Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8627 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 15/04/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 15/04/2011), n.8627

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

C.G., residente in

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma al Viale Liegi n. 14

presso lo studio dell’avv. BELLOMO Giovanni insieme con l’avv.

Antonio DAMASCELLI che lo rappresenta e difende in forza della

“procura” rilasciato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 29/02/05 depositata il 13 aprile 2005 dalla

Commissione Tributaria Regionale della Puglia.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 dicembre 2010

dal Cons. Dr. Michele D’ALONZO;

sentite le difese del controricorrente, perorate dall’avv. Antonio

DAMASCELLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. SEPE

Ennio Attilio, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato a C.G. il 30 maggio 2006 (depositato il 9 giugno 2006), l’AGENZIA delle ENTRATE – premesso che il giorno 11 giugno 2002 il C. aveva impugnato “gli avvisi di mora” per (1) “IVA ed interessi 1988”, (2) “IVA ed interessi 1989”, (3) “IVA soprattassa e pen. pec. 1989” e (4) “IRPEF 1991 e soprattassa”, (a) “premettendo trattarsi di somme ingiunte a seguito del mancato pagamento del condono ex L. n. 413 del 1991” e (b) “eccependo” (b1) “l’illegittimità del procedimento di formazione del ruolo per violazione del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 61, comma 2, lett. a) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6, perchè non preceduti dall’invito al pagamento dell’imposta” e b2) “la prescrizione degli interessi, soprattasse e sanzioni pecuniarie in ragione di quanto dispone l’art. 2948 c.c.”, in forza di tre motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 29/02/05 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia (depositata il 13 aprile 2005) che a-veva respinto l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (526/22/02) della Commissione Tributaria Provinciale di Bari la quale aveva accolto il ricorso perchè (2) “l’iter della formazione dei ruoli risultava illegittimo”, non avendo l’Ufficio notificato “al contribuente l’invito al pagamento” “con … violazione del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 61, comma 2, lett. a) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6”, e (2) si era verificata la “prescrizione” quinquennale (ex art. 2948 c.c.) “degli interessi, soprattassa e sanzioni pecuniarie”.

Nel controricorso notificato il 5 luglio 2006 (depositato il 12 luglio 2006) il C. instava per il rigetto dell’impugnazione.

Il 9 dicembre 2010 il contribuente depositava memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Commissione Tributaria Regionale premette:

– il contribuente ha impugnato gli avvisi di mora eccependo (a) l'”illegittimità della formazione dei ruoli” e (b) la “prescrizione degli interessi, delle soprattasse e delle pene pecuniarie”;

– “con l’appello” l’Ufficio ha eccepito: (1) l'”inammissibilità del ricorso introduttivo, per … intervenuta precedente notifica delle cartelle di pagamento …”; (2) la “violazione dell’art. 116 c.p.c.” (“per non avere la C.T.P. … svolto un’attenta e scrupolosa indagine sulle prove prodotte dalla parte”); (3) la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 67, comma 2, lett. a) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6, per avallare, le norme richiamate, l’operatività dell’Ufficio”; (4) la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., comma 4, in relazione alla L. n. 413 del 1991, art. 39, comma 6, per applicarsi, al caso di specie, le norme contenute nel D.P.R. n. 602 del 1973, prevalenti, nel sistema tributario italiano data la loro specialità, rispetto al dettato dell’art. 2948 c.c., comma 4”; (5) la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 75 e L. n. 4 del 1929, art. 17, per essere state le imposte richieste, iscritte a ruolo nei termini”.

Lo stesso giudice, quindi, ha rigettato l’appello dell’Ufficio (testualmente) esponendo:

– “sul primo motivo di opposizione l’Ufficio ha evidenziato come gli avvisi di mora riportino il riferimento alle date di notifica delle cartelle di pagamento, ma non risultando, in atti, documentazione che asseveri l’intervenuta notifica, la Commissione dichiara, ai fini della decisione, necessario acquisire la dimostrazione dell’avvenuta notifica delle cartelle”;

– “in ordine ai rilievi 2, 3 e 4” (“fermo restante le decisioni sul primo motivo di opposizione”):

