Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8631 del 03/04/2017


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Cassazione civile, sez. I, 03/04/2017, (ud. 03/02/2017, dep.03/04/2017),  n. 8631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21843/2012 proposto da:

T.V.M. (c.f. (OMISSIS)), P.A.,

elettivamente domiciliati in Roma, Via Santa Maria Capua Vetere n.

114, presso l’avvocato Di Lena Pietro, rappresentati e difesi

dall’avvocato Barberio Amedeo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Castellaneta;

– intimato –

e contro

Comune di Castellaneta, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Ippolito Nievo n. 61, presso

l’avvocato Mazzocco Ennio, rappresentato e difeso dall’avvocato

Pancallo Antonio, giusta procura in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

T.V.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 75/2012 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE

DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 20/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/02/2017 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

MASSIMILIANO MANCINELLI, con delega, che ha chiesto il rigetto del

ricorso principale, l’accoglimento dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale SALVATO

Luigi, che ha concluso per quanto riguarda il ricorso principale:

rigetto dei motivi quarto, sesto e settimo, accoglimento dei motivi

terzo e quinto ed assorbimento dei motivi primo e secondo; per

l’incidentale: accoglimento del primo motivo, assorbimento del

secondo e rigetto dei restanti motivi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.V.M. e P.A. convenivano in giudizio il comune di Castellaneta, dinanzi al tribunale di Taranto, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni commisurati al valore di un suolo occupato d’urgenza per la realizzazione di un’opera pubblica e irreversibilmente trasformato in mancanza di provvedimento ablativo.

Radicatosi il contraddittorio, il tribunale accoglieva la domanda condannando il comune al pagamento della somma di Euro 13.182,56 per l’esproprio, con rivalutazione e interessi dalla fine del periodo di legittima occupazione, e della somma corrispondente all’indennità di occupazione, oltre interessi legali fino al soddisfo.

Proponevano appello sia il comune, sia, incidentalmente, gli attori, e la corte d’appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, accoglieva l’appello principale per quanto di ragione e rigettava l’incidentale.

Premesso che l’importo del risarcimento doveva essere parametrato al valore di mercato dell’area edificabile, e che il c.t.u. aveva provveduto a determinare il detto valore con metodo d’indagine sintetico-comparativo, in base al prezzo di immobili omogenei, in Euro 174,31 al mq, con base all’epoca della irreversibile trasformazione (25-9-1994); tanto premesso, la corte d’appello osservava che si era dinanzi a un’espropriazione parziale di un più vasto terreno e che le dimensioni dell’area espropriata, per quanto essendosi trattato di area edificabile, non potevano non incidere negativamente sul valore venale. Posto però che, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo, defatigatoria si sarebbe rivelata un’ulteriore indagine tecnica volta alla corretta stima, la corte riteneva di poter far ricorso all’equità, così da abbattere del 30% il valore unitario stimato dal c.t.u.. Sicchè, computata una maggiorazione del 10% in base all’art. 37, secondo comma, del t.u. sulle espropriazioni, stabiliva in Euro 15.703,97 l’indennità finale, con valuta all’epoca dell’esproprio.

Tale somma veniva maggiorata di rivalutazione monetaria dal settembre 1994 e, in base alla presunzione di investimento in impieghi bancari, sulla somma via via rivalutata veniva calcolato un interesse del 2% annuo, pari al tasso mediamente praticato dagli istituti di credito sui depositi liberi.

Avverso la sentenza, depositata il 20-2-2012, gli attori T. e P. hanno proposto ricorso per cassazione, affidandosi a sette motivi.

Il comune di Castellaneta ha replicato con controricorso e ha proposto quattro motivi di ricorso incidentale.

Le parti hanno infine depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va disattesa l’istanza con la quale il comune ha chiesto di essere rimesso in termini per depositare l’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente il controricorso spedito nei confronti della ricorrente P..

