Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8637 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 15/04/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 15/04/2011), n.8637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21184/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

B.A.M., C.M., BO.

A., elettivamente domiciliate in ROMA VIA CASSIODORO 19, presso

lo studio dell’avvocato JANARI LUIGI, rappresentate e difese

dall’avvocato PATANE’ AUSILIO ABRAMO, giusta delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 106/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANIA, depositata il 17/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12/01/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE FERRARA;

udito per il ricorrente l’Avvocato DETTORI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di permuta registrata il 2.5.1990 il competente ufficio delle Imposte il 12.2 e il 10.3.1992 notificava agli alienanti C.M., Bo.Ag. e B.A. e alla acquirente Cogevim avviso di accertamento con il quale rettificava in aumento il valore finale del cespite trasferito, sia ai fini dell’imposta di registro che dell’Invim.

In pendenza del termine di impugnazione le parti presentavano istanza di definizione L. n. 413 del 1991, ex art. 53, provvedendo poi al pagamento della sola Invim così come liquidata sul valore finale del cespite concordato in L. 625.000.000, ma non anche dell’imposta di registro pure liquidata ai sensi della citata legge.

A questo punto l’Ufficio, ritenendo ai fini dell’imposta di registro le parti decadute dal beneficio del condono L. n. 413 del 1991, ex art. 53, comma 8 e divenuto definitivo l’originario avviso di accertamento ad esse notificato prima dell’istanza di definizione agevolata, notificava il 28.8.1998 nuovo avviso di liquidazione dell’imposta sul maggior valore accertato.

Avverso tale atto proponevano ricorso le alienanti e la C.T.P. di Catania annullava l’atto impugnato assumendo che l’avviso di rettifica non era mai divenuto definitivo nei confronti delle ricorrenti per effetto della sospensione conseguente all’istanza di condono, che la procedura di definizione agevolata, promossa sia per l’Invim che per l’imposta di registro, aveva avuto il suo definitivo epilogo con il pagamento della somma originariamente liquidata dall’Ufficio, e che ogni ulteriore pretesa dell’ufficio doveva ritenersi preclusa in conseguenza dell’intervenuta decadenza.

La sentenza, appellata dall’Agenzia delle Entrate, che ribadiva l’autonomia delle due imposte in questione e la decadenza maturata per il mancato pagamento dell’Imposta di registro, veniva successivamente confermata dalla C.T.R. della Sicilia con sentenza n. 106/18/05, depositata il 17.5.2005 e non notificata.

Per la cassazione della sentenza di secondo grado proponeva ricorso l’Agenzia articolando tre motivi, all’accoglimento dei quali si opponevano le intimate con controricorso tempestivamente notificato, con il quale formulavano plurime eccezioni di inammissibilità del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Preliminarmente devono esaminarsi le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate dalle contribuenti per effetto del giudicato che si sarebbe formato sulla sentenza di primo grado sia per inesistenza/o nullità non sanata della notifica dell’atto di appello, in quanto consegnato in unica copia per le tre destinatane dell’atto presso il procuratore domiciliatario, sia per difetto di legittimazione all’impugnazione dell’Ufficio perchè: a) la relativa autorizzazione della D.R.E. sarebbe successiva all’appello; b) non sarebbe stata inserita nell’atto di appello; c) sarebbe stata sottoscritta da un funzionario non espressamente indicato come responsabile del servizio del contenzioso.

Le eccezioni in questione sono da ritenersi inammissibili in quanto non proposte con ricorso incidentale, bensì soltanto con controricorso. Il controricorso, invero, non è un mezzo di impugnazione ma soltanto uno strumento di difesa offerto all’intimato al solo fine di esporre ragioni giuridiche contrarie a quelle esposte dal ricorrente, nell’unica prospettiva di conseguire la conferma dell’impugnata sentenza, così che con esso non possono essere indicate nuove censure per contrastare la sentenza impugnata, che devono invece necessariamente essere proposte con il ricorso incidentale di cui all’art. 371 c.p.c., quale atto processuale con il quale, la parte, che abbia motivo di ritenersi insoddisfatta dell’esito costituito dalla sentenza di appello, la impugna a sua volta al fine di ottenere quanto non le sia stato riconosciuto nella fase di merito.

