Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8642 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 15/04/2011, (ud. 17/01/2011, dep. 15/04/2011), n.8642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.C. e L.M., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Maria Saveria Sanzi 21, presso l’avv. MENTONELLI Romano, che li

rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e

difende per legge;

– intimato costituito –

avverso la decisione della Commissione Tributaria Centrale, Sez. 25,

n. 4137/98 del 6 luglio 1998, depositata il 17 luglio 1998, non

notificata;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 17 gennaio 2011

dal Cons. Dott. Raffaele Botta;

Udito l’avv. Romano Mentonelli, per i ricorrenti;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne una cessione d’azienda, la cui attività era la vendita al minuto di calzature, tra il padre, titolare dell’azienda medesima, ed il figlio che partecipava all’attività aziendale condotta in regime di impresa familiare. L’Ufficio del Registro elevava il valore dichiarato nell’atto di cessione e il relativo avviso veniva impugnato, contestandosene dai contribuenti il difetto di motivazione e l’adozione di parametri non correlati alla situazione reale dell’azienda ceduta.

La Commissione Tributaria di Primo Grado di Roma rigettava il ricorso. La decisione era riformata in appello dalla Commissione Tributaria di Secondo Grado, che annullava l’accertamento, ma la Commissione Tributaria Centrale, adita in via principale dall’Ufficio e in via incidentale dai contribuenti, confermava, con la sentenza in epigrafe, l’accertamento impugnato.

Avverso tale sentenza i contribuenti propongono ricorso per cassazione con due motivi. L’Amministrazione non ha notificato un controricorso, ma ha depositato un atto di costituzione al fine di partecipare all’udienza di discussione.

Nelle more della pendenza del ricorso, i contribuenti si avvalevano della procedura di definizione della lite prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, ma la relativa istanza veniva respinta dall’Agenzia delle Entrate con provvedimento di diniego che i contribuenti impugnavano innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma.

Diritto

MOTIVAZIONE

Preliminarmente deve essere disposta la revoca dell’ordinanza con la quale all’udienza del 7 luglio 2009 la causa fu rinviata in attesa che venisse definito il giudizio relativo all’impugnazione del provvedimento di diniego. Infatti, poichè la controversia, all’epoca dell’entrata in vigore della L. n. 289 del 2002, era pendente in Cassazione, è innanzi a questa Corte che avrebbe dovuto proporsi, in via esclusiva, l’impugnazione del provvedimento di diniego del condono. Questa Corte ha già avuto modo di stabilire il principio, condiviso dal collegio, secondo cui “in tema di condono fiscale, e con riferimento alla definizione agevolata delle liti fiscali pendenti prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, l’impugnazione del provvedimento di diniego della definizione della lite che penda in fase di legittimità, deve essere proposta dinanzi alla Corte di cassazione nelle forme e secondo le modalità del ricorso per cassazione dettate dal codice di procedura civile” (Cass. nn. 15847 del 2006; 3569 del 2005).

Può, quindi, procedersi all’esame del merito del ricorso e ai relativi motivi con il quali si denuncia un error in procedendo, in relazione al fatto che il litisconsorte necessario L.M. non aveva partecipato al giudizio d’appello, e un error in indicando, per non aver tenuto conto della rilevanza che rispetto alla valutazione dell’avviamento poteva avere il fatto che nella specie si trattava di una impresa familiare e che la cessione avveniva tra madre e figlio.

Quanto al presunto error in procedendo, va rilevato, da un lato, che la questione non risulta sollevata (e nemmeno è affermato che sia stata sollevata) nel giudizio innanzi alla Commissione centrale e, dall’altro, che non viene indicato da quale atto dovrebbe risultare la pretesa violazione del litisconsorzio, litisconsorzio che, peraltro, non può dirsi necessario, vertendosi nella specie in una ipotesi di solidarietà nell’obbligazione d’imposta.

Quanto al presunto error in indicando, va rilevato che l’impugnata sentenza è coerente con l’orientamento espresso da questa Corte e che il collegio condivide, secondo il quale, “l’avviamento è una componente del valore dell’azienda, costituita dal maggior valore che il complesso aziendale, unitamente considerato, presenta rispetto alla somma dei valori di mercato dei beni che lo compongono.

Pertanto, in caso di cessione di azienda, si deve tener conto dell’avviamento, agli effetti dell’imposta di registro, nella determinazione del valore venale dell’azienda ceduta, senza che assumano rilievo circostanze contingenti, che pure possano avere influito nella determinazione concreta del corrispettivo – quali i legami di parentela e di lavoro tra cedente e cessionario (nella specie, padre e figlio, già partecipe di fatto dell’azienda) -, in quanto il valore che deve essere preso in considerazione per la determinazione della base imponibile è il prezzo che il bene ha in comune commercio, vale a dire quello che il venditore ha la maggiore probabilità di realizzare e l’acquirente di pagare in condizioni normali di mercato, prescindendo, quindi, da situazioni soggettive e momentanee che possano deprimerlo o esaltarlo” (Cass. nn. 28751 del 2005; 10893 del 1995).

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. In ragione del mancato esercizio di un’utile attività difensiva, non deve provvedersi sulle spese.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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