Dall’essere entrambi i ricorrenti principali rappresentati dall’unico difensore, e dall’avvenuta presentazione di memoria da parte di questi senza eccezioni, può invero presumersi che il piego raccomandato sia stato regolarmente ricevuto in relazione a entrambi.

2. Col primo motivo del ricorso principale, si deduce la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 112 c.p.c., l’errata interpretazione degli atti giudiziali e la contraddittorietà della motivazione, giacchè vi sarebbe stata una contraddizione insanabile tra la parte dispositiva della sentenza, con la quale la corte ha affermato di accogliere l’appello principale del comune e di rigettare l’incidentale, e la parte motiva, dalla quale era invece emerso il riconoscimento di un maggior ammontare del risarcimento liquidato dal tribunale.

In consecuzione i ricorrenti, col secondo motivo, deducono la violazione dell’art. 91 c.p.c., in punto di spese processuali, atteso che dette spese, compensate parzialmente per il primo grado, erano state poste, quanto al secondo grado, a totale carico di essi attori, nonostante la sostanziale soccombenza del comune.

Col terzo motivo del ricorso principale si deduce, invece, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 1126 c.c. e dell’art. 113 c.p.c., nonchè la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., per avere la corte d’appello deciso la causa secondo equità in difetto dei presupposti di cui alla norma da ultimo citata.

Col quarto mezzo i ricorrenti principali, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2909, 2043, 1224 c.c. e della L. n. 98 del 2011, art. 34, censurano la sentenza per aver omesso di rilevare il giudicato esterno formatosi sulla valutazione del suolo in esito ad altra sentenza del tribunale di Taranto (la n. 53 del 2007) relativa a suoli adiacenti.

Col quinto mezzo essi denunziano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e la violazione e falsa applicazione della L. n. 158 del 1992, della L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 7-bis e della L. n. 458 del 1988, in quanto, nel determinare la data di cessazione dell’occupazione legittima, la corte d’appello non avrebbe tenuto conto della proroga automatica, sicchè la cessazione dell’occupazione avrebbe dovuto esser fissata al 26-91996, con conseguente necessità di determinare il valore del suolo a tale data.

Nel sesto motivo viene dedotta la violazione de art. 112 c.p.c. e la violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 40 e 46, non avendo la corte d’appello considerato che oggetto della domanda era anche il deprezzamento dei suolo residuo.

Infine col settimo motivo i ricorrenti principali deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1224 c.c. e della L. n. 98 del 2011, art. 34, comma 4, per aver non avere la sentenza quantificato correttamente il danno relativo al periodo di occupazione senza titolo, attesa la liquidazione sulla sorte capitale di un interesse annuo del 2%, inferiore a quello del 5% previsto dalla norma infine citata.

3. Il comune di Castellaneta, mediante il ricorso incidentale, a sua volta denunzia:

(1) col primo motivo, il vizio di motivazione e la violazione o falsa applicazione degli artt. 113 e 114 c.p.c. e del T.U. n. 327 del 2001, art. 37, quanto alla valutazione del terreno, stante l’erroneo riconoscimento di una suscettibilità edificatoria rispetto a porzione di fatto non edificabile e atteso che, una volta rigettato l’appello incidentale, la corte territoriale non avrebbe potuto procedere a una revisione del metodo di calcolo del valore venale se non entro i ristretti ambiti delle domande dell’appellante principale;

(2) col secondo motivo, il vizio di motivazione e la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., quanto alla questione del deprezzamento per il valore del suolo residuo, rispetto alla quale il tribunale era caduto in ultrapetizione;

(3) col terzo motivo, analogo vizio in ordine agli interessi compensativi sulle somme via via rivalutate, non essendovi stata specifica impugnazione della statuizione di primo grado:

(4) infine, col quarto motivo, il vizio di motivazione e la violazione o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in ordine alla questione della prova della titolarità dell’area.

4. Vanno esaminati congiuntamente, per connessione, il primo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale.

Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

Sussiste contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, solo quando il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale e, conseguentemente, del diritto o bene riconosciuto (v. per tutte Cass. n. 26077-15, Cass. n. 15990-14).