(a) l'”art. 116 c.p.c., valutazione delle prove cosi recita il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge non disponga diversamente”;

(b) “la L. n. 413 del 1991, art. 39: al comma 1, stabilisce: le imposte dovute in base alle dichiarazioni integrative, ad esclusione di quelle relative ai redditi soggetti a tassazione separata, sono riscosse mediante versamento diretto con le modalità di cui all’art. 41; al comma 3, così, riporta: al controllo delle dichiarazioni integrative ed alla conseguente liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni stesse, provvedono gli uffici delle imposte dirette e i centri di servizio con le modalità di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis e successive modificazioni, entro il termine di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 17, comma 1, e successive modificazioni … (quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione); al comma 4 così sancisce entro il termine di cui al comma 3, sono riscosse, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, le maggiori somme dovute e quelle non versate, mediante iscrizioni in ruolo speciale secondo le modalità ed i criteri stabiliti con decreto del Ministro delle finanze”;

(c) “D.P.R. n. 633 del 1912, art. 60, comma 6, nel testo risultante dopo le modifiche apportate dal D.L. n. 20 giugno 1996, n. 323, art. 10, comma 2, lett. c), così statuisce l’imposta non versata, risultante dalla dichiarazione annuale, è iscritta direttamente nei ruoli a titolo definitivo … “;

– “in ordine al rilievo n. 5, in forza del disposto della L. n. 413 del 1991, art. 39, comma 6, sulle somme dovute e non versate ai sensi dei commi 1 e 2 si applicano gli interessi di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 9 e successive modificazioni, e la soprattassa del 40 per cento di cui all’art. 92, comma 1 del medesimo decreto e quindi di una specifica disposizione legislativa, il rilievo medesimo non può trovare applicazione al caso di specie”.

2. L’Agenzia – esposto di avere in appello eccepito, tra l’altro, che “l’IVA non versata era stata iscritta a ruolo prima del 30 giugno 1996” – impugna la decisione per tre motivi.

A. Con il primo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7 e 19” chiedendo:

(1) se “è affetta da vizio la sentenza del giudice del merito il quale … non provvede all’acquisizione di documenti necessari quando la situazione probatoria sia tale da impedire la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata” e, in ipotesi di “risposta positiva” essendo stati, nel caso, “impugnati gli avvisi di mora …

solo perchè mancava un atto previo alla cartella, l’invito al pagamento”, quindi “per vizi dell’atto presupposto (cartella)” (2) se “è ammissibile l’impugnazione dell’avviso di mora per far valere vizi della cartella”.

B. Con il secondo motivo l’Agenzia – assunto che “nel caso … le somme richieste nelle cartelle di pagamento corrispondevano a quelle dichiarate dal contribuente e non versate con le dichiarazioni IVA per gli anni 1988 e 1989, nonchè la dichiarazione integrativa di cui alla L. n. 413 del 1991” – denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 1998, art. 67, comma 2, lett. a), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6” affermando non potersi far discendere, da dette norme, “l’illegittimità di una cartella di pagamento per omessa notifica di un invito a pagare” perchè l'”iscrizione” concernente l’IVA “è avvenuta in epoca antecedente al 20 giugno 1996” e, “per quanto concerne le imposte dirette (IRPEF e ILOR)”, perchè “la L. n. 413 del 1991, art. 39, stabilisce che alla liquidazione delle dichiarazioni integrative si applicano le disposizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis” per cui “va escluso che nella formazione e nella procedura esecutiva esattoriale concernente IVA interessi e sanzioni, regolata dal D.P.R. n. 43 del 1988 gli avvisi di mora debbono essere preceduti dall’emissione dell’invito al pagamento”.

