Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8664 del 04/04/2017

Cassazione civile, sez. III, 04/04/2017, (ud. 09/11/2016, dep.04/04/2017),  n. 8664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13087/2014 proposto da:

I.E.P. in proprio, M.A. (OMISSIS) nella sua

qualità di amministratore di sostegno di MA.MA.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo

studio dell’avvocato GREGORIO IANNOTTA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANTONELLA IANNOTTA, giusta procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

CASA DI CURA PRIVATA “VILLA MAFALDA” S.P.A. in persona del Presidente

del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante Prof.

B.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIALOJA 6,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI OTTAVI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MASSIMO OTTAVI giusta procura

speciale in calce al controricorso;

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. DORIA 64,

presso lo studio dell’avvocato ARMANDO CONTI, che lo rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

S.P. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI BANCHI NUOVI

39, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE JANNETTI DEL GRANDE che

lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso;

AXA ASSICURAZIONI S.P.A., in persona di R.M. Dirigente

Procuratore Speciale, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA QUIRINO

MAIORANA 104, presso lo studio presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCO BERTI SUMAN che la rappresenta e difende giusta procura

speciale in calce al controricorso;

GENERALI ITALIA S.P.A. a mezzo della propria mandataria e

rappresentante GENERALI BUSINESS SOLUTIONS S.C.P.A. in persona dei

suoi procuratori speciali C.P. e P.M.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO VENETO 7 presso lo

studio dell’Avv. Prof. PAOLO TARTAGLIA, che la rappresenta e difende

in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

ALLIANZ S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4128/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2016 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito l’Avvocato ENRICO IANNOTTA per delega;

udito l’Avvocato FEDERICA IANNOTTA per delega;

udito l’Avvocato ARMANDO CONTI;

udito l’Avvocato LUIGI OTTAVI;

udito l’Avvocato DOMENICO MARTINO per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I.E.P., in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sul minore Ma.Ma., agì per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alle lesioni cagionate al figlio da sofferenza ipossico-ischemica patita in occasione del parto, avvenuto presso la Casa di Cura Villa Mafalda il (OMISSIS), esitate in paralisi cerebrale infantile di tipo ipertonico bilaterale, con compromissione funzionale degli arti inferiori e totale assenza di parola.

Evocò in giudizio la Casa di Cura Villa Mafalda S.p.A. ed i medici C.A. e S.P.; i convenuti resistettero alla domanda chiamando in causa, per l’eventuale manleva, le rispettive compagnie assicuratrici, le quali aderirono alle contestazioni ed alla difese dei loro assicurati.

L’adito Tribunale di Roma, dopo articolata e complessa attività istruttoria, rigettò le istanze risarcitorie per difetto del nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e l’evento dannoso, decisione poi confermata, in sede di gravame, dalla Corte di Appello di Roma con sentenza n. 4128/2013 del 18 luglio 2013.

Avverso questa sentenza ricorrono per cassazione, affidandosi a cinoue motivi, I.E.P., in proprio, nonchè M.A., nella qualità di amministratore di sostegno di Ma.Ma. (nelle more divenuto maggiorenne); resistono, con distinti controricorsi, la Casa di Cura Villa Mafalda S.p.A., S.P., C.A., la Generali Italia S.p.A. e la Axa Assicurazioni S.p.A., mentre non ha svolto attività difensiva l’altra intimata, Allianz S.p.A..

Parte ricorrente e la resistente Generali Italia S.p.A. hanno altresì depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, i ricorrenti – per omesso esame circa un fatto decisivo e per violazione e falsa applicazione delle norme in tema di corrispondenza tra chiesto e pronunciato – censurano la sentenza della Corte di Appello per aver reputato generico e non esaminato nel merito il motivo di appello con cui si rappresentava che il giudice di prime cure, dopo aver condiviso le conclusioni della consulenza tecnica officiosa (secondo cui “una causa della patologia diversa da un evento anossico-ischemico in epoca perinatale” era “estremamente improbabile”)aveva rigettato la domanda per “assenza di certezza sulle cause della P.C.I.”.

1.1. Il secondo motivo denuncia violazione dei principi sulla distribuzione dell’onere della prova e delle norme sugli elementi istruttori da porre a fondamento della decisione, per avere la decisione gravata escluso il nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e l’evento, pur essendo rimasta ignota la causa del danno e pur in presenza di un comportamento omissivo dei medici (la interruzione del monitoraggio del travaglio mediante tracciato per un congruo periodo di tempo prima del parto) costituente inadempimento (e come tale ritenuto dal giudice di prime cure) concausa della sofferenza ipossico-ischemica.

1.2. Con il terzo motivo (anch’esso prospettante violazione delle regole sul riparto probatorio e dei principi sugli elementi da porre a fondamento della decisione) parte ricorrente assume che, accertato l’inadempimento dell’obbligazione del sanitario e della casa di cura nel monitorare con tracciato CTG il travaglio, doveva ritenersi provata l’esistenza di nesso causale tra la condotta omissiva dei medici e la patologia subita dal paziente, non potendo ridondare in danno del danneggiato le carenze della cartella clinica.

