Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8646 del 07/05/2020

Cassazione civile sez. II, 07/05/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 07/05/2020), n.8646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 18379/’16) proposto da:

D.P.M., (C.F.: (OMISSIS)) e S.G. (C.F.:

(OMISSIS)), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in

calce al ricorso, dagli Avv.ti Nicomede Di Michele e Pasquale

Caccavale e domiciliati “ex lege” presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione, in Roma, P.zza Cavour;

– ricorrenti –

contro

SA.GI., e T.A.;

– intimati –

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11 dicembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione dell’ottobre 2010 i sigg. Sa.Gi. e T.A., quali proprietari di un appartamento posto al terzo piano di un fabbricato sito in (OMISSIS), convenivano in giudizio, dinanzi al Giudice di pace di Pozzuoli, i condomini S.G. e D.P.M. per sentir accertare la loro responsabilità per l’uso improprio del bene comune oltre che la violazione delle distanze legali riconducibili all’illegittima installazione di uno stendibiancheria non rimuovibile (siccome cementato nella parete della facciata condominiale) che ledeva il diritto al panorama di essi attori fruibile dal balcone alla romana del loro salotto, con conseguente condanna dei convenuti alla rimozione di detta struttura e al relativo risarcimento dei danni.

I predetti convenuti si costituivano in giudizio, eccependo, in via pregiudiziale, l’incompetenza per materia e per valore del giudice adito, instando, in ogni caso, per il rigetto della domanda e formulavano, altresì, domanda riconvenzionale per sentir accertare e dichiarare la titolarità della servitù o del diritto reale di godimento con riferimento all’apposizione dello stendibiancheria dedotto in controversia.

Il Giudice di pace di Pozzuoli, invitate le parti a precisare e quantificare la domanda, ammessi ed assunti gli interrogatori formali richiesti dalle stesse parti, invitava, di seguito, queste ultime a precisare le conclusioni con riferimento alle sollevate eccezioni pregiudiziali e, all’esito della fissata udienza (in cui venivano, peraltro, rassegnate le conclusioni complessive relative all’intera causa), il menzionato giudice si riservava la decisione.

Con sentenza n. 3241/2013 il predetto Giudice di pace accoglieva parzialmente la proposta domanda principale, condannando i convenuti alla rimozione del manufatto usato come stendibiancheria dalla posizione in cui si trovava, compensando le spese del giudizio.

2. Interposto appello da parte di S.G. e D.P.M., il Tribunale di Napoli, nella costituzione di entrambi gli appellati (che formulavano appello incidentale), con sentenza n. 1250/2016 (depositata il 29 gennaio 2016), rigettava entrambi i gravami e compensava per intero le spese del grado.

A fondamento dell’adottata decisione il Tribunale partenopeo ravvisava, in via preliminare, l’illegittimità dell’impugnata sentenza con la quale il Giudice di pace puteolano aveva ritenuto di essere competente sulle proposte domande, dovendosi, invece, rilevare – come dedotto dagli appellanti principali – la sussistenza della competenza per materia del Tribunale avuto riguardo all’art. 9 c.p.c., sul presupposto che si verteva in tema di azioni reali.

Ciò chiarito, e dovendosi ripronunciare sul merito della domanda per effetto dei formulati gravami, il Tribunale rilevava l’infondatezza dell’appello principale essendo state addotte a sostegno dello stesso circostanze fattuali al di fuori del “thema probandum” per effetto delle preclusioni istruttorie che erano maturate in loro danno, siccome le istanze probatorie non erano state tempestivamente reiterate, non senza considerare che la difesa degli appellanti principali non aveva chiesto, all’atto della precisazione delle conclusioni, la revoca dell’ordinanza precedente con cui era stata dichiarata implicitamente l’irrilevanza delle ulteriori istanze istruttorie, le quali venivano riproposte solo nelle note difensive scritte presentate durante l’udienza di discussione, il cui deposito, tuttavia, non poteva considerarsi legittimo in difetto di una specifica autorizzazione giudiziale mai richiesta nè concessa.

Con l’adottata sentenza il Tribunale di Napoli ravvisava anche l’infondatezza dell’appello incidentale avanzato dagli appellati con riferimento al riconoscimento dei danni conseguenti all’accoglimento della domanda principale formulata dinanzi al Giudice di pace.