C. L’Agenzia, infine, denunzia (a) “carenza … ed … insufficiente motivazione” e (b) “violazione L. n. 4 del 1929, art. 17, comma 2, L. n. 413 del 1991, artt. 51 e 39, art. 2946 c.c.” esponendo:

– “la sentenza è nulla per contraddittorietà tra dispositivo e motivazione” per avere “il giudice del merito” ritenuto “la assoluta necessità di procedere alla acquisizione di documenti e poi” deciso “la causa nel merito, senza avere … revocato tale decisione interlocutoria”;

– “in ordine ai rilievi 2, 3 e 4 la CTR si limita a riportare il testo dell’art. 116 c.p.c. e L. n. 413 del 1991, art. 39, nonchè D.P.R. n. 602 del 1973, art. 60” per cui la “motivazione” è “apparente” (“vizio … sussumibile come violazione dell’art. 132 c.p.c.”);

– “sul rilievo n. 5” (“che cita l’art. 75 D.P.R. IVA e la L. n. 4 del 1929, art. 27”), “la CTR ha motivato … riferendosi in realtà al rilievo 4” e non si è accorta che “L. n. 4 del 1929, ex art. 17, comma 2, la prescrizione della soprattassa è identica a quella del tributo”.

In sintesi la ricorrente chiede “quesito (art. 112 c.p.c.)” se:

“può il giudice di appello omettere l’esame del motivo di gravame relativo alla prescrizione del diritto di credito dell’erario su interessi e sanzioni per omesso versamento”;

“la soprattassa di cui alla L. n. 413 del 1991, artt. 51 e 39, per omesso pagamento delle imposte da condono, è soggetta allo stesso regime decadenziale del tributo, impedita la decadenza del quale con la notifica della cartella residua la prescrizione ordinaria e non una prescrizione quinquennale”.

3. La contribuente, dal suo canto, oppone:

– il “quesito di diritto” formulato “in ordine alla dedotta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7” è “inammissibile” perchè, “essendo stati gli avvisi di mora i primi atti notificati ed essendo stato eccepito l’irrituale procedimento di iscrizione a ruolo per fatto riconducibile all’Agenzia”, “concerne una questione irrilevante ai fini della decisione”;

– “l’affermazione della ricorrente in ordine all’avvenuta iscrizione a ruolo del credito IVA in epoca anteriore al 20 giugno 1996 è una questione di fatto che non risulta essere stata accertata nel corso del giudizio”;

– “il richiamo alla violazione del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 61, comma 2, è … puntuale nella misura in cui l’unico atto documentale risultante dagli atti è costituito dagli avvisi di mora impugnati che, relativamente alle emissioni del 1998, … avrebbero dovuto essere preceduti dall’avviso di cui al D.P.R. n. 43 del 1988, art. 43”;

– “la prescrizione del credito per interessi e sanzioni” è sottoposta “al termine breve quinquennale” atteso che “la L. n. 4 del 1929, art. 17…, nell’unificare i termini prescrizionali per il tributo e per la soprattassa, non stabilisce il termine ordinario decennale” per cui “il principio generale è quello delle varie norme che sono venute in esame nel corso del giudizio (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, che riducono a 5 anni il termine decadenziale o prescrizionale di accertamento e di notifica della pretesa tramite cartella” (“mentre cosa diversa, non oggetto della … lite, è il termine per la riscossione coattiva del tributo definitivamente accertato”); “i tributi periodici … non possono essere disciplinati . .. che dalla disposizione generale dell’art. 2948 c.c., n. 5”.

4. Il ricorso deve essere accolto nei limiti qui in appresso indicati.

A. In via preliminare, va precisato che tal ricorso non è soggetto alle disposizioni dettate dall’art. 366 bis c.p.c. (inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, a far data dal 2 marzo 2006) perchè (art. 27, comma 2, del medesimo D.Lgs.) quella norma, finchè in vigore essendo stata abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), si applica(va) soltanto “ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore” del decreto del 2006 (quindi solo dal 2 marzo 2006) mentre la sentenza impugnata è stata depositata il 13 aprile 2005.

