Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8635 del 12/04/2010

Cassazione civile sez. I, 12/04/2010, (ud. 15/01/2010, dep. 12/04/2010), n.8635

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Presidente –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15470-2008 proposto da:

C.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, V. GIULIA DI COLLOREDO 46-48, presso l’avvocato

DE PAOLA GABRIELE, che lo rappresenta e difende, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ECONOMIA E

DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositato il

19/04/2007, n. 565/06;

udita la relazione della causa volta nella pubblica udienza del

15/01/2010 dal Presidente Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato GABRIELE DE PAOLA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 19.4.2007 la Corte d’Appello di Firenze – pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 proposta da C.A. nei confronti della Presidenza del Consiglio in relazione al giudizio promosso con ricorso depositato in data 11.1.1996 avanti al TAR della Toscana al fine di ottenere il computo dell’indennità relativa a due ore di lavoro straordinario nell’indennità di buonuscita nonchè il ricalcolo del rateo della 13^ mensilità e deciso con sentenza del 19.5.2003 – riteneva che la durata del procedimento, protrattosi per anni sette e mesi quattro, fosse ragionevole nella misura di anni tre e determinava in anni quattro la durata non ragionevole (con esclusione dei residui mesi quattro in quanto considerati non apprezzabili dallo stesso ricorrente), liquidando a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale la somma di Euro 2.000,00 dopo aver ridotto del 50% l’importo calcolato secondo i parametri Europei, tenuto conto dei valore economicamente modesto della pretesa fatta valere nel giudizio presupposto e dell’esito del giudizio, negativo per il ricorrente.

Avverso detto decreto C.A. propone ricorso per cassazione notificato sia alla Presidenza del Consiglio dei Ministri che al Ministero dell’Economia e delle Finanze, deducendo tre motivi di censura.

Le controparti non hanno svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, fermo restando il ricorso notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Non può trovare applicazione infatti la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1224 che, modificando la previsione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3 ha attribuito al Ministero dell’Economia e delle Finanze la legittimazione nelle cause per equa riparazione relative a giudizi presupposti diversi da quelli promossi avanti al giudice ordinario ed al giudice militare, avendo la norma transitoria di cui al successivo comma 1225 previsto espressamente la sua applicazione ai procedimenti iniziati dopo l’entrata in vigore di detta legge, ed essendo stato il ricorso introduttivo di cui al procedimento in esame proposto nel 2003 e riassunto, dopo la decisione sulla competenza territoriale, nel 2006. Conseguentemente rimane ferma la legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio, mentre va esclusa quella del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Al riguardo nulla va disposto però in ordine alle spese.

Con il primo motivo C.A. denuncia violazione dell’art. 6, paragrafo 1 della C.E.D.U. nonchè della L. n. 89 del 2001, art. 1 e dell’art. 36 Cost.. Lamenta che la Corte d’Appello, dopo aver individuato nell’importo di Euro 1.000,00 la misura media per ogni anno di durata non ragionevole, abbia ridotto l’indennizzo del 50%, senza considerare che secondo i parametri fissati dalla Corte Europea l’indennizzo debba essere determinato in una somma oscillante da Euro 1.000,00 ad Euro 1.500,00 e senza tener conto, oltre tutto, che riguardando il giudizio presupposto una causa in materia di lavoro, doveva essere riconosciuta una maggiorazione di Euro 2.000,00, come affermato dalla Corte di Strasburgo alla cui giurisprudenza il giudice nazionale non può sottrarsi.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ancora le stesse norme, sostenendo che erroneamente la Corte d’Appello, nel determinare l’indennizzo, abbia tenuto conto dell’esito del giudizio e del valore, ritenuto modesto, della causa nonchè del fatto che la stessa non era volta ad evitare un danno ma a procurare un vantaggio.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia difetto di motivazione nonchè violazione dell’art. 96 c.p.c.. Deduce che erroneamente la Corte d’Appello ha ritenuto di modesto valore il giudizio presupposto, non considerando che trattavasi di una richiesta di indennità di lavoro straordinario costituente una posta retributiva rilevante.

