Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8665 del 04/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 04/04/2017, (ud. 07/12/2016, dep.04/04/2017),  n. 8665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11668/2014 proposto da:

L.F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VINCENZO

PICARDI 4/D, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO TURNO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO LAGHI giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CASA DI CURA CASCINI SRL, in persona del legale rappresentante p.t.

Dott. M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO

POMA 4, presso lo studio dell’avvocato PAOLO GELLI, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 400/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato PILADE PERROTTI per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con atto di citazione notificato il 23 ottobre 2000, L.F.G. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Paola sez. distaccata di Scalea, la Casa di Cura “Cascini” s.r.l., chiedendo il risarcimento dei danni che sosteneva di avere subito a seguito della condotta colposa dei sanitari in occasione di un intervento chirurgico di uretrotomia, cui si era sottoposto il (OMISSIS).

Si costituì la società convenuta contestando le deduzioni di controparte e chiedendo il rigetto della domanda.

All’esito dell’istruttoria, nel corso della quale venne acquisita documentazione e disposta CTU, il Tribunale, con sentenza, in data 22-31 ottobre 2007, rigettò la domanda dell’attore, compensò le spese di lite, pose a carico dell’attore soltanto le spese di CTU.

2.- Proposto appello da parte del L.F., la Corte di appello di Catanzaro, dopo aver disposto la rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio medico-legale, con sentenza pubblicata il 19 marzo 2013, ha rigettato il gravame, ponendo a carico dell’appellante le spese del grado e le spese di CTU.

3.- L.F.G. propone ricorso affidato a quattro motivi, illustrati da memoria.

La Casa di Cura Cascini s.r.l. resiste con controricorso e memoria.

Il Collegio ha raccomandato motivazione semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2697 c.c., nonchè dell’art. 1175 c.c., art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 c.c. – omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il ricorrente, nel presupposto della natura contrattuale della responsabilità dei sanitari e della struttura ospedaliera, sostiene che la Corte di merito avrebbe errato nel riparto dell’onere della prova e nel ritenere fornita la prova dell’assenza di colpa, in quanto, a detta del ricorrente, la convenuta non avrebbe provato che la prestazione operatoria fosse stata eseguita con la diligenza richiesta. Sostiene che l’errata esecuzione dell’intervento chirurgico di uretrotomia sarebbe dimostrata dalla fistolizzazione oramai cronicizzata del canale uretrale, conseguenza di detto intervento.

1.1.- Col quarto motivo connesso si deduce “violazione degli artt. 1218, 2697 c.c. – erronea ed omessa valutazione di circostanze e di elementi probatori in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in particolare con riferimento agli esiti della espletata consulenza tecnica d’ufficio nonchè error in procedendo per la mancata ammissione di elementi probatori (chiamata a chiarimenti del CTU o nuova consulenza tecnica d’ufficio) – Omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe acriticamente accettato le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio senza disporre un doveroso supplemento di indagine nè ammettere la prova testimoniale, chiesti al fine di contrastare le conclusioni del CTU.

2.- I motivi, che vanno esaminati congiuntamente perchè connessi, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

Il giudice ha ritenuto che fosse stata provata in giudizio la mancanza di colpa dei sanitari che eseguirono l’intervento di chirurgico, escludendo l’errore medico sia quanto alla scelta che quanto alla metodica operatoria ed all’esecuzione dell’atto nonchè quanto al decorso postoperatorio. Ha condiviso il giudizio del CTU sul fatto che la formazione della fistola uretro-cutanea si fosse generata da una mera complicanza, possibile nonostante la perizia e la diligenza dell’operatore chirurgico. Ha aggiunto considerazioni in merito alla presupposta lacunosità della prova del nesso causale tra l’intervento e la patologia lamentata, laddove ha evidenziato il lungo lasso di tempo trascorso tra il primo (effettuato nel 1996) e la documentazione comprovante l’insorgenza della seconda (consulenza di parte del 1999) senza che il paziente avesse dato notizia di (altri) interventi eseguiti medio tempore e dei quali vi era traccia nella documentazione in atti.

2.1.- Nel ragionamento logico-giuridico seguito dalla Corte di merito non vi è alcuna violazione dei principi che regolano il riparto dell’onere della prova nei giudizi di risarcimento del danno per responsabilità medica, in quanto risulta che il giudice si sia attenuto ai seguenti criteri, espressione dell’oramai consolidato orientamento di questa Corte di legittimità:

– la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa tra questa ed il danno costituiscono l’oggetto di due accertamenti concettualmente distinti;

– l’art. 1218 c.c., solleva il creditore della obbligazione che si afferma non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall’onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento;

– l’attore ha l’onere di allegare e di provare l’esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l’onere di allegare (ma non di provare) la colpa del medico; quest’ultimo, invece, ha l’onere di provare che l’eventuale insuccesso dell’intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a sè non imputabile.

