Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8668 del 04/04/2017

Cassazione civile, sez. III, 04/04/2017, (ud. 10/01/2017, dep.04/04/2017),  n. 8668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18244/2014 proposto da:

CREDIFARMA SPA, quale mandataria dei Dottori C.B. (nella

qualità di titolare dell’omonima farmacia), G.G.

(nella qualità di titolare dell’omonima farmacia) e FARMACIA

GALIANO S.N.C. DI P.A. & F. in persona del

legale rappresentante pro tempore Presidente Dott. C.C.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA CAMILLUCCIA 535, presso

lo studio dell’avvocato MARCO POLIZZI, che la rappresenta e difende

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE VITERBO;

– intimata –

nonchè da:

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE VITERBO in persona del Dott.

M.L. in qualità di COMMISSARIO STRAORDINARIO DELLA AUSL VITERBO

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERICO II, 5, presso lo

studio dell’avvocato ALBERTO SARACENO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ELAINE BOLOGNINI, giusta procura speciale a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

CREDIFARMA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 458/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/01/2014;

udita la relazione della danna svelta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito l’Avvocato MARCO POLIZZI;

udito l’Avvocato ELAINE BOLOGNINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto principale e

incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Azienda Unità Sanitaria Locale di Viterbo propose opposizione innanzi al Tribunale di Viterbo avverso il Decreto n. 621 del 2008, emesso in favore di Credifarma s.p.a., sulla base di ricorso depositato in data 19 settembre 2008, con cui si ingiungeva il pagamento della somma di Euro 150.853,68, oltre interessi per il ritardo nella misura prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 4 e 5, per mancato pagamento di forniture di medicinali anticipate dalla farmacie rappresentate da Credifarma agli assistiti del Servizio Sanitario Nazionale e successivamente elencate nelle distinte contabili riepilogatine del mese di maggio 2008.

2. Il Tribunale adito revocò il decreto ingiuntivo e condannò l’opponente al pagamento dei soli interessi legali sul capitale di Euro 150.853,68, pagato dopo l’introduzione dell’opposizione, e compensò nella misura del 33,333% le spese del giudizio condannando l’opponente al pagamento del residuo 66,666% delle spese della fase monitoria e di quella di merito.

3. Avverso detta sentenza propose appello Credifarma s.p.a.. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo altresì appello incidentale.

4. Con sentenza di data 24 gennaio 2014 la Corte d’appello di Roma accolse i primi due motivi di appello, condannando l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Viterbo a corrispondere gli importi di Euro 1.997,36 e di Euro 1.500,27 oltre interessi legali, rigettò l’appello incidentale e condannò l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Viterbo alla rifusione di metà delle spese processuali, compensandole per l’altra metà. Osservò la corte territoriale, in relazione ai primi due motivi di appello, che, dato che solo dopo la notifica del decreto ingiuntivo l’ingiunta aveva corrisposto quanto dovuto, a carico di essa andavano poste le spese del procedimento monitorio, liquidate in Euro 1.997,36; la creditrice aveva effettuato l’imputazione della somma prima agli interessi e poi al capitale, sicchè residuava ancora un debito di Euro 1.500,27. In ordine al terzo motivo osservò che, indubbia l’applicabilità del D.Lgs. n. 231 del 2002, trattandosi di somme conseguenti a transazione commerciale tra privati e pubblica amministrazione, le parti avevano però inteso determinare, fin dal 1998 (con proiezione verso i rapporti futuri) in applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, il tasso moratorio in misura difforme, fissando il limite invalicabile del tasso legale. Per quanto concerne l’appello incidentale in ordine alla disciplina della spese processuali il giudice di appello fece rinvio a quanto osservato sul medesimo motivo dell’appello principale.

5. Ha proposto ricorso per cassazione Credifarma s.p.a. sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso la parte intimata, che ha proposto altresì ricorso incidentale sulla base di un motivo. E’ stata depositata memoria di parte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 5 e 11, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che nessuno accordo era stato stipulato fra le parti dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 231 del 2002 e che l’accordo collettivo nazionale, avendo natura regolamentare per essere confluito in un decreto del Presidente della Repubblica, quale fonte normativa secondaria cede comunque rispetto alla norma di rango superiore. Aggiunge che il rapporto esistente fra farmacisti e Servizio Sanitario Nazionale ha carattere negoziale (costituente per un verso somministrazione di farmaci, per l’altro contratto a favore del terzo, il cittadino-utente), sicchè per le singole obbligazioni sorte dopo l’8 agosto 2002 trova applicazione la legge vigente all’epoca della prestazione.

