Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8663 del 29/03/2021

Cassazione civile sez. I, 29/03/2021, (ud. 13/07/2020, dep. 29/03/2021), n.8663

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19327/2019 proposto da:

K.M., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Roppo,

del foro di Folì-Cesena e domiciliato in Roma, piazza Cavour,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione ovvero all’indirizzo

PEC del difensore iscritto nel REGINDE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato

e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza n. 84/2019 della Corte di appello di Bologna,

depositata l’8/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/07/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna, che rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, (Ndr: testo originale non comprensibile), interponeva opposizione, che veniva respinta dal Tribunale di Bologna con ordinanza del 14.05.2017;

– in virtù di appello proposto dal medesimo K.M., la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 84/2019, rigettava l’impugnazione;

– la decisione di secondo grado evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, giacchè, pur esprimendo preliminarmente una valutazione di credibilità del richiedente asilo, (Ndr: testo originale non comprensibile), in ogni caso l’espatrio trovava fondamento in una vicenda di carattere strettamente privato (cittadino del Mali fuggito a seguito dell’uccisione del padre per mano di banditi che si volevano appropriare del suo fondo, episodio da cui egli era scampato con l’aiuto di un camionista, non denunciato l’omicidio trovandosi la stazione di polizia più vicina lontana dal suo villaggio e non offrendo le autorità garanzie di protezione);

– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione il K. affidato a due motivi, illustrati anche da memoria ex art. 378 c.p.c.;

– il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere la Corte di merito valutato come vicenda puramente privata quella narrata dal richiedente, senza considerare che il Mali è soggetto ad attacchi di varia natura specie di stampo terroristico.

Il motivo di ricorso è inammissibile.

La Corte di merito con l’impugnato decreto ha congruamente valorizzato la situazione attuale del Paese di origine che in quanto tale non osta al rientro del richiedente, in difetto della individualizzazione del rischio (v. pag. 2 – 3 del provvedimento impugnato). Il giudice di merito, infatti, ha evidenziato che il richiedente proviene dal (OMISSIS), pacificamente non caratterizzato da episodi di violenza generalizzata, diversamente dalle regioni del nord e del centro del Mali, come desunto dalla consultazione delle COI più recenti ed accreditate, in particolare il rapporto 2017-2018 di Amnesty International.

A fronte di tale accertamento, le circostanze indicate dal ricorrente,; non risultano decisive in quanto non vengono dedotte situazioni di violenza idonee ad integrare il presupposto previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Il ricorrente, infatti, si limita a richiamare fonti diverse di informazione, come rapporto pubblicato dall’osservatorio di sicurezza internazionale della LUISS per l’anno 2019, dal quale emergerebbe che su tutto il territorio del Mali permane un elevato rischio terrorismo.

Questa Corte ha affermato, anche di recente, che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, dev’essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria (Cass. 2 ottobre 2019 n. 24647).

La situazione denunciata in ricorso, pur nella perturbata sua consistenza, non vale ad integrare l’indicato estremo e a censurare in modo concludente la decisione, per essere stati esclusi rilievi ed evidenze di sostegno di ipotesi legittimanti il riconoscimento della protezione sussidiaria in tutte le fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Alla luce degli enunciati principi, la censura del ricorrente si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che richiede che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 13 agosto 2018 n. 20721);

– con il secondo motivo il ricorrente nel lamentare la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 10 Cost., anche omesso esame di fatti decisivi anche con riferimento alla integrazione socio lavorativa in Italia, si duole che quanto alla richiesta protezione umanitaria il giudice non abbia fatto una autonoma valutazione delle circostanze concrete.

Anche la seconda censura è inammissibile.

Premesso che il motivo contiene una serie di considerazioni teoriche sul quadro normativo di riferimento, il ricorrente deduce un excursus sulle fonti attestanti la situazione di diffusa violenza e violazione dei diritti umani esistente in Mali, la corte di merito ha escluso la ravvisabilità dei presupposti della protezione umanitaria in difetto del riscontro di una condizione di vulnerabilità effettiva o comunque di violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani, caratterizzanti il Paese con la regione di origine e direttamente riferibili alla vicenda personale del richiedente.

A tale esito decisorio il giudice del merito è pervenuto, con congrua motivazione, sia sulla base di una ponderata valutazione della natura meramente privata ed episodica della vicenda narrata dal ricorrente, sia tenendo conto della situazione del Paese di origine.

E’ evidente, infatti, che la rilevanza della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel Paese di origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del Paese di origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass. 26 febbraio 2020 n. 5191). La rilevanza di quanto narrato dall’istante è stata, peraltro, esclusa, nel caso di specie, per i motivi suesposti, avendo egli scelto scientemente di non denunciare la vicenda puramente privata in cui era rimasto ucciso il padre.

Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021

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