Nella vicenda in esame la questione della nullità della notifica era stata sollevata dall’unica appellata costituitasi, e, così come tra l’altro espressamente richiamata nella parte narrativa della sentenza, non può ritenersi assorbita dall’accoglimento di altra tesi, come nella giurisprudenza sul ricorso incidentale citata nel controricorso, bensì implicitamente rigettata dal giudice, nell’espletamento dei compiti che su di esso, indipendentemente dall’eccezione di parte, gravavano di verificare preliminarmente la regolare instaurazione del rapporto processuale, con statuizione conseguentemente censurabile solo e necessariamente con ricorso incidentale.

In tal senso univocamente depone la giurisprudenza di legittimità, che anche con recenti decisioni, sicuramente condivise da questo Collegio, ha avuto modo di affermare in proposito che nell’ipotesi in cui la sentenza impugnata abbia, sia pure implicitamente, risolto in senso sfavorevole alla parte vittoriosa una questione preliminare o pregiudiziale, il ricorso per cassazione dell’avversario impone a detta parte che intenda riproporre all’esame della Corte la questione stessa, di proporre ricorso incidentale (Cass. 28.3.2006 n. 6992;

cfr. Cass. 5.3.2003, n. 3261, 29.11.1993 n. 11808).

Nè a diversa conclusione potrebbe pervenirsi nel caso di specie distinguendosi la posizione della parte costituitasi in appello, da quelle delle parti non costituitesi, valendo anche per costoro la necessità di porre la questione relativa al vizio di notifica dell’atto di appello (comportante motivo di nullità e non di inesistenza della notifica: v. SS.UU n. 9859/1997; n. 139/2002) con ricorso incidentale non risolvendosi esso in vizio insanabile della sentenza (in tal senso v. anche SS.UU. sent. 27.7.2004 n. 14083 che in un caso analogo ha affermato che: “Nel giudizio di cassazione, il controricorrente che deduca non già che il giudice di secondo grado abbia proceduto all’esame di un appello generico (dunque inammissibile), bensì che abbia pronunciato su un punto della sentenza di primo grado che l’atto di appello non aveva investito con una censura specifica, ha l’onere di proporre al riguardo ricorso incidentale, giacchè in tanto la Corte di Cassazione può esaminare siffatto vizio, qualificabile come extra petizione, in quanto lo stesso sia stato denunciato con uno specifico motivo di impugnazione, in applicazione del principio secondo cui il vizio di extra petizione non determina una nullità insanabile della sentenza, di modo che è denunciabile solo con gli ordinari mezzi di impugnazione e non è rilevabile d’ufficio dal giudice del gravame”).

Quanto innanzi detto per l’eccezione relativa alla notifica dell’atto di appello è pienamente valido anche per quanto relativo all’autorizzazione della D.R.E. alla proposizione dell’impugnazione, questione quest’ultima relativamente alla quale, oltre ad evidenziarsene la palese infondatezza (l’autorizzazione all’appello risulta rilasciata il 20.9.2002, e quindi prima della notifica dell’atto di impugnazione, avvenuta il 25.9 successivo, e non ne era necessaria la indicazione degli estremi nell’atto di appello: così Cass. 9.3.2004, n. 4770), merita di essere segnalato anche l’altro profilo d’inammissibilità conseguente al fatto di non essere stata neanche proposta nel precedente grado di giudizio, così da risultare coperta dal giudicato (v. Cass. 28.4.2004. n. 8141 secondo la quale:

“Qualora nel corso del giudizio di primo grado si sia verificata la non integrità del contraddicono, non rilevata dal giudice che, con la decisione della controversia nel merito, ne abbia implicitamente accertato la regolarità, il relativo error in procedendo, traducendosi in un errar in iudicando, non determina l’inesistenza ma la nullità della sentenza che – per il principio dell’assorbimento delle nullità nei mezzi di gravame – deve formare oggetto di specifica impugnazione, sicchè, in difetto di essa, sul punto si forma il giudicato e la questione non può più essere fatta valere in sede di legittimità”).

