Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8630 del 07/05/2020

Cassazione civile sez. un., 07/05/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 07/05/2020), n.8630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27370/2018 proposto da:

STUDIO 5 S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 77, presso lo studio

dell’avvocato GIANLUCA BARNESCHI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ENTE PARCO NAZIONALE DELLA MAIELLA, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1090/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 20/02/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/11/2019 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LUCIO CAPASSO, il quale conclude per il dichiararsi

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza n. 201 del 29 marzo 2011, il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Abruzzo – Sezione distaccata di Pescara, accoglieva il ricorso proposto dalla Studio 5 s.r.l. nei confronti dell’Ente Parco Nazionale della Maiella, avente ad oggetto l’illegittimità del diniego del nulla-osta in ordine all’istanza di sanatoria edilizia di opere in tesi già esistenti, costituite da un traliccio per impianti rice-trasmittenti e da due box metallici per il ricovero di apparecchiature, ricomprese nel perimetro del Parco.

Avverso detto provvedimento l’Ente Parco proponeva impugnazione e il Consiglio di Stato, nella resistenza dell’appellata, con sentenza n. 1090 pubblicata il 20 febbraio 2018, accoglieva il gravame e in riforma della decisione di primo grado rigettava l’originario ricorso, stabilendo che le opere in questione qualificabili, per i volumi urbanisticamente rilevanti, come “nuova costruzione” incorrevano nel divieto di costruzione di nuovi manufatti disposto dall’art. 7.2 delle Norme di Attuazione del Piano Parco. Del resto, il rilascio di un titolo edilizio in sanatoria era subordinato alla conformità delle opere realizzate non solo alla disciplina vigente al momento dell’edificazione ma anche a quella sopravvenuta sino al momento della presentazione della domanda in sanatoria.

Avverso questa decisione propone ricorso per cassazione, articolato in un unico motivo, la Studio 5 s.r.l., per superamento dei limiti esterni della giurisdizione, nonchè violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1990, art. 16 -L. n. 422 del 1993, artt. 1 e 2 -L. n. 66 del 2001, art. 1, comma 2 bis e ter – L. n. 241 del 1990, art. 6, comma 1, lett. a) e b) e dei canoni previsti ex D.P.R. n. 380 del 2001.

L’Ente Parco ha depositato solo “atto di costituzione” al fine di prendere parte all’udienza di discussione.

Attivato il procedimento camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotto, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L.31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 (applicabile al ricorso in oggetto ai sensi del medesimo D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 2), la causa è stata riservata in decisione.

In prossimità dell’adunanza camerale sono state acquisite le conclusioni scritte del Procuratore Generale Dott. Lucio Capasso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo la ricorrente lamenta il superamento dei limiti esterni della giurisdizione nonchè la violazione e la falsa applicazione della L. n. 223 del 1990, art. 16,L. n. 422 del 1993, artt. 1 e 2, L. n. 66 del 2001, art. 1, comma 2 bis e ter, L. n. 241 del 1990, art. 6, comma 1, lett. a) e b) e dei canoni ex D.P.R. n. 380 del 2001, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. Nella sostanza la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 110 c.p.a. per rifiuto e omissione della giurisdizione da parte del Consiglio di Stato su un punto decisivo della controversia, in relazione al superamento dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo nel merito e l’illegittimità del sindacato amministrativo, con violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1990, art. 16,L. n. 422 del 1993, artt. 1 e 2, L. n. 66 del 2001, art. 1, comma 2 bis e ter, L. n. 241 del 1990, art. 6, comma 1, lett. a) e b) e dei canoni ex D.P.R. n. 380 del 2001, in riferimento ai fondati principi contenuti negli artt. 3,15,21,24,41,97 e 111 Cost..

Il motivo è privo di pregio alla luce delle considerazioni che verranno di seguito illustrate.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1090/2018, ha ritenuto che le strutture oggetto di sanatoria (un traliccio per impianti rice-radiotrasmittenti avente altezza di circa 16 mt, un box in ferro di dimensioni 1,30 x 1,30 mt ed altezza 1,90 mt ed un box di dimensioni 2,50 mt x 3 mt ed altezza 2,80 mt destinati al ricovero di apparecchiature ricetrasmittenti), dovessero qualificarsi come “nuova costruzione” ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e) e, per l’effetto, stante il divieto di “costruzione di nuovi manufatti” disposto dalle Norme di Attuazione del Piano del Parco emanate in epoca antecedente alla formulazione dell’istanza di sanatoria de qua -, ha concluso per la non conformità delle opere realizzate al Piano predetto.