1.1. Il motivo è infondato.

Prevede il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 2, che il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale e le farmacie pubbliche e private è disciplinato da convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati a norma della L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, comma 9, con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale. Tali accordi devono tener conto dei seguenti principi: a) le farmacie pubbliche e private erogano l’assistenza farmaceutica per conto delle unità sanitarie locali del territorio regionale dispensando, su presentazione della ricetta del medico, specialità medicinali, preparati galenici, prodotti dietetici, presidi medico-chirurgici e altri prodotti sanitari erogabili dal Servizio sanitario nazionale; b) per la dispensazione dei prodotti “l’unità sanitaria locale corrisponde alla farmacia il prezzo del prodotto erogato, al netto della eventuale quota di partecipazione alla spesa dovuta dall’assistito. Ai fini della liquidazione la farmacia è tenuta alla presentazione della ricetta corredata del bollino o di altra documentazione comprovante l’avvenuta consegna all’assistito. Per il pagamento del dovuto oltre il termine fissato dagli accordi regionali di cui alla successiva lettera c) non possono essere riconosciuti interessi superiore a quelli legali” (agli accordi di livello regionale è demandata la disciplina delle modalità di presentazione delle ricette e i tempi dei pagamenti dei corrispettivi nonchè l’individuazione di modalità differenziate di erogazione delle prestazione finalizzate al miglioramento dell’assistenza definendo le relative condizioni economiche). La norma prescrive quindi la disciplina di una serie di profili del rapporto, fornendo i relativi criteri direttivi.

L’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private, in attuazione dell’art. 8, comma 2, citato è stato reso esecutivo con D.P.R. 8 luglio 1998, n. 371, “Regolamento recante norme concernenti l’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private”. Prevede l’art. 8, comma 5, di tale regolamento che “i tempi per la liquidazione delle competenze dovute alle farmacie sono individuati secondo quanto stabilito dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 2, lett. c) e successive modificazioni. In ogni caso il termine ultimo per l’effettiva corresponsione dell’importo relativo alle ricette spedite il mese precedente, sulla base del documento contabile di cui al comma 1, è comunque fissato nell’ultimo giorno di ciascun mese, Gli accordi regionali dovranno tener conto di quanto stabilito dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, comma 2, lett. b) e successive modificazioni laddove, superato il termine fissato per il pagamento del dovuto alle farmacie, non potranno essere riconosciuti interessi superiori a quelli legali. L’acconto di cui al precedente comma 4 costituisce anticipazione del corrispettivo dovuto alla farmacia come sorte capitale”. L’accordo ha durata triennale e scade il 31 dicembre 1997, ma è previsto che “al fine di evitare soluzioni di continuità della disciplina del presente Accordo regolante il servizio farmaceutico convenzionato, i relativi effetti si intendono, comunque, prorogati oltre la data di scadenza fino alla data di entrata in vigore del nuovo Accordo”.

1.2 Ai fini della non applicabilità del saggio di interessi previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002, che ha dato attuazione alla direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, il giudice di merito ha valorizzato la disposizione di cui all’art. 5, secondo cui è consentito alle parti di concordare un tasso di interesse diverso, nei limiti previsti dall’art. 7 (grave iniquità in danno del creditore). Nel controricorso si fa inoltre riferimento all’ulteriore argomento secondo cui, non applicandosi il D.Lgs. n. 231 del 2002, ai contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002 in base alla disposizione transitoria di cui all’art. 11, l’accordo collettivo nazionale vi sarebbe sottratto in quanto antecedente alla data prevista. Rispetto a tale prospettazione non vale l’argomento adoperato dal ricorrente dell’incidenza della norma sullo sviluppo del rapporto in epoca successiva all’8 agosto 2002, stante il carattere di durata del contratto di somministrazione. La distinzione per i rapporti di durata fra disciplina dell’atto e disciplina degli effetti (o meglio dei fatti ricadenti nel rapporto) risolve i problemi di diritto intertemporale in mancanza di una disposizione di carattere transitorio, ma qui la norma c’è ed è quella della non applicabilità ai contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002. Trattasi di disposizione che rende chiaro che il D.Lgs. n. 231 del 2002, è disciplina dell’atto (come si evince anche dalla norma sulla nullità di cui all’art. 7) e non disciplina del rapporto. L’attuazione della direttiva comunitaria guarda non ai fatti che si verificano nel corso del rapporto (le singole erogazioni del prodotto nell’ambito della somministrazione, secondo la prospettazione di parte ricorrente), ma alla fonte costitutiva del rapporto.

