Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8668 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 15/04/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 15/04/2011), n.8668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, ed AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

D.F.A., elettivamente domiciliata in Roma, via Germanico n.

146, presso l’avv. Stefania Veraldi, rappresentata e difesa dall’avv.

CAPALDO ORESTE TOMMASO giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, sez. staccata di Salerno, n. 211/04/04, depositata il 9

dicembre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3

febbraio 2011 dal Relatore Cons. Dott. Biagio Virgilio;

udito l’Avvocato dello Stato Giancarlo Caselli per i ricorrenti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

3. Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, è stata confermata l’illegittimità dell’avviso di accertamento – ai fini IRPEF – per omessa dichiarazione di plusvalenza e dell’avviso di rettifica – ai fini IVA – per omessa fatturazione per autoconsumo di beni ammortizzabili, nonchè del relativo atto di irrogazione sanzioni, emessi nei confronti di D.F.A., a seguito della cessazione dell’attività di affittacamere e contestuale atto di affitto dell’azienda alberghiera di proprietà della contribuente.

Il giudice d’appello ha ritenuto infondata la pretesa tributaria per mancanza del presupposto della plusvalenza, in quanto i beni tassati sono stati oggetto di affitto unitamente all’azienda dove si svolge l’attività e non trasferiti, nè oggetto di autoconsumo, e la cessazione della partita IVA è stata presentata nei tempi e nei modi di legge, contemporaneamente al contratto di affitto.

2. La contribuente resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo proposto, i ricorrenti, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, insistono nella tesi secondo la quale i giudici di merito hanno errato nel ritenere inapplicabili nella fattispecie il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54, comma 1, lett. d), il quale considera plusvalenze patrimoniali che concorrono a formare il reddito d’impresa i beni “destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore, assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 2, n. 5, per il quale, analogamente, costituisce cessione di beni soggetta ad IVA “la destinazione di beni all’uso o al consumo personale o familiare dell’imprenditore” o “ad altre finalità estranee all’impresa”; in particolare, sostengono che il contribuente, “cessando l’attività attraverso il trasferimento dell’azienda e concedendo in affitto la struttura, viene escluso dalla titolarità dell’impresa e si trasforma quindi in consumatore finale”, e, inoltre, che è stata trascurata la decisiva circostanza che la D.F. aveva “provveduto alla cessazione dell’attività in luogo di una sospensione temporanea della partita IVA che avrebbe dovuto essere riutilizzata dalla stessa alla scadenza del contratto e fino alla cessazione definitiva dell’attività”.

2. Il ricorso (premesso che la richiesta conclusiva di dichiarazione del “difetto di giurisdizione delle commissioni tributarie” deve ritenersi evidentemente frutto di mero errore materiale) è infondato.

Il giudice d’appello ha accertato che: “dal contratto si rileva chiaramente che l’ufficio intende tassare beni che sono stati oggetto di fitto unitamente all’azienda dove si svolge l’attività”; “i beni sono ancora nella disponibilità del locatore e non trasferiti”; “la cessazione della partita IVA del proprietario è stata presentata nei tempi e nei modi di legge contemporaneamente alla scrittura di affitto”; “i beni non sono stati oggetto di autoconsumo e non trasmissibili perchè fittati con l’intera attività e diretti alla continuità dell’impresa”.

Premesso che con l’affitto della sua unica azienda l’imprenditore perde tale qualifica (Cass. n. 7292 del 2006) (e infatti in tal caso l’affitto, ai sensi dell’art. 81, comma 1, lett. h, del cit.

T.U.I.R., non si considera fatto nell’esercizio dell’impresa e in caso di successiva vendita le plusvalenze realizzate concorrono a formare il reddito come “redditi diversi”), dall’anzidetto accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, e non contestato in questa sede, deriva che correttamente il medesimo giudice ha ritenuto che nella fattispecie non ricorressero i presupposti nè per la configurazione di una plusvalenza tassabile D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 54, comma 1, lett. d), nè per l’obbligo di fatturazione per autoconsumo D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 2, comma 2, n. 5, in base alla assorbente considerazione che i beni sono stati interamente oggetto di affitto unitamente all’azienda e, quindi, deve escludersi che gli stessi siano stati destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore (quale “consumatore finale”).

3. in conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7.100,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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