Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8649 del 08/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/05/2020, (ud. 12/09/2019, dep. 08/05/2020), n.8649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22140-2018 proposto da:

A.M., M.G., M.D., M.A.,

M.P., M.M.R., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato PIETRO ALONGI;

– ricorrenti –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona de Procuratori pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

contro

MA.VI., S.A., T.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3102/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2009, M.G. e A.M., quali genitori di F. e nonni dei minori C.V. e C.G., nonchè M.P., M.M.R., M.D. e M.A., fratelli di M.F. e zii del minore, deceduti in un sinistro stradale in data (OMISSIS), citavano in giudizio Ma.Vi., la SETE s.r.l. e Assicurazioni Generali S.p.a., per ottenere la condanna in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito del decesso dei propri congiunti.

Esponevano che, concluso il procedimento penale con sentenza del 21/10/2005 passata in giudicato, la Corte d’appello di Roma aveva accertato la responsabilità di Ma. nella misura dell’80% nella causazione del sinistro e per l’effetto aveva condannato al risarcimento dei danni in favore dei ricorrenti costituiti parte civili, i quali avevano ricevuto solo le somme liquidate a titolo di provvisionale, pertanto agivano in sede civile per ottenere la differenza ancora dovuta.

Si costituivano i convenuti, ad eccezione di Ma.Vi., contestando la domanda, precisando di avere già esaurito il massimale di polizza pari ad Euro 2.582.284,50.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 7337/2013, riconosciuta la responsabilità nella misura dell’80% di Ma. e detratti gli acconti già corrisposti, condannava i convenuti in solido e l’Assicurazione Generali, nei limiti del massimale, al pagamento delle ulteriori somme, per un importo complessivo di circa 1.800,000 Euro.

2. La Generali Italia S.p.a. proponeva impugnazione avverso la predetta sentenza.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3102/2018 del 11705/2018, accoglieva in parte il gravame proposto da Generali Italia S.p.a., ritenendo che, avendo i ricorrenti chiesto una somma determinata ed addirittura esplicato i conteggi ed indicato la somma richiesta per ciascuna danneggiato, nonchè, il fatto che neppure nelle conclusioni avevano indicato somme maggiori, limitandosi a riportarsi a quelle già rassegnate, la pronuncia doveva ritenersi affetta da violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo il Giudice di prime cure liquidato una somma di gran lunga maggiore a quella richiesta.

3. Avverso la predetta decisione, A.M., M.G., M.P., M.M.R., M.D., M.A., propongono ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo. Generali Italia S.p.a. resiste con controricorso.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. Con l’unico motivo di ricorso, parte ricorrente si duole della “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ed omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio”.

Avrebbe “errato la corte d’appello di Roma poichè ha omesso di considerare e ritenere che la domanda giudiziale in primo grado non era statica ma flessibile, poichè la stessa chiedeva la condanna delle Generali (ed altri) al pagamento delle somme indicate ovvero a quella somma maggiore o minore che il Tribunale avrebbe ritenuto di liquidare secondo giustizia oltre interessi e rivalutazione delle somme a far data dall’8 marzo 1999”.

Secondo parte ricorrente tale dicitura avrebbe indicato che la pretesa risarcitoria può essere (rimessa al giudice) maggiore o minore secondo le prove ovvero secondo gli indirizzi prestabiliti prefissati per casi analoghi. La dicitura anzidetta non porrebbe limiti nella determinazione del damnum, stante che la parte attrice, pur avendo indicato delle somme, si era affidata al Tribunale per l’utilizzo delle tabelle. Pertanto il petitum, relativo al quantum sarebbe stato elastico e perciò avrebbe errato la corte d’appello a ritenerlo chiuso.

Il ricorso è inammissibile.

Innanzitutto lo è per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.. Infatti: a) omette di riprodurre il contenuto della domanda in parte qua; b) omette di riprodurre il contenuto delle richieste in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado e nelle conclusionali.

E’ principio consolidato di questa Corte che in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso (Cass. S.U. n. 7161/2010; Cass. S.U. n. 28547/2008).

Pertanto, come nel caso di specie, la mancanza di una sola delle indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. n. 19157/12; Cass. n. 22726/11; Cass. n. 19069/2011).

In ogni caso il ricorso presenta anche un’altra ragione di inammissibilità. Infatti il giudice del merito ha posto nella sentenza impugnata una ulteriore ed autonoma ratio decidendi (cfr. pag. 4, 4 capoverso) “che avendo i ricorrenti chiesto una somma determinata ed addirittura esplicitato i conteggi ed indicato la somma richiesta per ciascun danneggiato nonchè il fatto che neppure nelle conclusioni hanno indicato somme maggiori, limitandosi a riportarsi a quelle già rassegnate (cfr. pag. 4 sentenza impugnata)”. Ebbene tale ratio decidendi della sentenza non è stata impugnata dai ricorrenti.

Ed è giurisprudenza consolidata di questa Corte che “Ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza” (cfr. sin da Cass. n. 14740/2005; Cass. n. 16314/2019; Cass. 3386/2011; Cass. 9752/2017).

6. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020

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