3. Avverso la citata sentenza del Tribunale di Napoli hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, D.P.M. e S.G.. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 38,50,112,132 (comma 2, n. 4), 353 e 354 c.p.c., nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., sull’asserito presupposto che, nella fattispecie, si era venuta a configurare una violazione del principio del doppio grado di giurisdizione dal momento che il giudice di appello avrebbe dovuto, oltre a dichiarare la nullità della sentenza del Giudice di pace siccome adottata – con pronuncia sul merito – da un giudice incompetente, riesaminare l’intera controversia nel merito, esercitando in pieno la propria “potestas iudicandi” di giudice di primo grado e non limitarsi, quindi, a vagliare la sola fondatezza dell’appello, rigettandolo, lasciando inalterata la sentenza emessa dal primo giudice ancorchè incompetente (così incorrendo anche nella violazione dell’art. 112 c.p.c.), tra l’altro fondando la propria decisione sulla declaratoria di inammissibilità delle richieste di prova di essi appellanti, ritenendo che fossero decaduti da tale diritto come esercitato in primo grado.

2. Con la seconda censura i ricorrenti hanno dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, – la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè la nullità dell’impugnata sentenza, oltre alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 1062 c.c., e degli artt. 112,115 e 244 c.p.c., in uno all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

A tal proposito i ricorrenti hanno inteso evidenziare che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, essi avevano specificamente indicato le istanze istruttorie già nella comparsa di costituzione e risposta, riproponendole nelle note depositate all’udienza dell’8 luglio 2011 dinanzi al Giudice di pace oltre a reiterarle in appello, avuto riguardo alle circostanze inerenti sia l’epoca di edificazione del fabbricato che, comunque, il momento di decorrenza del termine iniziale di acquisizione del possesso utile ai fini dell’usucapione, così assolvendo al dettato di cui all’art. 244 c.p.c..

3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno prospettato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., la nullità dell’impugnata sentenza, nonchè la violazione degli artt. 99,112,115,189,311,320,321,345 e 346 c.p.c., oltre che degli artt. 24 e 111 Cost., ponendo in rilievo che il Tribunale aveva illegittimamente ritenuto decaduti essi ricorrenti-appellanti principali dalle istanze istruttorie, per non averle reiterate in sede di precisazione delle conclusioni, senza rilevare la nullità della sentenza di primo grado, per non aver il Giudice di pace fatto precedere la decisione della causa dal formale invito alle parti a precisare le conclusioni definitive sia istruttorie che di merito.

4. Con il quarto ed ultimo motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., sul presupposto che il Tribunale aveva del tutto omesso di pronunciarsi sul terzo motivo di gravame con cui essi avevano impugnato la sentenza del Giudice di pace per violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 116 c.p.c. nonchè dell’art. 2719 c.c..

5. Ritiene il collegio che il primo motivo è fondato e deve, pertanto, essere accolto.

Va osservato, il riguardo, che se è vero che il Tribunale – non versandosi in una delle ipotesi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. – avrebbe potuto decidere nel merito anche se il giudice di pace, adito in primo grado, non aveva rilevato la sua incompetenza per materia pronunciando sul merito delle domande, è altrettanto vero che esso non avrebbe potuto emettere sentenza quale giudice di appello ma come giudice di primo grado da ritenersi effettivamente competente, con la conseguente necessità dell’instaurazione rituale del contraddittorio con riferimento all’esatto grado del giudizio (non avendo le parti fatto istanza in tal senso ma avendo proposto propriamente reciproci appelli avverso la sentenza del Giudice pace) e, quindi, rimanendo irrilevanti eventuali preclusioni formatesi nel giudizio dinanzi al giudice di pace che avrebbe, invero, dovuto dichiararsi incompetente.