1.3. Ancora sotto il profilo della inosservanza dei criteri sul riparto dell’onere probatorio, il quarto motivo censura altresì la sentenza per aver valutato irrilevante “la mancanza del tracciato del monitoraggio CTG nel periodo immediatamente antecedente l’ingresso in sala parto”, in ragione della “documentata assenza di sofferenza al momento della nascita” e delle “refertate buone condizioni del neonato”.

1.4. Con il quinto motivo, invece, per violazione dei principi che disciplinano la diligenza nell’adempimento di prestazioni mediche, si lamenta il mancato riconoscimento della responsabilità del pediatra, Dott. S., per non aver diagnosticato o, comunque, per aver sottaciuto la sofferenza perinatale del paziente, avendo praticato un trattamento farmacologico con antiemorragico non compatibile con un parto del tutto normale.

2. Il ricorso è fondato e va accolto in relazione ai motivi secondo, terzo e quarto, tutti congiuntamente esaminabili poichè invclgenti, nell’apprezzamento della medesima vicenda fattuale, la corretta osservanza dei criteri disciplinanti la distribuzione dell’onus probandi tra le parti in lite.

2.1. La decisione richiede brevi premesse di ordine generale.

Con orientamento oramai consolidato (a partire dal basilare arresto di Cass., Sez. U, 11/01/2008, n. 577), il giudice della nomofilachia ha chiarito che in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante, con la conseguenza che qualora all’esito del giudizio permanga incertezza sull’esistenza del nesso causale tra condotta del medico e danno, questa ricade sul debitore.

Allorquando infatti la responsabilità medica venga invocata a titolo contrattuale, cioè sul presupposto che fra il paziente ed il medico e/o la struttura sanitaria sia intercorso un rapporto contrattuale (o da “contatto sociale”), la distribuzione inter partes del carico probatorio riguardo al nesso causale deve tenere conto della circostanza che la responsabilità è invocata in forza di un rapporto obbligatorio corrente fra le parti ed è dunque finalizzata a far valere un inadempimento oggettivo: sul danneggiato grava dunque solo l’onere di allegare qualificate inadempienze, astrattamente idonee a porsi come causa o concausa del danno, nella prestazione del medico inserita nella sequenza eziologica da cui è scaturito il lamentato pregiudizio (così Cass. 12/09/2013, n. 20904; Cass. 21/07/2011, n. 15993; Cass. 12/12/2013, n. 27855; Cass. 30/09/2014, n. 20547; Cass. 14/07/2015, n. 14642).

Con specifico riferimento poi ai danni cerebrali da ipossia neonatale, si è condivisibilmente affermato che, in presenza di un’azione o di un’omissione dei sanitari nella fase del travaglio o del parto in ipotesi atte a determinare l’evento, l’esser rimasta ignota la causa del danno non può ridondare a vantaggio della parte obbligata, la quale è anzi tenuta alla prova positiva del fatto idoneo ad escludere l’eziologica derivazione del pregiudizio dalla condotta inadempiente (Cass. 17/02/2011, n. 3847; Cass. 09/06/2011, n. 12686); d’altro canto, il nesso di causalità tra condotta medica e danno è da ritenersi sussistente quando, da un lato, non vi sia certezza che il danno patito dal neonato sia ascrivibile a ragioni naturali o genetiche e, dall’altro, appaia “più probabile che non” che un tempestivo e diverso intervento medico avrebbe evitato il pregiudizio (così Cass. 09/06/2016, n. 11789).

2.2. Agli illustrati principi sul governo del carico probatorio non si è uniformata l’impugnata sentenza, la quale, quantunque evocando alcuni dei citati precedenti della giurisprudenza di legittimità, ne ha fatto erronea applicazione.

Invero la Corte di Appello romana, con argomentazione affetta da irriducibile antinomia, pur riconoscendo (sulla scorta delle chiare risultanze della espletata consulenza tecnica officiosa, già valorizzate dal primo giudice) che il danno era “verosimilmente circoscritto (solo perchè escluse alcune di altre possibili cause) al periodo perinatale”, ha poi concluso nel senso che “la patologia sofferta dal minore (non) fosse riconducibile ad una manifestazione verificatasi durante il parto”, ritenendo (all’esito di discettazione laconica e basata su considerazioni di tenore astratto e generale) che “il paziente avrebbe dovuto (… “dimostrare le denunciate omissioni e le erronee manovre durante l’espletamento del parto nonchè la riconducibilità a queste della malattia (…) peraltro individuata con certezza in epoca successiva alla nascita”.

Ha inoltre confermato la valutazione (espressa nella pronuncia di primo grado) di irrilevanza della “mancanza del tracciato del monitoraggio CTG nel periodo immediatamente antecedente l’ingresso in sala parto”, in quanto, riportando la cartella clinica le fasi del travaglio e dell’assistenza in tale momento praticata, “la documentata assenza di sofferenza al momento della nascita ed, anzi, le refertate buone condizioni del neonato costituivano elementi che non consentivano (..) di ritenere negligente omissiva l’attività dei medici”.