Di contro, nell’ordinario giudizio di cognizione, la portata precettiva della sentenza va individuata tenendo conto non solo del dispositivo ma integrando questo con la motivazione, al fine di interpretare la sentenza secondo l’unica statuizione in essa contenuta (v. Cass. n. 15088-15; Cass. n. 15585-07).

5. Ora, dalla motivazione della sentenza della corte d’appello emerge che, in ordine alla determinazione del risarcimento da irreversibile trasformazione dell’area occupata, la decisione del tribunale era stata impugnata “per motivi opposti” sia dal comune che dagli attori.

Entrambi, cioè, avevano avanzato critiche alla c.t.u..

Il giudice d’appello ha confermato la valutazione del c.t.u., eseguita con metodo sintetico-comparativo, ma ha abbattuto l’importo finale del 30%, in base all’equità, giacchè la dimensione dell’area, per quanto essendosi trattato di area legalmente edificabile, comprometteva, a suo dire, l’effettiva possibilità di edificare, e dunque influiva negativamente sul valore venale. Ha poi riconosciuto sulla somma globale una maggiorazione del 10% in base all’art. 37, comma 2, del T.U. sulle espropriazioni.

Per effetto di simile calcolo l’impugnata sentenza è giunta a riconoscere agli attori la somma di Euro 15.703,97, pari alla “indennità finale di espropriazione”, alla quale ha aggiunto l’indennità per il periodo di occupazione legittima, identificata dagli interessi legali su detta somma.

Posto che sulla maggiorazione del 10% non risultano proposti motivi di censura in questa sede, può osservarsi che la statuizione d’appello ha infine così determinato l’entità del dovuto in somma superiore a quella stabilita dal giudice di primo grado.

Donde in effetti la decisione è stata favorevole agli attori.

Tale essendo la statuizione contenuta nella sentenza, è da concludere per l’ininfluenza dell’erronea indicazione della parte dispositiva circa il presunto accoglimento dell’appello principale del comune, a fronte del presunto rigetto dell’appello incidentale dei danneggiati. E poichè la statuizione risulta resa su gravame specularmente avanzato da entrambe le parti, a proposito della liquidazione del risarcimento, viene meno altresì il presupposto del primo motivo del ricorso incidentale, teso a eccepire l’irritualità della pronuncia siccome travalicante i limiti dell’impugnazione principale.

Per tale ragione entrambi i motivi – il primo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale – vanno rigettati.

6. Il terzo motivo del ricorso principale è invece fondato.

Questa Corte ha più volte messo in evidenza che qualora la p.a. apprenda un immobile privato e, dopo un periodo di occupazione, vi realizzi l’opera pubblica, il pregiudizio per il proprietario consta di due distinte componenti: una corrispondente al mancato godimento dell’immobile stesso durante il periodo anzidetto (in cui il privato ha conservato la proprietà), compreso tra la data dell’illegittimo impossessamento e quella della irreversibile trasformazione; l’altra collegata a tale ultima vicenda estintivo-acquisitiva che comporta la perdita definitiva della medesima proprietà. Pertanto, in conseguenza dell’evento di cui trattasi, il proprietario ha diritto al controvalore del bene, determinato secondo i criteri di legge (id est, secondo il valore di mercato ex lege n. 2359 del 1986, per i beni in relazione ai quali la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta prima del 30-6-2003), al quale deve essere aggiunto il danno sofferto per la sua occupazione prima che il fondo venisse trasformato, in teoria corrispondente ai frutti e a ogni altra utilità che il proprietario stesso dimostri di avere perduto durante il periodo in questione, ma suscettibile di liquidazione in via equitativa mediante commisurazione ai cosiddetti frutti civili, ovvero agli interessi legali, per ogni anno di occupazione, calcolati sul controvalore del bene determinato all’epoca della sua irreversibile trasformazione (cfr. Cass. n. 9361-05, Cass. 1254-07, Cass. n. 7206-09 e via seguitando).