Il punto è che la fonte del rapporto non è un negozio, ma un regolamento, essendo stato reso esecutivo l’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private con D.P.R.. Gli effetti giuridici sono riconducibili non all’accordo, ma al decreto che lo rende esecutivo. A partire da Cass. s.u. 20 dicembre 1993, n. 12595, la giurisprudenza riconosce che nel caso degli accordi collettivi nazionali, recepiti dal decreto presidenziale, previsti dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48, per l’uniforme trattamento economico e normativo, nell’intero territorio nazionale, del personale sanitario a rapporto convenzionale, la fonte normativa “si perfeziona solo con l’emanazione affidata alla discrezionalità del governo – del decreto presidenziale di esecutività”. In base alla legge, le disposizioni di cui alla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48, trovano applicazione anche per le convenzioni che le unità sanitarie locali stipulano con le farmacie ai fini dell’erogazione dell’assistenza farmaceutica. Anche per l’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 2, deve quindi giungersi alle medesime conclusioni. Trattasi di un atto di normazione secondaria. Quale atto di normazione secondaria dovrebbe essere cedevole rispetto alla norma legislativa, come affermato dalla ricorrente. Si arriverebbe così al paradosso che un contratto privato resta integro rispetto al sopravvenire della legge, stante la disposizione transitoria di cui all’art. 11, mentre un regolamento, costituente normazione secondaria, sarebbe travolto limitatamente alla disciplina del saggio degli interessi dalla legge sopravvenuta. In realtà, rispetto alle argomentazioni giuridiche delle parti, è il punto di vista che deve essere cambiato.

1.3. Il D.Lgs. n. 231 del 2002, si applica alle “transazioni commerciali”, e cioè, secondo la definizione contenuta nell’art. 2, “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo”. Il rapporto che si instaura fra il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e la farmacia in occasione dell’erogazione dell’assistenza farmaceutica non ha natura di transazione commerciale perchè trattasi di rapporto la cui disciplina non è affidata al contratto, ma alla legge ed al regolamento che rende esecutivo l’accordo collettivo nazionale stipulato in base ed in conformità alla legge (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 2). Si tratta di rapporto sottratto alla autonomia privata nell’intendimento del legislatore in forza della natura del fenomeno, che è erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto dell’Azienda Unità sanitaria locale. Il Servizio sanitario nazionale garantisce l’assistenza farmaceutica in favore della popolazione mediante la rete delle farmacie distribuite sul territorio (le quali sono titolari di una concessione di pubblico servizio).

Come prevede l’art. 28 della legge istitutiva del Ssn (L. n. 833 del 1978), l’Usi (oggi Asl), “eroga l’assistenza farmaceutica attraverso le farmacie di cui sono titolari enti pubblici e le farmacie di cui sono titolari i privati, tutte convenzionate” con il Ssn. La cessione dei medicinali e degli altri prodotti di interesse sanitario avviene attraverso i principi e le norme che disciplinano il funzionamento del Ssn. Trattasi di attività disciplinata quanto ai principi dalla legge, e nel dettaglio, sulla base di tali principi, dal regolamento amministrativo che recepisce l’accordo collettivo nazionale cui la legge rinvia. Mentre rientra nella comune area contrattuale l’ordinaria vendita al pubblico di medicinali prevista dal R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 122, testo unico delle leggi sanitarie, è sottratta all’area della negoziazione privata l’erogazione della assistenza farmaceutica per conto delle Asl. In questo quadro della disciplina ex lege del rapporto trova posto il divieto di riconoscere interessi superiori a quelli legali, che è previsione contemplata al livello dei principi legislativi, ancor prima che di regolamento. Emerge qui la differenza con le fattispecie di Cass. 14 luglio 2016, n. 14349 e di Cass. 11 ottobre 2016, n. 20391, nelle quali è stata ritenuta in astratto applicabile, salvo le circostanze del caso, al rapporto fra la struttura sanitaria accreditata nell’ambito del servizio sanitario nazionale ed il soggetto pubblico la disciplina di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002. La fonte del rapporto è in tal caso l’accordo contrattuale, e dunque configurabile è la transazione commerciale.

Si deve pertanto concludere nel senso dell’inapplicabilità del saggio di interessi previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002, stante l’estraneità dell’erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle Asl al paradigma della transazione commerciale e la riconducibilità del rapporto alla fonte legale ed amministrativa, ossia al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 2, ed al relativo regolamento.