A tal proposito, occorre richiamare il principio affermato in precedenza da questa Corte (v., in particolare, Cass. n. 22958/2010 e Cass. n. 26462/2011), secondo cui, ove il giudice adito in primo grado abbia erroneamente dichiarato la propria competenza e deciso la causa nel merito, il giudice dell’appello, nel ravvisare l’incompetenza del primo giudice, deve dichiararla ed indicare il giudice competente in primo grado – davanti al quale il processo continuerà, se riassunto ai sensi dell’art. 50 c.p.c. -, non rilevando, in riferimento alla fattispecie di erroneo radicamento della competenza, il divieto di rimessione al primo giudice previsto dagli artt. 353 e 354 c.p.c.; il giudice di appello, infatti, per non incorrere nella violazione del principio del doppio grado di giurisdizione – che, pur non essendo costituzionalizzato, è stabilito dalla disciplina legislativa ordinaria del processo di cognizione – non può trattenere la causa e deciderla nel merito, salvo il caso in cui il giudice di appello coincida con quello competente per il primo grado e sussista apposita istanza per la decisione, nel merito e in primo grado, della controversia, con instaurazione di regolare contraddittorio sul punto.

In altri termini, nel caso in cui il giudice di appello decidesse nel merito una causa che il primo giudice non poteva decidere, perchè incompetente, farebbe molto di più che sostituirsi al primo giudice, in quanto eserciterebbe un potere che questi non aveva. E ciò comporta, inoltre, la violazione del principio del doppio grado di giurisdizione: il quale, se è vero – come già evidenziato – che non ha rango costituzionale, è comunque previsto dalla disciplina processuale (quantomeno con riferimento al giudizio ordinario di cognizione), e dunque rileva ai fini interpretativi, nel senso che il doppio grado non può essere escluso se non in presenza di un chiaro (ancorchè eventualmente implicito) dettato legislativo (che in questo caso manca).

Va, quindi, sottolineato in senso decisivo che – ove si ritenesse che il giudice di appello debba in ogni caso pronunciare nel merito, anche se riconosca l’incompetenza del giudice di primo grado – si finirebbe con il togliere ogni pratico rilievo all’incompetenza stessa, giacchè l’incompetenza del giudice davanti al quale la causa è proposta non comporterebbe alcuna conseguenza: il giudice competente in primo grado verrebbe irrimediabilmente escluso dal processo se la causa dovesse comunque essere decisa nel merito dal giudice di appello (la cui competenza, per di più, è determinata con riferimento al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, e non a quello che sarebbe stato, invece, competente).

Da ciò consegue che solo se il giudice adito quale giudice di appello, in merito alla sentenza impugnata per erronea declaratoria di competenza, coincidesse con il giudice esattamente competente per il giudizio di primo grado (come nella fattispecie dedotta in giudizio, in cui il tribunale non solo costituiva giudice di appello in relazione alla sentenza del giudice di pace da ritenersi incompetente, ma anche giudice di primo grado secondo le regole della competenza se correttamente applicate), in questo caso tale giudice può decidere non solo in ordine all’incompetenza del primo giudice, ma nel merito quale giudice di primo grado, per evidenti ragioni di economia processuale, purchè vengano osservate le regole proprie del primo grado e sia instaurato legittimamente il contraddittorio per pervenire alla rituale emissione di una decisione conseguente allo svolgimento in senso proprio di un giudizio di primo grado.

Senonchè, è indubbio che – nel caso in esame – il Tribunale partenopeo si sia pronunciato come giudice di appello, così violando il principio del doppio grado di giurisdizione: tale circostanza si desume univocamente sia dalla motivazione che dal dispositivo della sentenza qui impugnata, laddove risulta dichiarato il rigetto di entrambe le impugnazioni (principale ed incidentale) e, proprio perchè ha deciso in tale qualità, lo stesso Tribunale ha considerato precluse le istanze istruttorie avuto riguardo al regime processuale caratterizzante propriamente il giudizio dinanzi al giudice di pace, nel mentre avrebbe dovuto veicolare il processo nelle rituali forme del giudizio di cognizione – di primo grado – dinanzi al Tribunale, così rimanendo superata ogni eventuale decadenza maturata dinanzi al giudice di pace incompetente e che – invero – tale avrebbe dovuto dichiararsi, senza decidere nel merito.

6. Pertanto, sulla scorta delle illustrate complessive argomentazioni, deve – in accoglimento del primo motivo – provvedersi ai sensi dell’art. 382 c.p.c., cassando la sentenza impugnata e dichiarando la competenza in primo grado del Tribunale di Napoli, con il conseguente assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso, attinenti ad altri subordinati profili processuali e al merito della decisione impugnata.

Al suddetto Tribunale è demandata anche la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rimette le parti, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., al Tribunale di Napoli, quale giudice di primo grado, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2020

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