Il ricorrente, con il presente ricorso, ritenendo la decisione impugnata determinata da motivazione inidonea ed inconferente alla fattispecie oggetto di causa, censura il provvedimento assumendo il rifiuto dell’esercizio della giurisdizione da parte del giudice di secondo grado. In particolare, la società ricorrente ritiene che il Consiglio di Stato nello scrutinare l’appello abbia negato la tutela invocata, considerando irrilevante il presupposto atto di assenso al proseguimento dell’attività in concessione.

Quanto al primo profilo, il vizio di giurisdizione per c.d. rifiuto di esercizio della giurisdizione da parte del giudice speciale cui invece essa compete, risulta configurabile unicamente allorquando quel giudice affermi – contro la regola iuris che la giurisdizione della domanda gli attribuisce – che la situazione fatta valere non ha tutela in astratto, ossia sul piano normativo, dinanzi alla propria giurisdizione, in quanto la domanda riguardo ad essa formulata è estranea alla propria giurisdizione e nel contempo anche ad altra giurisdizione, restando, per converso, esclusa l’ipotesi in cui la mancata decisione sulla situazione giuridica discenda da una negata tutela della parte istante, quale effetto del concreto esercizio della giurisdizione.

In altri termini la negazione in concreto di tutela della situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione di norme sostanziali nazionali o di principi del diritto Europeo o internazionale in generale, da parte del giudice amministrativo, non vale a concretare l’eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione, sì da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111 Cost., comma 7, atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il “proprium” della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sè sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione (Cass., Sez. Un., n. 32773 del 2018; Cass., Sez. Un., n. 18240 del 2018; Cass., Sez. Un., n. 14438 del 2018; Cass., Sez. Un., n. 20168 del 2018 e Corte Cost. n. 6 del 2018).

Le specifiche argomentazioni difensive fatte valere dall’odierna ricorrente non si appalesano consonanti ai suindicati principi, atteso che la ritenuta irrilevanza del formale atto di assenso al proseguimento dell’attività in concessione, come testualmente lamentato dalla ricorrente, non concreta in ogni caso “rifiuto di giurisdizione” ma semmai error in iudicando commesso dal Consiglio di Stato.

Del resto, la nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 6 del 2018, ha negato in radice che con il ricorso per Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, possano censurarsi anche errores in procedendo o in iudicando.

La violazione censurata non può essere in alcun modo dedotta come motivo di ricorso ai sensi dell’art. 362 c.p.c. e art. 111 Cost., trattandosi di doglianza che attiene ad un potere giurisdizionale disciplinato dalle regole del processo amministrativo (Cass., Sez. Un., 11 giugno 2013 n. 24468).

Infatti, l’accertamento dei suddetti vizi appare rilevabile contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – in ogni tipo di giudizio e non ineriscono affatto all’essenza della giurisdizione ed allo sconfinamento dai limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui essa viene esercitata.

Ciò che rileva è che il giudice amministrativo si sia pronunciato nell’ambito della sua cognizione, senza che, in tal caso, eventuali suoi errori di giudizio possano essere denunciati in questa sede.

Inoltre, il giudice a quo non pronuncia affatto sulla legittimità o meno dell’esercizio dell’attività di radiodiffusione e sui coinvolti diritti di libertà di manifestazione del pensiero, di iniziativa economica e di comunicazione, perimetrando la sua indagine, conformemente al portato degli specifici motivi di appello proposti, alla legittimità o meno del negato nullaosta alla domanda di concessione in sanatoria ed effettuando a riguardo due apprezzamenti di fatto, quali l’inscrivibilità nel novero delle costruzioni degli specifici manufatti e la collocazione temporale della loro realizzazione ed una valutazione giuridica costituita dalla necessità della c.d. “doppia conformità” per conseguire il provvedimento in sanatoria, di talchè ove dal mancato conseguimento della sanatoria dei manufatti edilizi consegua – come sostenuto dall’odierna ricorrente – un insormontabile pregiudizio per l’esercizio dell’emittenza radiofonica, la questione attiene ad un posterius estraneo al quid disputandum dinanzi al giudice amministrativo e men che mai concreta rifiuto di giurisdizione in relazione a profili che non facevano parte della domanda giudiziale, nè delle controdeduzioni della resistente.

Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui non segue la pronuncia sulla refusione delle spese di lite, in mancanza di attività difensiva dell’Amministrazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2020

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