Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8672 del 29/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 29/03/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 29/03/2021), n.8672

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30532-2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso

la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

MASP 2009 s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1387/07/2019 della Commissione tributaria

regionale del LAZIO, depositata il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del giorno 21/01/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento di diniego di disapplicazione di norme antielusive avanzata dalla Masp 2009 ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30 la CTR del Lazio con la sentenza in epigrafe indicata rigettava l’appello dell’amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo impugnabile il detto provvedimento e sostenendo nel merito che l’appello era infondato ed andava respinto.

2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate Riscossione propone ricorso per Cassazione sulla base di due motivi, cui non replica l’intimata.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 e art. 100 c.p.c..

Il motivo, incentrato sulla non impugnabilità del provvedimento negativo di risposta ad interpello disapplicativo della L. n. 724 del 1994, ex art. 30 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis è infondato e va rigettato.

Invero, l’Agenzia delle entrate con il provvedimento impugnato dalla società contribuente, ha rigettato l’istanza di interpello di quest’ultima per la disapplicazione delle disposizioni antielusive, L. n. 724 del 1994, ex art. 30 per ragioni di merito, “non ritenendo sussistenti, nella fattispecie in esame, quelle “situazioni soggettive” richieste dalla norma per la sua disapplicazione” (pag. i della sentenza impugnata e pag. 2 del ricorso).

Pertanto, il provvedimento dell’amministrazione finanziaria ha indubitabilmente natura e contenuto di diniego definitivo della chiesta disapplicazione, con conseguente ammissibilità della sua impugnabilità giudiziale, come più volte affermato da questa Corte, secondo cui “In tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. 28 dicembre 2001, n. 448. Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 37 bis, comma 8, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 ma provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 17010 del 05/10/2012, Rv. 623917; conf., Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23469 del 06/10/2017, Rv. 646406).

Il principio è stato ribadito da Cass. n. 18604 del 2019, secondo cui “il rigetto dell’interpello D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37 bis, comma 8, (applicabile “ratione temporis”) è atto definitivo in sede amministrativa, autonomamente impugnabile”, nonchè da Cass. n. 32425 del 2019 secondo cui, “In tema di processo tributario, la tassatività dell’elencazione degli atti di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 non esclude che il provvedimento agenziale di rigetto dell’istanza di interpello, avendo natura e contenuto di diniego definitivo della disapplicazione di norme antielusive (a differenza di quello interlocutorio), possa essere impugnato giudizialmente dal contribuente, in applicazione estensiva e costituzionalmente orientata delle disposizioni in materia”.

Con il secondo motivo viene dedotto, quale error in procedendo, il difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata sull’accoglimento nel merito del ricorso della contribuente ed il rigetto dell’appello dell’ufficio, in violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, e art. 132 c.p.c., avendo la CTR ritenuto, con affermazione lapidaria, che “l’appello è infondato” e “va, pertanto, respinto”.

Invero, la Commissione di primo grado, dopo aver dichiarato l’ammissibilità del ricorso della società contribuente, l’aveva accolto “ritenendo “fatto notorio” la mancanza della ripresa economica e della domanda nel settore immobiliare”. L’Agenzia delle entrate aveva impugnato tale statuizione sia con riferimento alla dichiarazione di ammissibilità del ricorso, sia con riferimento alla statuizione di merito, per come si desume dal contenuto dell’atto di appello ritrascritto, in parte qua, nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza e la CTR ha pronunciato su entrambe le domande, rigettandole ma con motivazione che ha sviluppato solo in ordine al primo motivo di appello.

Ne consegue l’accoglimento del motivo in esame posto che quella resa dalla CTR sul motivo che attingeva il merito della controversia è motivazione meramente apparente, inidonea a consentire di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire al risultato enunciato (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata; v. anche Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

In estrema sintesi, il primo motivo di ricorso va rigettato mentre va accolto il secondo e la sentenza impugnata va conseguentemente cassata in relazione a tale motivo con rinvio alla competente CTR per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021

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