B. L’infondatezza del profilo principale della doglianza iniziale dell’Agenzia (se “è affetta da vizio la sentenza del giudice del merito il quale … non provvede all’acquisizione di documenti necessari quando la situazione probatoria sia tale da impedire la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata”) e, di conseguenza, di quello del terzo motivo con il quale si denuncia la nullità della sentenza impugnata “per contraddittorietà tra dispositivo e motivazione” (assumendosi avere “il giudice del merito” ritenuto “la assoluta necessità di procedere alla acquisizione di documenti e poi” deciso “la causa nel merito, senza avere …

revocato tale decisione interlocutoria”) discende:

(a) dal principio secondo cui (Cass., trib., 28 ottobre 2009 n. 22769, tra le recenti) “il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ ufficio le prove in forza dei poteri istruttori attribuitigli dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, perchè tali poteri sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e vanno esercitati, alfine di dare attuazione al principio costituzionale della parità delle parti nel processo, soltanto per sopperire all’impossibilità” (nel caso nemmeno dedotta) “di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra parte (Cass. n. 2847 del 2006, n. 10267 del 2005, n. 4040 e n. 8439 del 2004, ex pluribus)”, e:

(b) dal rilievo (Cass.: 2^, 26 novembre 2008 n. 28246; 1^, 24 gennaio 2007 n. 1596), valido anche per il processo tributario, per il quale “le ordinanze emesse dal giudice nel corso del processo hanno efficacia provvisoria e sono sempre revocabili e modificabili, anche implicitamente, con la pronuncia che definisce il giudizio” (“fatte salve le limitazioni previste dall’art. 177 c.p.c., comma 3”, ovverosia “le ordinanze per le quali la legge predisponga uno speciale mezzo di reclamo”), per cui “non è … configurabile una contraddittorietù della motivazione di una sentenza per il suo contrasto con una anteriore ordinanza, atteso che quest’ultima deve ritenersi implicitamente revocata dalla successiva pronuncia”.

C. Il fondamento della seconda censura discende dal principio – richiamato anche dal contribuente nelle memorie depositate – secondo cui (Cass., trib., 19 febbraio 2009 n. 3971, tra le recenti, che ricorda “Cass. civile, sezione 5, n. 3540 del 12 marzo 2002 e n. 8601 del 12 aprile 2006”) “il ruolo e le cartelle recanti intimazione di pagamento di I.V.A. emessi in data antecedente il 30 giugno 1996 sono disciplinati, ratione temporis, non già dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 60, comma 6, come modificato dal D.L. 20 giugno 1996, n. 323, art. 10, comma 2, conv. nella L. 8 agosto 1996, n. 425, bensì dal D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, art. 67, comma 2, lett. a) dalla cui lettera si evince inequivocabilmente che l’invito al pagamento ivi menzionato non costituisce atto presupposto o comunque prodromico ad ogni iscrizione a ruolo e di ogni avvio di procedura riscossiva, e non deve essere emesso in tutte le ipotesi in cui iscrizioni e procedura abbiano titolo in avvisi di liquidazione, accertamento, rettifica o irrogazione di sanzioni (e cioè in atti recanti certificazione dell’esistenza e della quantificazione delle ragioni vantate dall’amministrazione finanziaria e da questa fatte oggetto di pretesa attuativa), nonchè, in via analogica, tutte le volte che il credito tributario abbia già un titolo, come specificamente nell’ipotesi in cui l’iscrizione a ruolo ed il correlato inizio della procedura di riscossione abbiano la fonte nella dichiarazione del contribuente che rechi enunciazione dell’an e del quantum del debito tributario, comportando l’insorgenza immediata ed incondizionata della debenza del tributo ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30, comma 1”.

Nel caso lo stesso contribuente riconosce (nell’incipit del suo controricorso) che le iscrizioni a ruolo in contestazione afferiscono alla “dichiarazione integrativa ex L. n. 413 del 1991″ da lui presentata per cui (in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria) va ribadito che, come esattamente specificato nella decisione di questa Corte testè riportata, l'”invito al pagamento” di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6, “modificato” dal D.L. 20 giugno 1996, n. 323, art. 10, comma 2 (convertito nella L. 8 agosto 1996, n. 425) non costituisce necessario atto presupposto (o comunque prodromico) di quelle iscrizioni a ruolo perchè relative a pregressa dichiarazione dello stesso contribuente, recante (considerata la funzione propria della specifica “dichiarazione integrativa”) l’enunciazione sia dell’an che del quantum del debito tributario.