Ciò in concreto comporta che la somma spettante al proprietario, commisurata alla perdita del suo diritto reale, si identifica innanzi tutto con il controvalore del bene, il quale va determinato in base alla situazione di mercato.

Il criterio anzidetto non può essere surrogato da impropri riferimenti all’equità, essendo il ricorso al metodo equitativo consentito solo laddove il danno non sia altrimenti dimostrabile nel suo effettivo ammontare.

7. Il quarto motivo del ricorso principale è manifestamente infondato, non potendo discorrersi di giudicato esterno in difetto dei presupposti di identità delle domande, essendo stato dagli stessi ricorrenti dedotto che il giudicato era intervenuto tra parti diversi e relativamente a suoli diversi.

8. Il quinto motivo del ricorso principale è inammissibile in prospettiva di autosufficienza, poichè dalla sentenza non risulta consegnata al giudizio di merito la questione sottostante, incentrata sull’assunto che la data di cessazione dell’occupazione legittima era da fissare al settembre 1996.

9. Egualmente inammissibile in prospettiva di autosufficienza è il sesto motivo, non essendo stato riportato l’effettivo contenuto della domanda a suo tempo proposta; cosicchè resta insondabile il previo assunto secondo il quale oggetto di tale domanda era anche il deprezzamento del valore del suolo residuo.

10. Il secondo e il settimo motivo del ricorso principale sono assorbiti, rispettivamente, dal rigetto del primo motivo e dall’accoglimento del terzo, che comporta una nuova quantificazione del danno.

11. Molto più semplice è il discorso relativo al ricorso incidentale del comune.

Posto che va disatteso, per le ragioni all’inizio evidenziate, il primo motivo, può osservarsi che il secondo motivo è inammissibile, perchè supponente una statuizione (sul deprezzamento del valore residuo) che la corte d’appello non risulta aver adottato.

Il terzo motivo è assorbito dall’accoglimento del contrapposto terzo motivo del ricorso principale, e dalla conseguente necessità – ancora si ripete – di nuova determinazione sul valore del bene cui commisurare il danno in sorte capitale.

Il quarto motivo è inammissibile.

La prova rigorosa della proprietà dell’area non è richiesta ai fini del danno da occupazione espropriativa, atteso che oggetto della pretesa non è direttamente l’accertamento della proprietà del fondo. Ne consegue che tale proprietà deve essere dimostrata solo al fine di individuare l’avente diritto al risarcimento del danno, e il convincimento del giudice può al riguardo formarsi sulla base di qualsiasi elemento documentale e presuntivo, sufficiente a escludere una erronea destinazione del pagamento dovuto (cfr. Cass. n. 270197, Cass. n. 12484-01).

La corte distrettuale, ai fini specifici, ha stabilito che proprietari dell’area erano giustappunto gli attori, e l’attuale quarta censura articolata dal comune, nel generico riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 e alla violazione dell’art. 100 c.p.c., mancando di specificare il fatto controverso decisivo, in ordine al quale la motivazione andrebbe ritenuta carente, si risolve in un tentativo di rivisitazione del convincimento di merito.

12. In conclusione, va accolto il solo terzo motivo del ricorso principale, essendo tutti gli altri – hinc et inde – infondati, inammissibili o assorbiti; con il che l’impugnata sentenza va cassata in senso corrispondente, con rinvio alla medesima corte d’appello, diversa sezione, la quale, uniformandosi ai principi esposti, provvederà a nuova stima onde determinare il controvalore del bene.

Essa adotterà le conseguenti statuizioni e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

PQM

La Corte rigetta motivi uno, quattro, cinque e sei del ricorso principale, nonchè i motivi uno, due e quattro del ricorso incidentale; accoglie il terzo motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti i restanti motivi di entrambi i ricorsi; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Lecce.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 3 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2017

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