2.2.- Il ricorrente non risulta aver allegato alcuno specifico profilo di inadempimento o di colpa dei medici atto a superare le risultanze delle due consulenze tecniche d’ufficio, che hanno entrambe concluso escludendo l’errore medico.

Anche quanto alla prova del nesso di causalità, motivi di ricorso si prospettano gravemente carenti, a fronte della motivazione resa sul punto dalla Corte d’appello, in quanto non censurano specificamente la rilevanza attribuita dal giudice al lungo lasso di tempo trascorso prima dell’emersione del danno ed al fatto che in tale lasso di tempo si collocarono altri interventi potenzialmente idonei ad interferire nella derivazione causale solo affermata, ma non provata, dal paziente – pur gravato, come detto, dall’onere probatorio corrispondente.

3.- Le censure risultano inammissibili laddove insistono nel criticare l’esito delle consulenze tecniche d’ufficio – espletate da parte di consulenti diversi nominati in ciascuno dei due gradi di giudizio – mediante rinvio alle considerazioni dei propri tecnici di parte, senza evidenziare quali dei rilievi dei tecnici di parte sarebbero stati trascurati e/o male interpretati dagli ausiliari dei giudici di merito, o dagli stessi giudici, in modo che, se invece fossero stati considerati, sarebbero emersi profili di colpa dei sanitari e/o la prova certa della derivazione causale della complicanza dall’errore o dalla negligenza operatoria o post-operatoria. Parimenti inammissibile è il riferimento al mancato espletamento della prova testimoniale, senza che risulti evidenziata la decisività del mezzo.

E ciò anche in ragione del fatto che i vizi di motivazione insufficiente e contraddittoria risultano denunciati col quarto motivo, senza tenere conto della sostituzione del testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, operata con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

A norma dell’art. 54, comma 3, del medesimo decreto, questa disposizione si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del predetto decreto (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11 agosto 2012): quindi si applica alla sentenza impugnata, che è stata pubblicata il 19 marzo 2013.

Il ricorrente avrebbe potuto denunziare soltanto l’ “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, come previsto dal testo della norma applicabile ragione temporis, ovvero la mancanza assoluta di motivazione, senza che rilevi l’insufficienza di questa nè la mancata od incompleta considerazione di elementi di prova (cfr. Cass. S.U. n. 8053/14).

Il primo ed il quarto motivo vanno perciò rigettati.

4.- Col secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. – vizio di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” e col terzo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., vizio di motivazione e/o omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, al fine di censurare la dichiarazione di inammissibilità della produzione documentale in appello ed il rigetto della richiesta di prova testimoniale.

4.1.- I motivi sono entrambi inammissibili.

Ribadito quanto sopra in merito al preteso vizio di motivazione denunciato con riferimento al testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non più attuale, è sufficiente rilevare che, per i documenti tardivamente prodotti in appello, il secondo motivo non censura adeguatamente il giudizio – sia pur implicito – di non “indispensabilità” espresso dalla Corte d’appello. Comunque, essendo incontestata la tardività della produzione (ed avendo il giudice evidenziato che si trattava di documenti che avrebbero potuto essere prodotti tempestivamente), è da escludere che l’indispensabilità risultasse dalla natura dei documenti medesimi: vale a dire certificati medici, i quali, anche tenuto conto del periodo di emissione (anno 2004), riguardavano l’esistenza e le conseguenze della patologia, non la sua eziologia nè la colpa dei medici operatori (unici aspetti rilevanti ai fini del giudizio di responsabilità).

A maggior ragione, queste ultime considerazioni valgono per la prova testimoniale di cui al terzo motivo, relativa a circostanze prive di decisività, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto dell’attività difensiva della resistente, dovendosi escludere l’inammissibilità del controricorso eccepita nella memoria di parte ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. n. 18843/15, per l’affermazione che nel giudizio di cassazione, l’autosufficienza del controricorso, assolvendo alla sola funzione di contrastare l’impugnazione altrui, è assicurata, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 2, che richiama l’art. 366 c.p.c., comma 1, anche quando l’atto non contenga l’autonoma esposizione sommaria dei fatti della causa, ma si limiti a fare riferimento ai fatti esposti nella sentenza impugnata ovvero alla narrazione di essi contenuta nel ricorso).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del dello stesso art. 13, comma 1 bis, per ammissione al patrocinio a spese dello stato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida complessivamente nell’importo di Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017

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