetto del P., perchè questo vi avrebbe imposto “il peso eccessivo”: l’argomentazione è a sua volta incompleta, in quanto avrebbe dovuto costituire la base per indicazioni più puntuali: quale era il peso che il P. aveva “imposto sul parapetto”, quale maggior peso sarebbe stato rispetto a quello che avevano imposto al parapetto le altre persone – anche quattro contemporaneamente – che secondo le testimonianze si erano sedute sul parapetto, e quale limite avrebbe avuto il carico sopportabile dal parapetto vista la sua struttura edilizia. Tutti dati tralasciati dalla corte di merito.

Sempre sulla stessa linea di introdurre elementi vari, ma non in modo completo, così da costruire l’accertamento a mezzo di materiale di base su cui però non sono state erette le necessarie argomentazioni successive, la corte territoriale afferma che il P. sarebbe stato in alterazione alcolica “rilevata dal medico intervenuto nell’immediatezza del fatto”: la corte avrebbe dovuto, per avvalersi di tale elemento, indicare le modalità con cui era stato acquisito nel compendio probatorio, ovvero se si trattava di una prova dichiarativa o documentale, e naturalmente chi fosse questo non identificato soggetto definito “medico” e come questi avrebbe potuto, nella situazione catastrofale in cui si trovava il P., accertarne l’ebbrezza.

Ancora, il giudice appello non spiega il suo ulteriore, incompleto asserto sulla incidenza eziologica della pretesa ebbrezza del P., ovvero come questa avrebbe potuto incidere su quel “peso eccessivo” che, a suo avviso, ha costituito l’uso improprio causante.

In conclusione, la motivazione mediante la quale la corte territoriale esterna l’iter percorso nell’espletare il suo accertamento di fatto non è corrispondente al minimo costituzionale, poichè le argomentazioni adottate risultano incomplete e pertanto inidonee a consentire di comprendere realmente sulla base di quali effettivi elementi di prova la corte sia giunta a ritenere sussistenti i presupposti per riformare la sentenza di primo grado e ritenere esclusivo responsabile del tragico evento il P..

3.5 L’esistenza del vizio motivazionale denunciato assorbe pertanto ogni ulteriore questione relativa alla responsabilità del B., in quanto presupposto ne è l’accertamento del fatto, che, come si è appena evidenziato, la corte allo stato non permette di comprendere. Deve peraltro ricordarsi a proposito dell’oggetto di tale accertamento, che la responsabilità del proprietario ex art. 2053 c.c. è in astratto configurabile nel caso in esame, poichè la “rovina” cui fa riferimento il legislatore è integrata da ogni disgregazione, anche limitata, degli elementi strutturali di una costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati (v. p. es. Cass. sez. 3, 12 novembre 2009 n. 23939). Trattasi di responsabilità oggettiva rispetto alla quale la prova liberatoria deve dimostrare che la rovina non discende da vizi di costruzione o difetto di manutenzione, bensì da un fatto esterno che sia dotato di efficacia causale autonoma rilevante come caso fortuito, comprensivo della condotta di un terzo o dello stesso danneggiato, ciò non escludendo, d’altronde, un concorso di cause da cui derivi logicamente una spartizione in termini di percentuale della responsabilità (cfr. Cass. sez. 3, 21 gennaio 2010 n. 1002).

La responsabilità oggettiva, naturalmente, sorge per ogni proprietario del bene da cui è venuta la rovina, onde deve essere accertata anche la qualità o meno di proprietario del condominio, che è stata devoluta con l’appello del P.: salvo ovviamente che davvero sia accertata una prova liberatoria che addossi esclusivamente al P. la causazione del fatto. Prova liberatoria che, peraltro, non può essere raggiunta se non sulla base di una attenta e completa identificazione degli elementi probatori acquisiti e pertinenti e sulla base altresì della identificazione, anche specificamente tecnica se necessario (come usualmente in tali casi logicamente lo è), di come la condotta da lui tenuta, se davvero emergente in modo chiaro e certo dal compendio probatorio, abbia o no inciso sul crollo del parapetto, vista la situazione in termini edilizi in cui all’epoca del fatto questo si trovava; e non è d’altronde configurabile al contrario – non si può non notare – una sorta di responsabilità oggettiva della persona presente sul balcone per il suo essersi seduto (se davvero lo ha fatto) sulla balaustra, essendo notorio che solo un balcone non ben costruito o non ben mantenuto viene a crollare per una semplice seduta (di cui, si ricorda, se mai effettivamente vi fosse stata, dagli “spezzettati” elementi addotti dalla corte territoriale nella sua inidonea motivazione non emerge, neppure all’incirca, la durata).

In conclusione, ritenuto fondato il ricorso per quanto di ragione e conseguentemente assorbita ogni ulteriore questione, la sentenza deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del grado, alla stessa corte territoriale in diversa composizione.

PQM

Cassa per quanto di ragione e rinvia, anche per le spese del grado, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017.

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