2. Passando quindi all’esame nel merito del ricorso, rileva la Corte che nella vicenda in esame il giudice del gravame ha ritenuto di dover correggere la motivazione posta dal primo giudice a sostegno dell’annullamento affermando che l’ufficio avrebbe dovuto procedere con cartella esattoriale e non con avviso di liquidazione, per la riscossione solo di quanto ancora dovuto per condono “stante l’intangibilità del condono”.

Tanto premesso con i motivi articolati l’Agenzia censura la decisione deducendo:

a) Violazione dell’art. 112 c.p.c., sotto tre distinti profili, e cioè:

– per extra petizione per aver il giudice esposto una ratio decidendi nuova e diversa rispetto ai contenuti dei motivi di impugnazione dedotti dalle contribuenti;

– per omessa rilevazione d’ufficio del vizio di ultrapetizione nel quale sarebbe incorso il giudice di primo grado nel dichiarare la decadenza triennale anche delle liquidazioni del 1996, mai contestate dalle parti, nonchè per aver dichiarato la decadenza D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 76, delle liquidazioni del 1998, benchè le contribuenti avessero al riguardo dedotto unicamente un ritardo nella liquidazione rispetto al termine di trenta giorni di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2;

b) violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia e violazione della L. n. 413 del 1991, art. 53, comma 8, per aver il giudice di merito affermato la pretesa intangibilità degli effetti della istanza di condono, omettendo di pronunciarsi sulle censure formulate in proposito dall’Ufficio;

c) omessa, e comunque insufficiente motivazione della sentenza.

Orbene, quanto al primo motivo, inammissibili sono in sede di legittimità le censure relative alla mancata rilevazione d’ufficio da parte del giudice del gravame degli ipotetici vizi di extrapetizione nei quali sarebbe incorso il giudice di primo grado, dovendo esse essere proposte con i motivi di appello (in proposito costante è la giurisprudenza di questa Corte nel senso che: “Stante r limiti posti dall’effetto devolutivo dell’appello, il giudice di secondo grado non può rilevare d’ufficio il vizio di ultra od extra petizione (ove non sia censurato con apposito motivo di gravame) in cui sia eventualmente incorso il giudice di primo grado pronunziando sulla domanda irritualmente modificata o specificata con la predetta comparsa. (Cass. 22.3.2007 n. 6935; Cass. 14.6.2007 n. 13918;

18.11.2004 n. 21856).

Fondata è invece la doglianza relativa al vizio di extrapetizione nel quale è incorso il giudice del gravame, così come anche l’altra relativa alla violazione della L. n. 413 del 1991, art. 53, comma 8, dedotta con il secondo motivo.

Rispetto alla domanda delle contribuenti che aveva ad oggetto l’annullamento degli avvisi di liquidazione dell’imposta complementare di registro, così come fondata su tre distinte e ben precisate causae petendi (intervenuta definizione per condono, difetto di motivazione degli atti tributari, e decadenza dagli obblighi di solidarietà con gli acquirenti), il giudice del gravame ha invero deciso la controversia affermando la intangibilità degli effetti prodotti con la presentazione dell’istanza di condono, e conseguentemente la necessità per l’Ufficio di procedere alla riscossione delle somme dovute, direttamente mediante cartella esattoriale e non con avviso di liquidazione.

