Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 863 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 17/01/2020), n.863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Nel procedimento n. 27856/18 RG, proposto da:

A.T., rappresentato e difeso dall’avv. Lia Minacapilli di

Enna per procura speciale in atti; domicilio PEC;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (cf (OMISSIS)), domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso il decreto n. 1557/18 del Tribunale di Caltanissetta,

depositato il 7.8.18;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2019 dal consigliere Dott. Giacomo Maria Stalla.

Fatto

OSSERVA

p. 1. A.T., n. a (OMISSIS), propone tre motivi di ricorso per la cassazione del decreto n. 1557 del 7.8.18, con il quale il tribunale di Caltanissetta, sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale, ha rigettato (nella costituzione in giudizio del Ministero degli Interni) il ricorso da lui proposto contro la decisione con la quale la competente Commissione Territoriale aveva respinto la sua istanza di protezione internazionale (status di rifugiato ovvero, in subordine, protezione sussidiaria o rilascio di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie).

Il Tribunale, previa ricostruzione dei tratti salienti della disciplina giuridica della protezione internazionale nelle sue varie articolazioni, ha in particolare rilevato che:

infondata era la domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato (art. 10 Cost.; L. n. 722 del 1954 di ratifica della Conv.Ginevra 28.7.51; Dir.CE 2004/83; D.Lgs. n. 251 del 2007), dal momento che i fatti narrati dal richiedente (ancorchè probatoriamente valutati secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1 e 2 cit.) non riguardavano persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale, sicchè non potevano integrare gli estremi di cui all’art. 1 Conv. cit. ed al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e); in particolare, il richiedente aveva posto a base della domanda unicamente la precarietà del suo stato di salute, in quanto affetto da epatite B e C;

neppure sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), dal momento che: a) il richiedente aveva dichiarato di non essere in grado, nel paese di origine ((OMISSIS)), di curarsi per la propria patologia, in quanto povero e convivente con i genitori altrettanto ammalati; egli aveva lasciato il Pakistan nel 2011 e, negli ultimi 9 o 10 anni, era stato in Grecia, Belgio e Austria, dove aveva già fatto richiesta di asilo, per poi giungere in Italia nel settembre 2016. Questo racconto non era tuttavia stato approfondito dal richiedente (per quanto a ciò ripetutamente invitato, non avendo tra l’altro il medesimo inteso rendere audizione al fine di meglio spiegare le ragioni che l’avevano indotto a lasciare il paese d’origine) il quale, in ogni caso, non aveva espresso alcun timore di rientro, salvo la menzionata difficoltà di cura; b) da primarie fonti informative internazionali (EASO, OMS) risultava che la regione di provenienza del richiedente ((OMISSIS)) non si caratterizzasse per alcuna ipotesi di conflitto armato interno o violenza generalizzata, risultando anzi negli ultimi tempi la più efficace repressione del fenomeno terroristico e la diminuzione degli attentati e delle vittime per effetto dell’incrementarsi delle operazioni di sicurezza;

quanto alla protezione mediante permesso di soggiorno per ragioni umanitarie (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 30, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6), risultava (rapporto OMS) che nella regione di provenienza esisteva un sistema sanitario sufficientemente moderno ed efficiente, in grado di fronteggiare l’epatite B e C, anche in ragione delle politiche sanitarie di prevenzione e terapia di queste patologie endemiche, interessanti il 7% della popolazione del (OMISSIS); inoltre, dagli esami ematologici effettuati dal richiedente in Italia erano emersi indici di funzionalità epatica nella norma e valori di proliferazione virale non significativi; neppure risultava che la malattia manifestasse uno stato critico con significativa sintomatologia; ciò escludeva la sussistenza nella specie di un’effettiva situazione di vulnerabilità, tanto più che la malattia denunciata non aveva impedito al richiedente di attraversare, negli anni, vari Stati Europei, il che escludeva una volta di più la sussistenza di un pericolo imminente di vita per il caso di allontanamento dal territorio nazionale.

Nessuna attività difensiva è stata svolta, in questa sede, dal Ministero degli Interni.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., nonchè D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5. Per avere il tribunale ritenuto generiche e non documentate le affermazioni del richiedente, nonostante il principio dell’onere della prova attenuato vigente in materia; inoltre, il tribunale non aveva considerato la gravità della situazione sociopolitica del Pakistan, caratterizzata dalla tolleranza, se non dalla tacita approvazione, da parte delle autorità statuali di condizioni ordinarie di violenza e sopraffazione, con conseguente negazione dei diritti umani fondamentali, tra i quali quello alla salute.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e d). Per avere il tribunale erroneamente escluso la protezione sussidiaria per danno grave, nonostante il su richiamato pericolosissimo contesto sociopolitico caratterizzante il Pakistan e la regione di provenienza.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. nonchè D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32. Per non avere il tribunale considerato che, proprio in ragione della situazione di conflitto e violenza generalizzata, oltre che di negazione dei diritti umani, non sussistevano in Pakistan i presupposti per godere del diritto alla salute, con conseguente configurabilità di una situazione di vulnerabilità soggettiva.

p. 2.2 I tre motivi di ricorso – suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni giuridiche da essi poste – sono infondati.

Il tribunale ha valutato il racconto secondo i parametri D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 dando anche atto della mancata presentazione dell’istante a seguito di richiesta di audizione.

Va d’altra parte osservato come gli accertamenti del caso siano stati dal giudice di merito necessariamente orientati dalle allegazioni del richiedente, il quale aveva fondato la domanda di protezione su ragioni riconducibili al proprio stato di salute ed alla impossibilità di adeguatamente curarsi nel Paese di origine. Sicchè, come si evidenzia nel decreto in esame, non si è posto tanto un problema di attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni rese dall’istante, quanto di obiettiva natura della patologia denunciata e di sua concreta possibilità di cura.

Il tribunale ha vagliato il problema specifico delle condizioni di salute (epatite B+C), posto dal richiedente a base dell’istanza di protezione, salvo accertare, da un lato, che il richiedente non versava affatto in situazione critica, anche alla luce degli ultimi esami ematologici e del quadro sintomatico e, dall’altro, che nel Paese di origine questa patologia poteva essere adeguatamente fronteggiata nell’ambito dell’adottato piano nazionale di eradicamento. Ciò escludeva, al contempo, la condizione di vulnerabilità legittimante la protezione umanitaria.

Trattandosi di valutazione di ordine fattuale, non può esservi spazio, nella presente sede di legittimità, per una diversa delibazione; del resto, neppure sollecitata attraverso la formulazione di una censura rientrante nei parametri di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Quanto alla situazione sociopolitica del Pakistan, si tratta anche in tal caso di valutazione fattuale debitamente argomentata dal giudice di merito con indicazione delle fonti informative recepite. Il che ha indotto il tribunale ad escludere la sussistenza, in caso di rientro, di un concreto ed effettivo pericolo per il solo fatto della presenza del richiedente sul territorio del paese di appartenenza.

Si recepisce, in proposito, il costante orientamento di legittimità di cui (tra le innumerevoli) in Cass. 9090/19; 11103/19, con richiamo a CGUE 30 gennaio 2014, C-285/12; 18 dicembre 2014, C-542/13.

Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso; nulla si provvede sulle spese, stante la mancata partecipazione al giudizio del Ministero.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso;

v.to il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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