2. Con il secondo motivo si denuncia omessa pronuncia sulla domanda di accertamento di iniquità ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 7, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la ricorrente che il giudice di appello non ha valutato l’impugnazione della sentenza di primo grado nella parte in cui questa riteneva non sussistere la nullità ai sensi del D.Lgs n. 231 del 2002, art. 7 e che la previsione del divieto di riconoscimento di interessi superiori a quello legale (D.P.R. n. 371 del 1998, art. 8) doveva essere disapplicata in quanto norma iniqua e peggiorativa della posizione del creditore.

2.1. Il motivo è inammissibile. Effettivamente il giudice di merito ha omesso di pronunciare sull’istanza di accertamento della nullità ai sensi del D.Lgs n. 231 del 2002, art. 7. Peraltro, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di nullità della sentenza per omessa pronuncia, esigenze di economia processuale impongono di evitare la cassazione con rinvio quando la pretesa, sulla quale si riscontri mancare la pronuncia, avrebbe dovuto essere rigettata o potuto essere decisa nel merito, purchè senza necessità di ulteriori accertamenti in fatto (fra le tante, da ultimo, Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257). Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello, la Corte di cassazione può quindi omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata ed esaminare il merito del ricorso, quando la questione omessa sia infondata, essendo in tal caso inutile il ritorno della causa in fase di merito (Cass. 11 aprile 2012, n. 5729; 1 febbraio 2010, n. 2313).

Nel caso di specie il D.Lgs. n. 231 del 2002, è inapplicabile per l’estraneità dell’erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle Asl al paradigma della transazione commerciale e la riconducibilità del rapporto alla fonte legale ed amministrativa, ossia al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 2, ed al relativo regolamento. L’inapplicabilità del D.Lgs. n. 231 del 2002, conduce alla irrilevanza della censura.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che la condanna al pagamento degli interessi nella sola misura legale, pur se ridotta rispetto alla domanda principale, imponeva al giudice di condannare la Asl al pagamento integrale delle spese processuali, sicchè in violazione di legge era stata la disposta compensazione delle spese processuali.

3.1. Il motivo è inammissibile. In tema di compensazione delle spese processuali ex art. 92 c.p.c., poichè il sindacato di legittimità è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite (fra le tante Cass. 6 ottobre 2011, n. 20457 e 17 novembre 2006, n. 24495).

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004, artt. 4, 4 e 5 e L. n. 27 del 2012, art. 1, n. 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che il giudice di appello ha liquidato i compensi per il secondo grado senza riconoscere le spese dimostrate di Euro 1.264,20 (tra cui Euro 1.056,00 per c.u., Euro 8,00 per iscrizione a ruolo e Euro 5,88 per notifica) e che il giudice di primo grado aveva immotivatamente riconosciuto gli importi al minimo tariffario.

4.1. Il motivo è parzialmente fondato. Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento di spese asseritamente documentate. Il motivo rispetta il principio di autosufficienza solo per gli esborsi analiticamente indicati (Euro 1.056,00 per c.u., Euro 8,00 per iscrizione a ruolo e Euro 5,88 per notifica). In tali limiti il motivo è fondato, non risultando nella liquidazione delle spese giudiziali l’importo corrispondente agli esborsi sopportati. Per il resto il motivo refluisce in una censura alla decisione di primo grado inammissibile nella presente sede (cfr. Cass. 3 agosto 2007, n. 17072 e 9 maggio 2007, n. 10626).

5. Passando al ricorso incidentale, con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente in via incidentale che, vertendo l’opposizione al decreto ingiuntivo solo sulla debenza degli interessi ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, ed essendo stata vittoriosa sul punto l’ASL, si sarebbe dovuto accogliere l’appello incidentale avente ad oggetto il regolamento delle spese del giudizio di primo grado e non si doveva inoltre disporre la compensazione per metà di quelle della fase di appello, dovendosi condannare Credifarma al rimborso dell’intero delle spese processuali.

5.1. Il motivo è inammissibile, per le stesse ragioni per le quali è stato ritenuto inammissibile il terzo motivo del ricorso principale.

6. Il ricorso principale merita in conclusione accoglimento solo limitatamente a una parte del quarto motivo, mentre va dichiarata l’inammissibilità del ricorso incidentale.

7. Poichè il ricorso incidentale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte accoglie parzialmente il quarto motivo del ricorso principale e rigetta per il resto il ricorso; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata nei limiti dell’accoglimento del ricorso principale e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017

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