Sulla portata del disposto del sesto comma “modificato” del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, peraltro, va altresì ribadito (Cass., trib.:

9 settembre 2008 n. 22689, da cui gli excerpta che seguono; 5 settembre 2008 n. 22437; 30 dicembre 2010 n. 26440) che:

“in tema di IVA ed in ipotesi”, quale quella in esame, “di mancato versamento di imposta dichiarata dallo stesso contribuente (sanzionato dalla legge con l’applicazione di una pena pecuniaria pari al 100% dell’importo non versato), la previsione del preventivo invito al pagamento, di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6 (introdotto dal D.L. n. 323 del 1996, art. 10 convertito in L. n. 425 del 1996, all’unico scopo di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatoriee della realizzata omissione di versamento), è da ritenersi implicitamente caducata, e comunque priva di conseguenze nel caso di sua inosservanza, per effetto del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1, che, riducendo, per la violazione in rassegna, la sanzione inizialmente prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 44 (dal 100% al 30% dell’importo non versato), ha fatto venir meno ogni interesse del contribuente ad un adempimento dell’Ufficio dal quale nessun vantaggio potrebbe più trarre (cfr.

Cass. 8859/06)”.

Conseguentemente è del tutto irrilevante accertare se, nella specie, l'”iscrizione a ruolo del credito IVA” sia avvenuta in epoca anteriore o posteriore “al 20 giugno 1996” (“giorno” della “pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana” del D.L. 20 giugno 1996, n. 323 e di “entrata in vigore” dello stesso ai sensi del suo art. 13) essendo comunque (in virtù del principio del favor rei dettato dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3) applicabile al caso la sopravvenuta (più favorevole) disposizione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1.

D. Giuridicamente fondata si rivela, infine, la doglianza dell’Agenzia concernente la specie di “prescrizione” (“ordinaria e non … quinquennale”) alla quale deve ritenersi soggetta la “prescrizione degli interessi, delle soprattasse e delle pene pecuniarie”.

D.1. In via preliminare (considerato che il contribuente parla di “termine decadenziale o prescrizionale di accertamento e di notifica della pretesa tramite cartella” nonchè di “tributi periodici” i quali, a suo dire, “non possono essere disciplinati … che dalla disposizione generale dell’art. 2948 c.c., n. 5”) va precisato che, giusta quanto si legge nella sentenza impugnata, con il suo ricorso il contribuente ha eccepito (soltanto) la “prescrizione degli interessi, delle soprattasse e delle pene pecuniarie” e non pure l'(eventuale) decadenza della amministrazione fiscale dal potere di richiedere detti accessori.

La “prescrizione”, come è noto, secondo l’art. 2948 cod. civ., rappresenta un modo di “estinzione” dei diritti (anche di credito) ove non esercitati per il tempo specificamente previsto dal legislatore; la “decadenza” (art. 2964 cod. civ.), di contro, costituisce una sanzione per il mancato compimento di un atto e/o di un’attività nel termine specificamente fissato con previsione di quella conseguenza.

Il “fondamento della prescrizione” è costituito (Cass., 3^, 11 febbraio 2010 n. 3078, tra le recenti, che richiama “Cass. Sentenza n. 1568 del 12/06/1963”, cui adde: Cass., 3^, 6 dicembre 1988 n. 6666) daLla “presunzione di abbandono di un diritto per inerzia del titolare”; quello della “decadenza”, invece, dall'”esigenza obiettiva del compimento di particolari atti entro un termine perentorio, stabilito dalla legge o dalla volontà dei privati, indipendentemente dalle circostanze subiettive od obiettive dalle quali dipende l’inutile decorso del tempo”.

La decadenza, quindi, assolve più efficacemente della prescrizione alla funzione di assicurare certezza e stabilità ai rapporti giuridici, atteso il maggior rigore cui è informata la sua disciplina, che prevede termini più brevi, non ne ammette la interruzione e, soltanto in via eccezionale, ne ammette la sospensione; per stabilire in concreto se un termine stabilito dalla legge sia di prescrizione o di decadenza occorre (Cass., un., 21 agosto 1972 n. 2690) non tanto fare riferimento alla espressa definizione contenutane nella legge, quanto alla sua finalità che, nella prescrizione, è quella di ritenere, in via presuntiva, abbandonato il diritto per l’inerzia protrattasi per un certo tempo (termine di durata) del suo titolare, mentre nella decadenza, è quella corrispondente alla necessita obiettiva di compimento di determinati atti entro un dato tempo (termine fisso o perentorio).