Tale decisione per un verso integra il vizio di extrapetizione, avendo comportato una interferenza del giudice nel potere dispositivo delle parti, attraverso l’alterazione di quelle che erano le causae petendi dedotte dalle contribuenti e l’affermazione di una causa di invalidità dell’atto impugnato diversa da quella denunciata, mentre per altro verso, e soprattutto, si risolve in una evidente violazione del disposto della L. n. 413 del 1991, art. 53, comma 8, in forza del quale il mancato versamento delle somme dovute a titolo di imposta complementare di registro, a seguito dell’istanza di definizione per condono ex L. n. 413 del 1991, avrebbe dovuto comportare la decadenza dal beneficio e quindi la prosecuzione del procedimento ordinario di recupero della maggiore imposta, avviato con l’avviso di accertamento originariamente notificato. In tal senso univoca è la norma che così recita: “Le somme dovute debbono essere pagate a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla notificazione dell’avvenuta liquidazione. Da tale data decorrono, in caso di mancato pagamento, i termini ordinari per l’accertamento, sia della base imponibile che del tributo”. E negli stessi sensi assolutamente concordi sono le indicazioni che si traggono dalla giurisprudenza di legittimità, come anche si desume da quanto affermato con sent. n. 9796 del 9.7.1996, secondo la quale: “In tema di condono fiscale, qualora la Commissione Tributaria Centrale non abbia provveduto a sospendere il giudizio a seguito di istanza di definizione agevolata del rapporto tributario, proposta ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 53, ed i contribuenti siano decaduti dal chiesto beneficio per aver omesso il versamento della imposta dovuta entro sessanta giorni dalla notificazione dell’avvenuta liquidazione, il giudizio non può più essere dichiarato estinto in sede di legittimità, ancorchè dalla mancata sospensione del processo di fronte alla Commissione Tributaria Centrale sia derivato un effetto vantaggioso per i contribuenti in conseguenza dell’accoglimento del loro ricorso” (Negli stessi sensi v. anche Cass. 21.1.2008, n. 1153; 20.12.2006, n. 27223; 13.6.2002, n. 8431).

La controversia in esame va dunque decisa applicandosi il seguente principio di diritto: “La presentazione dell’istanza di definizione agevolata de rapporto tributario ai sensi della L. n. 413 del 1991, art. 53, non determina la produzione di effetti irreversibili in ordine alle modalità di conclusione del rapporto, bensì l’obbligo di pagamento delle somme liquidate nei termini fissati dalla legge, con l’effetto, in caso di inadempimento del contribuente, di decadenza dal beneficio e di prosecuzione dell’originario procedimento di accertamento e di riscossione”.

Da esso essendosi irragionevolmente discostato il giudicante nel caso di specie, ne conseguenza cassazione dell’impugnata sentenza e la rimessione della causa al giudice di merito che deciderà la controversia attenendosi all’enunciato principio, spettando poi al medesimo accertare in concreto se vi sia stata o meno decadenza per la liquidazione e la riscossione dell’imposta complementare di registro, dovendo tale questione decidersi avuto riguardo al momento nel quale l’accertamento debba ritenersi esser divenuto definitivo, e fermo restando la sospensione dei termini di riscossione e decadenza prevista dall’art. 57 della citata legge (v. Cass. 18.8.2004 n. 16095). Tutto ciò senza che a nulla rilevi quanto dedotto in controricorso circa la pretesa inammissibilità della conseguenza che da quanto innanzi affermato deriverebbe, in ordine alla applicazione allo stesso atto negoziale di due differenti valori dell’immobile, ai fini delle diverse imposte applicabili (In tal senso v. Cass. 9.3.2007, n. 5537, secondo la quale: “In tema di Invim, la omessa impugnazione da parte del venditore dell’avviso di liquidazione, comportando la definitiva determinazione dell’imposta, esclude che la stessa possa essere rideterminata in base al valore dell’immobile, definito per condono dall’acquirente (nella specie, in base al D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito nella L. 7 agosto 1982, n. 516), ai fini della imposta di registro. Infatti, diversamente dall’ipotesi di accertamento giudiziale del valore del cespite, nella quale può essere invocato l’effetto estensivo del giudicato, di cui all’art. 1306 cod. civ., con riferimento al principio della solidarietà tributaria, il valore fissato per effetto del condono – in forza del quale, al fine di eliminare le liti e di far conseguire al fisco entrate in tempi brevi, viene operata una riduzione degli imponibili accertati – è solo fittizio, e non reale, sicchè di esso non può giovarsi l’altro contribuente” (cfr. Cass. 5.3.1999 n. 1862).

L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso implica l’assorbimento del terzo motivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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