Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8658 del 08/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/05/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 08/05/2020), n.8658

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35954-2018 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE DEL

GALLO 4, presso lo studio dell’avvocato TASSINI SERGIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.D., F.E., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA FABIO MASSIMO 45, presso lo studio dell’avvocato SABBATANI

SCHIUMA CLAUDIO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 6727/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SCRIMA

ANTONIETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.N. convenne M.D. ed F.E. innanzi al Tribunale di Roma, per sentirli condannare al risarcimento dei danni, che quantificò in Euro 25.000,00, per essere stato ingiustamente accusato dai convenuti, con due querele – denunce, di aver commesso i reati di violazione di domicilio e di danneggiamento della proprietà privata, pur essendo consapevoli della sua innocenza, reati che sarebbero stati commessi nel corso di una lite condominiale cui l’attuale ricorrente sostenne di non essere stato presente e dai quali era stato assolto.

I convenuti si costituirono chiedendo il rigetto della domanda e la condanna dell’attore ex art. 96 c.p.c..

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 24425/2013, rigettò la domanda e compensò le spese di lite.

Avverso detta sentenza il M. propose gravame, cui resistettero gli appellati.

La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 6727/2018 rigettò l’impugnazione, condannò l’appellante alle spese di quel grado e dichiarò la debenza, in capo alla predetta parte, di un ulteriore importo pari al contributo unificato già dovuto.

Avverso la sentenza della Corte di merito M.N. ha proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi e illustrato da memoria.

M.D. ed F.E. hanno resistito con controricorso.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “L’assenza del ricorrente nella predetta lite condominiale”, il M. lamenta che la Corte di merito, pur avendo riconosciuto che il ricorrente non poteva aver commesso i reati al medesimo addebitati, abbia ritenuto che questi non avesse provato il dolo in relazione alle due querele-denunce, e cioè che non fosse “stata provata “la consapevolezza dell’innocenza dell’accusato””; sostiene, altresì, che, nonostante la medesima Corte abbia accertato l’assenza del ricorrente dalla lite condominiale in parola, i Giudici del secondo grado non avrebbero valutato la circostanza della piena conoscenza, da parte degli attuali controricorrenti, di tale assenza.

2. Con il secondo motivo, rubricato “la consapevolezza dei resistenti nell’accusare il ricorrente assente e pertanto del tutto innocente”, il M. sostiene che i giudici di merito avrebbero “omesso di valutare il fatto, così come verificatosi, da cui traspare evidente il dolo e l’intento calunnioso dei resistenti nel formulare le predette due denunce-querele”, evidenziando che tali atti sono stati presentati dopo sette giorni dalla lite condominiale in parola sicchè gli attuali controricorrenti, a “mente fredda e lucida”, sarebbero stati ben consapevoli di calunniare il ricorrente. “Ad ulteriore conferma dell’odio da parte della resistente” nei suoi riguardi, rappresenta, inoltre, il M. che la F., dopo averlo querelato e denunciato, aveva proposto nei suoi confronti domanda di risarcimento danni per Euro 25.000,00, persistendo nel sostenere di essere stata vittima dei reati di violazione di domicilio e di danneggiamento di cui alla querela-denuncia, domanda poi rigettata.

3. Con il terzo motivo, rubricato “Omessa ed errata valutazione da parte dei Giudici di merito delle risultanze istruttorie, con particolare riferimento alla confessione della calunnia da parte dei resistenti”, il ricorrente denuncia che “i Giudici del merito, pur avendo rilevato i fatti e le dichiarazioni non veritieri subiti dal ricorrente da parte dei coniugi M., hanno ritenuto tali fatti “igon intenzionali””. Sostiene il M. che i Giudici del merito avrebbero dovuto valutare l’assenza del ricorrente dalla lite più volte già ricordata nonchè le dichiarazioni rese dagli attuali controricorrenti nel processo penale, con le quali entrambi avevano dichiarato che “il ricorrente non ha fatto nulla,; ribadisce che la sua assenza dalla lite condominiale e la piena consapevolezza di essa da parte dei controricorrenti costituirebbero “prova del dolo e della calunnia, cioè dell’intenzionalità delle accuse rivolte al ricorrente” ed assume che i Giudici del merito si sarebbero “rifugiati in aspetti psicologici, realizzando “un mostro giuridico”, inventando il concorso morale nella violazione di domicilio e nel danneggiamento del giardino”.

4. I tre motivi proposti – (ne ben possono essere esaminati congiuntamente – sono tutti inammissibili.

Ed invero, non risultano articolati nè espressamente nè in qualche modo indirettamente con indicazioni idonee a riportarli ad alcuno dei paradigmi di cui all’art. 360 c.p.c. e men che mai al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, alla luce di quanto indicato dalla giurisprudenza di legittimità a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte del 7/04/2014, n. 8053.

Inoltre, tutti i motivi all’esame tendono, in modo generico ed assertorio, ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede, nè risulta validamente attinta con le censure proposte la ratio decidendi della sentenza impugnata (v. in particolare quanto affermato dalla Corte di merito a p. 3, 4 e 5 della decisione di secondo grado).

5. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020

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