Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 867 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 17/01/2020), n.867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Nel procedimento n. 34822/18 RG, proposto da:

I.F., rappresentato e difeso dall’avv. Marco Romagnoli di

Tolentino (MC) per procura speciale in atti; domicilio PEC;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (cf (OMISSIS)), domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso il decreto n. 8315/18 del Tribunale di Bari, depositato il

12.9.18;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2019 dal consigliere Dott. Giacomo Maria Stalla.

Fatto

OSSERVA

p. 1. I.F., n. a (OMISSIS) (ammesso al patrocinio a spese dello Stato) propone due motivi di ricorso per la cassazione del decreto n. 8315 del 19.11.18, con il quale il tribunale di Bari, sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale, ha rigettato (nella contumacia del Ministero degli Interni) il ricorso da lui proposto contro la decisione con la quale la competente Commissione Territoriale aveva respinto la sua istanza di protezione internazionale (status di rifugiato ovvero, in subordine, protezione sussidiaria o rilascio di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie).

Il Tribunale, previa ricostruzione dei tratti salienti della disciplina giuridica della protezione internazionale nelle sue varie articolazioni, ha in particolare rilevato che:

infondata era la domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato (art. 10 Cost.; L. n. 722 del 1954 di ratifica della Conv.Ginevra 28.7.51; Dir.CE 2004/83; D.Lgs. n. 251 del 2007), dal momento che i fatti narrati dal richiedente (ancorchè probatoriamente valutati secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1 e 2 cit.) non riguardavano persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale, sicchè non potevano integrare gli estremi di cui all’art. 1 Conv. cit. ed al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e);

neppure sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), dal momento che: a) il richiedente aveva dichiarato di essere di fede cristiana e di essere fuggito dalla Nigeria per timore di essere ucciso da alcuni giovani che avevano fatto irruzione nel seggio elettorale dove lui svolgeva funzioni di identificatore dei votanti, durante le elezioni del 14 aprile 2007; in tale occasione, egli era fuggito ed aveva denunciato l’accaduto alla polizia; tuttavia, aveva il giorno dopo appreso dal padre che i quattro ragazzi lo avevano cercato a casa e che, per evitare di essere ucciso da loro, egli doveva fuggire; si era dunque recato da uno zio e, da qui, in Libia ed infine in Italia. Questo racconto (puramente ripetitivo, senza alcun elemento di novità, di quanto già esposto in occasione di due precedenti istanze di protezione internazionale già disattese dalle commissioni territoriali di Bari e di Ancona) risultava alquanto generico ed inattendibile, non comprendendosi neppure la ragione per cui i quattro ragazzi avrebbero dapprima sparato all’interno del seggio e, il giorno dopo, ricercato il richiedente; il quale, in tal maniera, non aveva allegato alcuna situazione giustificante un reale timore di rimpatrio; b) da primarie fonti informative internazionali (Amnesty International, (OMISSIS), Human Rights Watch) risultava che nell’area del delta del Niger sussistessero in effetti episodici scontri etnici e politici legati al controllo dei giacimenti petroliferi, ma questi conflitti erano repressi con forza dalle dall’autorità governativa ed erano comunque diretti nei confronti delle basi petrolifere e circoscritte alla sola area costiera, sicchè nella zona di provenienza geografica del richiedente ((OMISSIS)) non sussisteva un conflitto armato nè una situazione di violenza generalizzata ed indiscriminata tale da determinare un rischio effettivo di danno grave alla persona.

quanto alla protezione mediante permesso di soggiorno per ragioni umanitarie (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 30, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6), il ricorrente non aveva neppure dedotto alcuna specifica situazione di vulnerabilità soggettiva, nè dimostrato uno stabile radicamento sul territorio nazionale.

Nessuna attività difensiva è stata svolta, in questa sede, dal Ministero degli Interni.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversià. Il tribunale non aveva infatti considerato che, rispetto alle precedenti ed assai risalenti istanze di protezione, il richiedente (nell’audizione del 30 novembre 2017) aveva apportato al racconto un decisivo elemento di novità, costituito dal fatto che egli aveva contribuito a far arrestare dalla polizia tre dei cinque assalitori del seggio elettorale, e che questa era la causa per cui altre persone armate si erano il giorno successivo recate a casa sua per ucciderlo.

p. 2.2 Il motivo non può trovare accoglimento.

Esso appare, per un verso, finanche inammissibile, là dove deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazionè in luogo dell’omesso esame di un fatto decisivo (individuato nel su riportato elemento di novità del racconto), così come richiesto dall’attuale formulazione, qui applicabile, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (SSUU 8053/14).

Esso, quand’anche così riqualificato, sarebbe ad ogni modo infondato perchè il fatto dedotto – alla luce del convincimento di genericità ed inattendibilità argomentatamente espresso dal giudice di merito – non poteva comunque ritenersi decisivo ai fini di causa, cioè di per sè in grado di certamente comportare una diversa valutazione.

E ciò anche in ragione del fatto che l’asserito elemento di novità era stato fornito dal richiedente solo in un secondo tempo, ed a seguito di precedenti rigetti di identiche istanze di protezione.

Nè era stato indicato il motivo (da ritenersi invero insussistente) per cui un fatto nuovo del tipo di quello rassegnato, puramente descrittivo dei fatti originari, non potesse essere tempestivamente dedotto.

Si è affermato (Cass. n. 18440 del 09/07/2019) che: “In caso di reiterazione della domanda, dopo che si sia già svolto un precedente giudizio diretto al riconoscimento della protezione internazionale, il richiedente asilo, a pena di inammissibilità della nuova istanza, è tenuto ad indicare le ragioni per cui, senza colpa, non ha potuto addurre i “nuovi elementi” indicati dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, comma 1, lett. b), nel giudizio inizialmente proposto, atteso che quest’ultimo ha ad oggetto non già l’impugnazione del provvedimento di diniego della commissione, ma il riconoscimento del diritto alla protezione invocata, sicchè, in esso, è possibile integrare le originarie deduzioni svolte in sede amministrativa.”

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 12, comma 1 bis. Per avere il tribunale omesso di pronunciarsi sul motivo di ricorso, prospettato al giudice di primo grado, concernente il fatto che il richiedente non era stato informato, nel corso dell’audizione in sede amministrativa del 2017 (ma nemmeno in quella del 2009), della possibilità di essere sentito non da un solo membro della commissione territoriale (come di fatto accaduto), bensì dal suo plenum, come stabilito dalla norma violata.

p. 3.2 I motivo è infondato.

Va infatti considerato che, quand’anche esistenti, i vizi del procedimento amministrativo sono irrilevanti, posto che quello avanti al tribunale non è giudizio di impugnazione del diniego amministrativo, bensì giudizio di accertamento del diritto soggettivo alla protezione: (Cass. ord. n. 17318 del 27/06/2019, così cass. 18440/19 ed altre): “In tema di immigrazione, la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla Commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto mediante ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poichè tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, e deve pervenire alla decisione nel merito circa la spettanza, o meno, del diritto stesso non potendo limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo”.

La mancata pronuncia del tribunale su tale inconferente aspetto (che andava, inoltre, se mai denunciata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non 3) non ha dunque in nulla inficiato la decisione sul diritto soggettivo autonomamente assunta dal giudice.

Ne segue il rigetto del ricorso; nulla si provvede sulle spese, stante la mancata partecipazione al giudizio del Ministero.

P.Q.M.

LA CORTE

– rigetta il ricorso;

– v.to il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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