Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 867 del 16/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 16/01/2017, (ud. 17/11/2016, dep.16/01/2017),  n. 867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16881/2015 proposto da:

L.M., LA.MA., in proprio e quali eredi di

L.R. e C.R., rappresentati e difesi dall’avvocato

ANDREA LANZILAO ed elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. GALILEI

45, presso lo studio dell’avvocato PIETRO UGO LITTA, come da procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale-

avverso il decreto n. 545/2014 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 23/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 Con decreto 23.12.2014 la Corte d’Appello di Potenza ha rigettato l’opposizione proposta da L.M. e Ma. contro il precedente decreto che aveva, a sua volta, respinto la loro domanda di equa riparazione in proprio e quali eredi di L.R. e C.R., in relazione alla durata irragionevole di un giudizio divisionale davanti al Tribunale di Lecce in cui era stato convenuto originariamente il loro genitore L.R. e protrattosi dal 27.3.1972 al dicembre 2013.

Per giungere a tale conclusione, la Corte d’Appello ha individuato una durata ragionevole di nove anni più un periodo ritardo addebitabile alle parti pari 13 anni e quattro mesi e dunque sommando i due periodi ha considerato un periodo di ragionevole ritardo di 22 anni e 4 mesi.

Ha tuttavia rigettato la domanda proposta iure successionis con riferimento alla posizione del dante causa L.R. perchè alla data della sua morte non erano decorsi nè i 9 anni di durata ragionevole nè a maggior ragione i 22 anni e 4 mesi dalla stessa Corte considerati, per cui, non essendo sorto alcun diritto all’indennizzo in capo al dante causa non poteva esserci trasmissione agli eredi.

Ha altresì respinto le domande iure proprio rilevando che la contumacia era valutabile ai fini dell’accertamento della violazione del principio di ragionevole durata, potendo influire sull’an e sul quantum; ha quindi ritenuto che il termine di durata ragionevole dovesse decorrere dal 5.4.1995 (data per la quale era stato notificato l’atto di riassunzione dopo l’interruzione per morte del de cuius) per cui alla data della definizione del giudizio (dicembre 2013) il termine di durata ragionevole come sopra calcolato non risultava superato.

La Corte d’Appello ha comunque ritenuto che la domanda dovesse essere respinta, indipendentemente dal segmento temporale, in considerazione dell’autentico disinteresse alla definizione del processo manifestato dalle parti e rilevabile dalle numerosissime richieste di rinvio.

2 Per la cassazione di tale decreto L.M. e Ma., ricorrono con cinque motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso contenente ricorso incidentale subordinato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Evidenti ragioni di priorità logica rendono opportuno partire dall’eccezione di nullità della notifica del ricorso, sollevata dall’Avvocatura Generale in base al fatto che la formalità sarebbe stata eseguita presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Potenza anzichè presso i competenti uffici dell’Avvocatura Generale.

L’eccezione è infondata perchè dal ricorso risulta che l’atto è stato spedito per la notifica a mezzo raccomandata AR anche “all’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma alla via dei Portoghesi 12” ed in ogni caso lo scopo dell’atto è stato pienamente raggiunto come dimostra il regolare deposito di controricorso contenente ricorso incidentale da parte del Ministero.

1 bis Sempre seguendo un criterio di priorità logica delle questioni, va esaminato il ricorso incidentale con cui il Ministero della Giustizia, denunziando ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, eccepisce la decadenza sostenendo la tesi della inapplicabilità della sospensione feriale al termine semestrale fissato dalla legge per la proposizione del ricorso.

La censura è infondata: come già affermato in precedenza da questa Corte, poichè fra i termini per i quali la L. n. 742 del 1969, art. 1, prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo (v. Sez. 6-2, Sentenza n. 5423 del 18/03/2016 Rv. 639423; Sez. 1, Sentenza n. 5895 del 11/03/2009 Rv. 607200; Sez. 1, Ordinanza n. 22242 del 2010 non massimata).

Di conseguenza, considerando come dies a quo per il calcolo del termine la data del 17.2.2014 indicata dallo stesso Ministero (corrispondente al deposito della sentenza di cassazione che ha chiuso definitivamente il giudizio), si rivela tempestiva la proposizione della domanda di equa riparazione con atto depositato il 30.9.2014, se si aggiungono i 46 giorni di sospensione del periodo feriale.

1 ter Passando adesso all’esame del ricorso principale, rileva il Collegio che con un primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 2 bis, per quanto attiene alla richiesta di equo indennizzo formulata dai ricorrenti nella qualità di eredi di L.R.: si sostiene che la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare una durata ragionevole di tre anni perchè il processo presupposto si era svolto davanti al Tribunale e non di nove. Rilevano che, dopo la sentenza non definitiva sulla questione pregiudiziale il processo non fu affatto sospeso e pertanto i tempi dell’appello e del ricorso per cassazione contro tale sentenza non potevano incidere sul calcolo della durata ragionevole e quindi avrebbero dovuto essere cumulati. Evidenziano inoltre profili di illogicità nel calcolo della durata perchè dal provvedimento risulta addebitata al de cuius L.R. anche la lungaggine per i rinvii chiesti dopo la sua morte.