D.2. Per “principio ormai fermo e consolidato” (così definito da Cass., 1^, 16 novembre 2007 n. 23746, da cui gli excerpta che seguono, nella quale si richiamano, “per tutte”, “Cass. nn. 2498/1998, 14080/2004”), poi, la “prescrizione quinquennale posta dall’art. 2948 c.c., n. 4, per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi si applica alle obbligazioni periodiche o di durata, e dunque non anche agli interessi” allorchè questi abbiano “natura moratoria”: “la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 c.c., n. 4 per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente a danno o in termini più brevi”, quindi (Cass., 1^, 6 novembre 2006 n. 23670), “si riferisce alle obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con il decorso del tempo, onde anche gli interessi previsti dalla stessa disposizione devono rivestire il connotato della periodicità:

difettando tale requisito, detta disposizione non è applicabile agli interessi moratori di fonte legale dovuti a causa del ritardo nel pagamento del prezzo dell’appalto, ovvero dell’anticipazione, che vanno corrisposti in unica soluzione (v. Cass. 2006 n. 12140; 2005 n. 18432; 2005 n. 14080; 2004 n. 14152; 2003 n. 3348)”.

In applicazione di tali principi costituisce orientamento consolidato di questa sezione – sentenze: 9 febbraio 2007 n. 2941; 16 settembre 2005 n. 18432; 8 settembre 2004 n. 18110, tutte in tema di credito per IVA; contra, ma con affermazione meramente apodittica “soggiacendo pertanto alla prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 c.c., n. 4”, 14 marzo 2007 n. 5954, nella quale si legge: “deduceva la illegittimità della cartella per l’importo afferente il periodo marzo 1980-novembre 1982 in quanto coperto da prescrizione a sensi dell’art. 2948 c.c., n. 4”; “l’obbligazione relativa agli interessi è legata da un vincolo di accessorietà all’obbligazione principale solo nel momento genetico, ma, una volto sorta, è autonoma per cui tutte le eventuali vicende rimangono indipendenti dal credito di imposta … il debito relativo agli interessi già maturati integra un’obbligazione autonoma rispetto al debito principale (Cass. 4704/01 e 1073/94)” – il corollario secondo cui (Cass. 18432/05, cit.) “quando si tratti di interessi dovuti …

per mora ex re da inadempimento di una somma da versare e chiesti in unica soluzione e non in rate periodiche, non v’è il presupposto d’applicazione dell’art. 2948 c.c., n. 4”.

In particolare si è di recente precisato (Cass., trib., 12 novembre 2010 n. 22977), che “il credito erariale per la riscossione dell’imposta” (in quel caso, IVA), “a seguito di accertamento divenuto definitivo, è soggetto non già al termine di decadenza stabilito dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 – che è relativo alla notificazione degli avvisi di rettifica e di accertamento da parte dell’amministrazione -, e neppure al termine di prescrizione quinquennale, previsto dall’art. 2948 c.c., n. 4, per tutto ciò che deve pagarsi ad anno o in termini più brevi – in quanto la prestazione tributaria, attesa l’autonomia dei singoli periodi d’imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi – bensì all’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod. civ., decorrente, ai sensi dell’art. 2935 c.c., dal momento in cui il credito diventa esigibile… (Cass. n. 18110 del 2004 e n. 2941 del 2007)”.

Nessuna periodicità (presupposto indefettibile per l’applicazione della norma di cui all’art. 2948 cod. civ., n. 4), ovviamente, inoltre ed infine, è ravvisatale nell’obbligazione di pagamento di una determinata somma, una sola volta, a titolo di sanzione e/o di pena pecuniaria (cfr., analogamente per le “somme aggiuntive” dovute in ipotesi di omesso e/o tardivo versamento di contributi previdenziali, Cass., lav.: 10 agosto 2006 n. 18148 per la quale il “credito dell’ente previdenziale” per dette “somme” resta “assoggettato al termine prescrizionale decennale previsto in via generale dall’art. 2946 c.c.” perchè per il relativo “pagamento …

non è prevista alcuna scadenza periodica”, 21 gennaio 2005 n. 1257;

27 luglio 2004, n. 14152): anche l’afferente credito, quindi, deve ritenersi soggetto dall’ordinario termine decennale di prescrizione.