2.3. Sulla scorta della individuata disciplina dell’onere probatorio, il testè sintetizzato percorso motivazionale si appalesa, sotto vari aspetti erroneo, finendo, in ultima analisi, con il gravare il danneggiato della prova certa e positiva sia di un contegno inadempiente del medico sia della efficienza eziologica di quest’ultimo nella produzione del danno.

Occorre, al riguardo, muovere dalla considerazione di due elementi, pacificamente acquisiti quali risultanze di causa, impropriamente valutati nella gravata pronuncia.

In primis, gli esiti della consulenza tecnica officiosa, univoci nel senso (pur nella impossibilità di apprezzamenti certi per l’assenza in cartella clinica della descrizione obiettiva del travaglio e del parto) di ritenere “estremamente improbabile” una causa della patologia diversa da un evento anossico-ischemico ed “estremamente remota” una origine genetica di detta patologia.

In secondo luogo, l’interruzione del monitoraggio della partoriente con tracciato cardiotocografico nella fase terminale del travaglio e per un considerevole periodo di tempo (circa un’ora e quaranta prima dell’ingresso in sala parto).

Orbene, quest’ultima condotta – dedotta da parte attrice, in maniera articolata e specifica, come inadempimento delle leges artis mediche e come tale qualificata dal giudice di prima istanza, pur senza inferirne le corrette conseguenze in punto di responsabilità dei sanitari integra un’omissione idonea a cagionare l’evento pregiudizievole lamentato.

Secondo i canoni della corretta pratica ostetrica, infatti, pur in assenza di segni clinici anomali, un costante monitoraggio tococardiografico della partoriente (con tracciati eseguiti ad intervalli di tempo sempre più ravvicinati con il progredire del travaglio) integra condotta diligente imposta per l’assistenza al parto, in quanto finalizzata alla tempestiva diagnosi di una (eventualmente insorta) sofferenza fetale e alla conseguente adozione degli interventi ad hoc necessari (quali la pratica di taglio cesareo) ad evitare il verificarsi di insulti anosso-ischemici intrapartum e dei derivanti stati patologici cerebrali (sulla doverosità di adeguato monitoraggio in sede di assistenza al parto, vedi, oltre alle citate Cass. 12686/2011 e Cass. 3847/2011, espressamente Cass. 18/05/2001, n. 6822; Cass. 17/01/2008, n. 867; Cass. 30/6/2005, n. 13979).

Coglie pertanto nel segno la censura dei ricorrenti afferente la valutazione di irrilevanza del mancato monitoraggio TCG nella fase del travaglio contenuta nella sentenza impugnata, valutazione invero giustificata con motivazione tautologica sulla base di elementi sprovvisti di significato a tal fine (le refertate buone condizioni del neonato non importano affatto l’assenza di stati patologici, i quali anzi possono essere con certezza diagnosticati in epoca successiva alla nascita, come accaduto nella specie) e tratta dalla disamina di una documentazione (la cartella clinica) mancante (come rilevato in maniera incontroversa dai nominati CC.TT.UU.) di una descrizione compiuta ed obiettiva del parto.

Risulta altresì di palmare evidenza la disapplicazione del quadro degli oneri probatori in materia di malpratice medica operata dalla Corte territoriale: la riscontrata asseverazione della inesatta esecuzione della prestazione sanitaria in sede di assistenza al parto (peraltro con omissione del monitoraggio avvenuta oltremodo per un notevole lasso temporale e nella immediata prossimità del parto), in quanto idonea a provocare il danno (apparendo estremamente remota la derivazione da altre cause della paralisi cerebrale sofferta dallo sfortunato Ma.Ma.), avrebbe dovuto condurre il giudicante a ritenere pienamente assolto l’onus gravante sul danneggiato.

Nessuna valenza poteva invece ascriversi (ed in parte qua si manifesta un’ulteriore erroneità dell’iter argomentativo seguito dalla Corte di Appello) all’assenza di una sicura prova di uno stato di sofferenza fetale: acclarato un monitoraggio non conforme alle regole della buona ostetricia, la mancanza di una conclusione certa circa la sussistenza o meno di una sofferenza fetale non può deporre a favore della parte obbligata a controllare la situazione clinica della partoriente.

Come affermato da Cass. n. 12686/2011 in un caso analogo, ai fini dell’affermazione della responsabilità medica “rileva non tanto e non solo la prova certa della sofferenza fetale, quanto piuttosto la prova certa della sua esclusione”, dimostrazione positiva cioè del fatto idoneo ad escludere il nesso di causalità tra il dedotto inadempimento dei sanitari e l’evento dannoso che deve essere offerta, dacchè prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c., dalla parte convenuta nel giudizio di responsabilità (così, da ultimo, Cass. 31/03/2016, n. 6209).

2.4. In virtù delle illustrate considerazioni, va disposta la cassazione della sentenza (con assorbimento dei profili non esaminati) e il rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo esame della controversia alla luce dei precisati principi di diritto.

Al giudice di rinvio è demandata anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del Magistrato assistente di studio, Dott. R.R..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 9 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017

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