Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8639 del 07/05/2020

Cassazione civile sez. II, 07/05/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 07/05/2020), n.8639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefania – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3539-2016 proposto da:

SAN GIORGIO AGRICOLTURA S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, e G.F., rappresentati e difesi

dall’avvocato IPPOLITO POLLINI e domiciliati presso la cancelleria

della Corte di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

PROVINCIA DI SIENA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIA CRISTINA n. 8, presso

lo studio dell’avvocato GOFFREDO GOBBI, rappresentato e difeso

dall’avvocato DUCCIO VALERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1350/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 16/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con n. 14 ricorsi tutti in data 10.12.2009 proposti inizialmente al Tribunale di Grosseto, sezione distaccata di Orbetello, e poi riassunti dinanzi il Tribunale di Siena, sezione distaccata di Poggibonsi, a seguito della dichiarazione di incompetenza territoriale del giudice originariamente adito, San Giorgio Agricoltura S.r.l. e G.F. interponevano opposizione avverso altrettante ordinanze-ingiunzioni notificate nei loro confronti dalla Provincia di Siena in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, comma 1 per avere gli opponenti accettato nel luglio 2007 n. 14 carichi di materiale qualificato nei relativi documenti di trasporto come ammendante vegetale ma in effetti costituente rifiuto pericoloso in base ai controlli eseguiti dall’A.R.P.A.T..

Gli opponenti eccepivano, in particolare, il mancato rispetto del termine di 90 giorni di cui alla L. n. 289 del 1981, art. 14 perchè l’amministrazione aveva appreso dei trasporti contestati, e ricevuto copia dei relativi D.D.T., ben prima di 90 giorni antecedenti alla contestazione del fatto; l’impossibilità di configurare la loro responsabilità, poichè la norma sanzionatoria si riferiva al produttore del rifiuto, e non anche a colui che senza colpa lo aveva ricevuto ritenendolo conforme ai documenti di accompagnamento; e la continuazione della condotta, e quindi l’opportunità di irrogare un’unica sanzione. Invocavano inoltre la riduzione delle sanzioni al minimo edittale.

I procedimenti, riuniti, venivano decisi con sentenza n. 65/2013, con la quale il Tribunale, respinte tutte le altre censure, accoglieva soltanto l’istanza di riduzione dell’importo delle sanzioni irrogate.

Interponevano appello G.F. e San Giorgio Agricoltura S.r.l. e resisteva al gravame la Provincia di Siena.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 1350/2015, la Corte di Appello di Firenze rigettava l’impugnazione.

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione G.F. e San Giorgio Agricoltura S.r.l. affidandosi a cinque motivi. Resiste con controricorso la Provincia di Siena. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 14, 15 e 23 nonchè dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che dagli atti depositati dall’autorità amministrativa nel giudizio di merito emergeva che quest’ultima, pur essendo stata informata dei trasporti oggetto della contestazione sin dal 15 settembre 2004 (data in cui il Comune di Poggibonsi aveva trasmesso al Corpo Forestale dello Stato la copia dei D.D.T. relativi a detti trasporti) aveva tuttavia elevato le contestazioni soltanto con verbali del 23.11.2004, notificati il 13.1.2005. Ad avviso dei ricorrenti, il giudice di appello avrebbe dovuto valorizzare il fatto che nei predetti verbali del C.F.S. si indicava che la distilleria dalla quale il materiale proveniva aveva comunicato all’autorità amministrativa, con nota dell’8.7.2004, l’avvenuto trasporto del materiale medesimo presso il deposito degli odierni ricorrenti già nel maggio-giugno 2003; il Comune di Poggibonsi aveva poi trasmesso al C.F.S. la documentazione relativa al detto trasporto il 15.9.2004; e quindi l’autorità era informata sia del trasferimento del materiale presso il deposito degli odierni ricorrenti, che della sua provenienza dalla distilleria, ben prima del termine di 90 giorni antecedente all’emissione dei verbali previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14 e dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè la Corte fiorentina avrebbe dovuto tener conto del fatto che l’autorità amministrativa non avrebbe provveduto alla tempestiva contestazione della violazione, avendo notificato i verbali solo il 13.1.2005, pur sapendo del trasporto, ed avendo acquisito dal Comune la relativa documentazione, almeno sin dal 15.9.2004.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 perchè la Corte gigliata non avrebbe considerato il contenuto dei verbali di contestazione e dei documenti di trasporto, dai quali sarebbe emersa la prova che l’autorità amministrativa era a conoscenza del trasporto, ed aveva gli elementi per valutare l’eventuale violazione della norma di legge, sin dal 15.9.2004.

Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 15 e 52 e delle norme di cui alla L. n. 748 del 1984 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè il giudice di seconde cure non avrebbe considerato il fatto che le tracce di rame riscontrate nel materiale oggetto delle sanzioni di cui è causa erano dovute all’uso dello stesso come anticrittogamico e disinfestante nella tradizionale cura dei vigneti. La Corte toscana avrebbe infatti dovuto valorizzare la circostanza che la produttrice del materiale usato come fertilizzante dagli odierni ricorrenti era una distilleria.

Le quattro censure, che meritano un esame congiunto, sono infondate. La Corte territoriale afferma che nei verbali di contestazione si indicano, come prova del superamento del valore ammesso per il rame e quindi del fatto illecito contestato, le analisi eseguite dall’A.R.P.A.T. di Siena, eseguite mediante prelievo dell’8.9.2003. Il materiale, dopo il prelievo di cui anzidetto, era stato trasportato presso gli odierni ricorrenti e quindi – anche se il C.F.S. aveva ricevuto gli esiti delle analisi dell’A.R.P.A.T. sin dal 24.11.2003 – soltanto dopo gli ulteriori accertamenti del 23.11.2004 si era acquisita la prova certa che il materiale riscontrato presso il deposito degli odierni ricorrenti corrispondeva a quello già analizzato nel deposito della distilleria che lo aveva prodotto. Pertanto, era da tale seconda data – in cui l’illecito era stato apprezzato nella sua totale e definitiva materialità – che dovevano essere computati i termini di legge, i quali risultavano rispettati posto che i verbali erano stati tutti notificati il 13.1.2005, all’interno dei 90 giorni di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14 (cfr. pagg.3 e 4 della sentenza impugnata).

Quanto invece al superamento del valore del rame, la Corte di Appello afferma che esso era stato ammesso dagli stessi ricorrenti (cfr. pag. 5 della sentenza) e che ciò era sufficiente ad imporre il trattamento del materiale stesso come rifiuto, con conseguente impossibilità di avviarlo al riutilizzo come fertilizzante agricolo.

Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 8 perchè la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare una sola sanzione, trattandosi di unica condotta violativa della norma sanzionatoria, pur se articolata in diversi trasporti.

La censura è infondata. La Corte di merito afferma infatti (cfr. pag. 6 della decisione) che “… in primo grado erano stati gli stessi opponenti a dedurre la sussistenza di una pluralità di azioni”; di conseguenza, la deduzione di una condotta unitaria, solo in secondo grado, doveva essere ritenuta inammissibile. Simile affermazione, che costituisce la ratio del rigetto del motivo di appello, non viene attinta dal motivo di censura in esame, che non contesta la circostanza che l’unicità della condotta fosse stata dedotta solo in appello, e non anche in prime cure. Nè vi è spazio, in presenza di plurime condotte di violazione della stessa norma sanzionatoria, per l’applicazione dell’istituto della continuazione, estraneo al sistema sanzionatorio delineato dalla L. n. 689 del 1981. Ne consegue l’assoluta correttezza della contestazione, da parte dell’autorità amministrativa, di plurime violazioni della stessa norma sanzionatoria, ciascuna delle quali risulta integrata dal singolo trasporto di materiale eseguito in difformità dalle prescrizioni di legge.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in 5.500 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2020

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