1.2 Con un secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 2 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in merito alla richiesta di equo indennizzo formulata dai ricorrenti iure proprio. Sempre con riferimento alla durata del processo i ricorrenti osservano che nel periodo in cui essi sono divenuti parte processuale (cioè a partire dal 1982, a seguito della notifica dell’atto di riassunzione) sulla questione pregiudiziale era ormai intervenuta sentenza definitiva e dunque la Corte d’Appello, per calcolare la durata ragionevole, non avrebbe dovuto comunque cumulare il periodi di tempo impiegato per la risoluzione della stessa.

Ancora, lamentano la considerazione dei ritardi intervenuti nel periodo in cui essi non erano ancora parti processuali e riproducono la cronistoria del processo presupposto.

1.3 Con un terzo motivo, si lamenta in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame del fatto decisivo oggetto di discussione rappresentato dalla circostanza che i ricorrenti sono divenuti parti processuali in data 4.11.1982, data in cui venne notificato l’atto di riassunzione.

1.4 Con un quarto motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 2 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in merito alla richiesta di equo indennizzo formulata dai ricorrenti in ordine alla ritenuta sussistenza di disinteresse alla sollecita definizione del giudizio.

Criticando l’altra ratio decidendi, i ricorrenti ritengono che la Corte d’Appello non potesse estendere anche a loro il convincimento sul disinteresse manifestato dalle parti alla sollecita definizione (che aveva a sua volta desunto dai ventisette rinvii ad istanza di parte), data la posizione di contumaci da essi assunta e che dunque non poteva influire sulla durata. L.M. precisa inoltre che dopo la sua costituzione, avvenuta nel 2006, non si registrarono più condotte dilatorie, come dai verbali di causa, il cui contenuto ha sintetizzato nei precedenti motivi. Aggiungono i ricorrenti che la stasi del processo si rese possibile anche per effetto del mancato esercizio, da parte del giudice, dei poteri volti alla sollecita definizione.

1.5 Col quinto ed ultimo motivo si denunzia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità del decreto e del procedimento per omessa pronuncia in merito ad una domanda proposta dagli eredi, quella cioè di equo indennizzo in qualità di eredi di C.R., coniuge di L.R. anch’essa parte contumace del giudizio presupposto decorrere dalla notifica dell’atto di riassunzione del novembre 1982 sino al decesso della stessa avvenuto il 7.4.2005.

2 Il primo motivo è fondato.

La L. n. 89 del 2001, art. 2, nella formulazione applicabile al caso di specie stabilisce al comma 2 bis che “si considera rispettato il termine di durata ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado…”.

Questa Corte ha affermato che il termine triennale previsto per la ragionevole durata del processo di primo grado rappresenta un parametro tendenziale dal quale, considerando gli elementi indicati dall’art. 2, comma 2, della menzionata legge, nonchè i criteri di determinazione applicati dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo e dalla Corte di cassazione, è possibile discostarsi, purchè in misura ragionevole (Sez. 6-1, Sentenza n. 17634 del 04/09/2015 Rv. 636689; Sez. 6-1, Sentenza n. 15041 del 07/09/2012 Rv. 624329).

Orbene, uno scostamento del 200% in aumento rispetto al parametro tendenziale di tre anni per il primo grado non può di certo ritenersi ragionevole.

E’ vero che – come ha rilevato la Corte d’Appello – nel 1976, nel corso del processo divisionale fu emessa una sentenza non definitiva e che ne seguirono impugnazioni sia in appello che in cassazione, ma è pur vero che tale evento è frequentemente ricorrente in tali tipologie di giudizi ed oltre tutto dal decreto impugnato non risulta neppure quale fosse la questione pregiudiziale risolta anticipatamente, mentre dal ricorso (pag. 2) risulta che il Collegio si era limitato a “dichiarare aperta la successione di C.C. con devoluzione dell’eredità relitti, coesistente, nei due cespiti immobiliari… ai tre figli…”. A ciò aggiungasi il fatto che il giudice del processo presupposto non ritenne neppure di disporre la sospensione, non risultando segnalato alcun provvedimento in tal senso e anzi nella ricostruzione delle tappe operata in ricorso si afferma espressamente che il giudizio presupposto non venne mai sospeso (v. pagg. 2) e che la causa venne rimessa sul ruolo davanti al giudice istruttore (v. pag. 21), il che sta a dimostrare, evidentemente, l’insussistenza di una pregiudizialità necessaria.

Altro errore della Corte d’Appello sta nell’avere considerato, in aggiunta al periodo di nove anni antecedente alla morte di L.R., anche un periodo di 13 anni e quattro mesi che riguardava, evidentemente, anche i rinvii chiesti negli anni successivi al decesso del predetto, il che è del tutto illogico, posto la domanda di indennizzo in qualità di eredi richiedeva di calcolare la durata del processo in un arco di tempo di nove anni, cioè dal promovimento della lite (27.3.1972) alla morte del loro dante causa (avvenuta nel (OMISSIS)).

Il decreto va pertanto cassato per nuovo esame sulla ragionevole durata del processo presupposto, restando così logicamente assorbito l’esame di tutte le altre questioni sollevate con i restanti motivi di ricorso.

La Corte d’Appello di Potenza in diversa composizione – che si designa quale giudice di rinvio – provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

rigetta il ricorso incidentale; accoglie il primo motivo di ricorso principale e dichiara assorbiti i restanti; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Potenza in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2017

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