Gli esposti motivi di ricorso sono fondati nei limiti che qui di seguito saranno precisati.

Quanto alla censura con cui si contesta l’entità dell’indennizzo riguardante il danno non patrimoniale, si rileva che la Corte d’Appello, liquidando una somma complessiva di Euro 2.000,00, pari ad Euro 500,00 per ogni anno di durata non ragionevole complessivamente determinata in anni quattro, non si è adeguata ai parametri fissati dalla Corte Europea e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito come una tale valutazione non possa prescindere, in considerazione del rinvio operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 dall’interpretazione della Corte di Strasburgo e debba pertanto uniformarsi, per quanto possibile, alla liquidazione effettuata in casi simili dal giudice Europeo, sia pure con possibilità di apportare, purchè in misura ragionevole, le deroghe suggerite dalla singola vicenda. Dalle decisioni adottate a carico dell’ Italia (vedi in particolare la pronuncia sul ricorso n. 62361/01 proposto da R. rizzati e sul ricorso n. 64897/01 proposto da Z.) risulta infatti che la Corte Europea ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 il parametro medio annuo per la quantificazione dell’indennizzo, salvo, ripetesi, la possibilità di oscillazioni in più od in meno in relazione alla particolarità della fattispecie ed all’indubbia progressività dello stato d’ansia correlata alla maggiore o minore durata del procedimento.

Orbene, nel caso in esame, esclusa la congruità dell’indennizzo liquidato dalla Corte d’Appello per il notevole divario rispetto ai richiamati parametri Europei e considerato che ricorrono le condizioni per una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, si ritiene, in considerazione del modesto valore del giudizio presupposto cui ha fatto riferimento il decreto impugnato, di determinare l’indennizzo complessivamente in Euro 3.250,00, pari ad Euro 750,00 per i primi tre anni ed in Euro 1.000,00 per il restante periodo di anni uno, non potendosi negare, come si è già sottolineato, che lo stato d’ansia aumenti con l’ulteriore protrarsi del procedimento e che debba quindi riconoscersi un importo maggiore dopo un certo periodo.

Non può trovare accoglimento invece la richiesta di riconoscimento di un “bonus” di Euro 2.000,00 in relazione alla natura della controversia vertente in materia di lavoro, non essendo previsto dalla legislazione nazionale e non potendo comunque considerarsi un effetto automatico, slegato dalla particolarità della fattispecie sulla quale nulla è stato però detto al di là di un generico richiamo al carattere della controversia.

Quanto infine al terzo motivo – che, pur richiamando espressamente l’art. 366 bis c.p.c., seconda parte, non contiene un vero e proprio quesito ma solo la mera individuazione del “fatto controverso”, cui fa riferimento la norma, nella mancanza di riferimenti nel decreto del valore della controversia – il ricorrente contesta l’assunto circa la modesta entità di un tale valore, sostenendo che il giudizio presupposto riguardava l’indennità per lavoro straordinario per quaranta anni.

Una tale deduzione è però del tutto generica e manca pertanto della necessaria decisività, non essendo precisato il numero annuo di ore di straordinarie per le quali era stata chiesta l’indennità.

L’impugnato decreto deve essere pertanto cassato in relazione alle censure accolte.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, compensandole per metà a favore del ricorrente, relativamente al giudizio di legittimità.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Accoglie il ricorso proposto nei confronti della Presidenza del Consiglio nei limiti di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di Euro 3.250,00 oltre agli interessi dalla domanda a favore del ricorrente. Condanna inoltre la Presidenza del Consiglio al pagamento delle spese processuali che liquida, quanto al giudizio di merito, in Euro 378,00 per diritti, in Euro 700,00 per onorario ed in Euro 100,00 per spese oltre accessori di legge e, nella misura del 50% quanto al giudizio di legittimità, in Euro 400,00 per onorario ed in Euro 50,00 per spese oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2010

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