Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8657 del 29/03/2021

Cassazione civile sez. II, 29/03/2021, (ud. 13/07/2020, dep. 29/03/2021), n.8657

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23740/2019 proposto da:

S.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato MASSIMILIANO ORRU’,

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in RIMINI, VIA

FLAMINIA 171;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 3209/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA depositato

il 13/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/07/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.M., cittadino del (OMISSIS), proponeva ricorso avanti al Tribunale di Bologna avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale di diniego della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in subordine, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

In particolare, il ricorrente (nato il 10 febbraio 1997) dichiarava di avere lasciato il paese natio, nel dicembre 2016, e di essere entrato in Italia il (OMISSIS), passando prima a Dubai, poi in Sudan e quindi in Libia, dove aveva fatto un accordo con il trafficante per restituirgli con il suo lavoro la somma equivalente a Euro 2.600; di avere invece impiegato i soldi per venire in Italia, dimorando in un centro di accoglienza prima a (OMISSIS) e poi a (OMISSIS), ove lavorava in un negozio di Kebab con un contratto prorogato di Euro 800 al mese; di inviare circa la metà dello stipendio alla famiglia, anche per le cure del padre malato. Dichiarava pertanto di non potere tornare in patria perchè responsabile della sua famiglia avente necessità di mantenersi, di far sposare la sorella, e di finire di restituire i soldi dovuti al trafficante libico.

Con Decreto 3209/2019 depositato il 13/07/2019, il Tribunale rigettava il ricorso.

Avverso tale decreto il richiedente propone ricorso per cassazione sulla base di un motivo; l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il motivo, il ricorrente lamenta la “violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, per aver ritenuto insussistenti le condizioni per l’ottenimento della protezione sussidiaria ovvero umanitaria”.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi al giudice di merito di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata (come nella specie) la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione di singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una idonea critica di quella adottata dal Tribunale nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

Viceversa, nella specie, il ricorrente ha inidoneamente dedotto gli asseriti errori di diritto individuandoli, da un lato, mediante la sola preliminare indicazione di una singola norma processuale pretesamente violata (riguardante il sistema di impugnazione davanti al Giudice delle decisioni delle Commissioni territoriali), e, dall’altro lato, riportando aspecifiche considerazioni tratte da riflessioni di ordine generale sul sistema e sulle rationes sottese alla materia de qua.

2.1. – Con riferimento al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, si rileva peraltro la genericità della censura, fondata sulla omessa valutazione della documentazione attestante l’inserimento lavorativo ed il percorso di integrazione.

Si osserva al riguardo che lo specifico tenore del racconto svolge un ruolo rilevante, atteso che, ai fini di valutare se il richiedente abbia subito una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, essa dev’essere correlata alla condizione personale che ha determinato le ragioni della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, solo la cui attendibilità consente l’attivazione dei poteri officiosi (Cass. n. 4455 del 2018).

Va inoltre considerato che non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando isolatamente ed astrattamente il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di una generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDU 8/4/2008 Ric. 21878 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito) (Cass. 17072/2018).

2.2. – Le censure si risolvono, dunque, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è ampiamente dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

3. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021

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