D.3. I richiamati principi sono applicabili alla specie perchè questa ha ad oggetto (come espone lo stesso contribuente) il pagamento di somme dovute (ma non versate) “a seguito della presentazione della dichiarazione integrativa ex lege n. 413 del 1991”, quindi di somme da ritenere, per loro natura, definitivamente “accertate” attesa la “irrevocabilità” di quella dichiarazione (cfr.

Cass., trib.: 30 giugno 2006 n. 15172 nella quale si legge: “la L. n. 413 del 1991, art. 57, comma 1, dispone che le dichiarazioni integrative sono irrevocabili e che le definizioni intervenute sulla base di dette dichiarazioni non possono essere modificate dagli uffici nè contestate dai contribuenti se non per errore materiale, errore che deve essere manifesto e riconoscibile, e non consistere … in un ripensamento successivo alla dichiarazione”; il “mancato pagamento delle rate dopo la iscrizione a ruolo” comporta “la perdita, da parte della contribuente dei benefici connessi al condono, L. n. 413 del 1991, ex art. 51, comma 8 (Cass. 6620/2002), ma non la cessazione delle effetti connessi alla dichiarazione di volontà del contribuente di voler pagare le somme esposte in dichiarazione, che restano dovute al Fisco, anche se non ne sia stato attuato il pagamento spontaneo”, nonchè: 20 dicembre 2006 n. 27223 e 30 agosto 2006 n. 18761 nella quale si è precisato che il mancato pagamento di quanto dovuto in base alla dichiarazione integrativa non costituisce esercizio di uno ius ponitendi del contribuente ma priva soltanto quella dichiarazione del proprio effetto ostativo ad un accertamento da parte dell’erario, in tema di IVA; 21 gennaio 2008 n. 1153, in tema di registro ed INVIM).

Peraltro la L. n. 413 del 1991, art. 39, comma 1, dispone(va) il “versamento diretto” da parte del contribuente delle somme risultanti dalla dichiarazione integrativa e l’art. 50, comma 7, della stessa legge fa(ceva) rinvio, quanto all’IVA indicata come dovuta nella dichiarazione integrativa, “alla L. 12 novembre 1976, n. 751, art. 12” secondo cui “i pagamenti di imposta sul valore aggiunto previsti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 27, 30, 31 e 33, e successive modificazioni, devono effettuarsi al competente ufficio dell’imposta sul valore aggiunto mediante delega del contribuente ad una delle aziende di credito di cui all’art. 54 del regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, approvato con R.D. 23 maggio 1924, n. 827″.

E. In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata perchè affetta dagli evidenziati errori di diritto e la causa, siccome non bisognevole di nessun ulteriore accertamento fattuale, deve essere decisa nel merito da questa Corte (in applicazione dell’art. 384 c.p.c.) con il rigetto del ricorso di primo grado del contribuente atteso che, in base ai principi innanzi richiamati:

(a) la richiesta di pagamento delle imposte e degli afferenti accessori dovuti in base alla dichiarazione integrativa presentata dal contribuente ai sensi della L. n. 413 del 1992 non doveva essere affatto preceduta dall'”invito ai pagamento” di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6, e:

(b) il credito erariale in contestazione, siccome definitivamente accertato, è soggetto alla prescrizione decennale (ex art. 2948 cod. civ.), che non si era ancora compiuta, anche al momento (2002) della notifica degli avvisi di mora impugnati dal contribuente (notifica avente, inoltre, univocamente altresì effetto interruttivo ai sensi e per gli effetti previsti dall’art. 2943 cod. civ.) anche per ed inconseguenza della generale sospensione dei termini sino al 31 dicembre 1993 disposta dalla L. n. 413 del 1991.

5. La sostanziale novità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo e (nei limiti indicati in motivazione) il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso di primo grado del contribuente; compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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