Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8627 del 03/04/2017


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Cassazione civile, sez. I, 03/04/2017, (ud. 31/01/2017, dep.03/04/2017),  n. 8627

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20685/2012 proposto da:

F.V., elettivamente domiciliato in Roma, Via Flaminia n.

334, presso l’avvocato La Porta Carlo Ferruccio, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Sammaritani Paolo, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Fideuram S.p.a., appartenente al Gruppo Bancario INTESA

SANPAOLO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Pacuvio n.34, presso

l’avvocato Romanelli Guido, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Barbieri Fabrizio, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1785/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 09/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal cons. MARULLI MARCO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato CARLO FERRUCCIO LA PORTA che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato LORENZO ROMANELLI, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione in data 9.5.2006 F.V., premesso di aver girato per l’incasso a R.R.G., nella sua qualità di consulente finanziario per conto di Banca Fideuram tre assegni bancari per il complessivo importo di Euro 37500,00, che il R., in luogo di destinare all’accensione di un nuovo rapporto presso un altro operatore come assicurato all’attore aveva invece distratto a proprio favore, ravvisando in ciò la responsabilità solidale della banca e del consulente, li conveniva entrambi avanti al Tribunale di Aosta, onde sentirne pronunciare la solidale condanna alla restituzione delle somme corrisposte e al ristoro di ogni conseguente danno.

1.2. Accolta in primo grado, la domanda era fatta oggetto di riesame, su appello della soccombente Fideuram, avanti alla Corte d’Appello di Torino, che con sentenza 1785/11 del 9.12.2011 accoglieva il proposto gravame e riformava la decisione di primo grado, condannando il F. alla restituzione delle somme nel frattempo versategli dalla banca e alla rifusione delle spese. Osservava nell’occasione il giudicante, sulla considerazione che “il presupposto minimo e sufficiente” per affermare la responsabilità della banca nelle attività dei propri consulenti risiede nel rapporto di occasionalità necessaria fra le mansioni affidate dal preponente ed il danno al cliente, che nella specie detto presupposto non era ravvisabile perchè, seppure “si fosse nei locali della banca appellante” e seppure il cliente fosse stato “procurato” alla banca dal R., “qui il R. aveva proposto al F. di consegnargli il proprio denaro perchè lo investisse presso altra banca”, sicchè anche nella rappresentazione che del fatto poteva farsi il F. “Fideuram non c’entrava proprio nulla e nulla c’entrava la fiducia nella solvibilità di Fideuram che poteva nutrire F.”, atteso che “questi stava prelevando il proprio denaro per consegnarlo al R. affinchè per proprio conto lo consegnasse ad altro operatore finanziario del tutto estraneo a Fideuram”. Se ciò porta ad escludere ogni responsabilità in capo alla banca, nondimeno essa è argomentabile – annotava ancora il giudice d’appello – alla stregua dell’avvenuta negoziazione degli assegni – che non sarebbe potuta avvenire a giudizio dell’appellato se non con la cooperazione della banca – vero al contrario che “l’assegno girato in bianco gira come un titolo al portatore” e non esiste prova che “il R. abbia incassato l’assegno allo sportello Fideuram e non l’abbia invece a sua volta girato per l’incasso presso altra banca”.

1.3. Per la cassazione di detta pronuncia il F. insta questa Corte sulla base di tre motivi di ricorso, cui replica con controricorso Fideuram.

Non ha svolto atttività processuale il R..

Il F. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso il F. deduce cumulativamente un errore di diritto consistito nella violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 31, comma 3, e dell’art. 2049 c.c. ed un vizio di difetto, insufficiente o contraddittoria motivazione, atteso che, negando la ricorrenza nella specie del richiesto presupposto di occasionalità sul rilievo che le somme erogate dal ricorrente sarebbero state destinate all’apertura di un nuovo rapporto presso un altro operatore, la Corte territoriale non ha considerato che a questo fine “l’investimento presso la banca preponente dei soldi consegnati dal cliente non è presupposto necessario”, poichè, posto che nella specie le somme erano state richieste dal R. nella sua qualità di consulente Fideuram, l’affidamento nel promotore poggiava sul fatto che il medesimo stesse agendo per conto di Fideuram “e pertanto agli occhi dell’investitore l’attività sarebbe stata condotta secondo trasparenza e correttezza proprio in quanto Banca Fideuram si serviva dell’ausilio dell’agente R.”.

1.2. Il motivo è infondato quanto ai profili di diritto, mentre va giudicato inammissibile quanto ai vizi motivazionali.

1.3.1. Sotto la prima angolazione giova rammentare che, dando vita ad una peculiare forma di responsabilità riconducibile nell’alveo previsionale dell’art. 2049 c.c. – e come tale riproduttiva del medesimo schema caratteristico di quella responsabilità, che conformemente allo statuto proprio della responsabilità oggettiva porta a rendere responsabile il preponente per il fatto dannoso del preposto in ragione del solo rapporto di preposizione (Cass., Sez 1, 10/11/2015, n. 22956; Cass., Sez. 1, 24/03/ 2011, n. 6829; Cass., Sez. 1, 24/07/2009, n. 17393) – la L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 5, comma 4 e il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 31, comma 3, via via succedutisi nel tempo, pongono a carico dell’intermediario la responsabilità solidale per gli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale. Detta responsabilità, è poi noto, trova la sua ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore è uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi, secondo l’antica regola per cui ubi commoda et eius incommoda o più modernamente secondo il criterio “di allocazione dei rischi”, in base al quale i danni cagionati dai dipendenti sono posti a carico dell’impresa come componente dei costi di questa; e per altro verso, e in termini più specifici, nell’esigenza di offrire una adeguata garanzia ai destinatari delle offerte di prodotti finanziari loro rivolte dall’intermediario per il tramite del promotore, giacchè appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte la buona fede dei clienti può più facilmente essere sorpresa e aggirata (Cass., Sez. 3, 4/03/2014, n. 5020; Cass., Sez. 3, 25/01/2011, n. 1741; Cass, Sez. 1, 7/04/2006, n. 8229). Particolarmente significativa si rivela nella ricostruzione della fattispecie la circostanza che la norma non escluda la responsabilità del preponente anche nel caso in cui il danno sia conseguenza di un comportamento del preposto costituente reato, atteso che, se essa rafforza la percezione che la tutela del risparmio che la norma intende assicurare sia ad ampio raggio, tanto che in linea di continuità con l’art. 2049 c.c. (Cass. pen., Sez. 5, 08/02/2006, n. 6700; Cass. pen., Sez. 2, 07/11/2000, n. 694; Cass. pen., Sez. 6, 09/07/1992) neppure la responsabilità penale del promotore vale a rescindere la responsabilità dell’intermediario che di esso si serva, pure per essa trova conferma l’assunto, parimenti dipanato in stretta adesione all’art. 2049 c.c., che la società di intermediazione mobiliare risponde dei danni causati ai risparmiatori dai propri preposti sulla base dell’esistenza del solo nesso “di occasionalità necessaria” tra il fatto del promotore e le incombenze affidategli (Cass., Sez. 3, 19/07/2012, n. 12448; Cass., Sez. 1 24/03/2011, n. 6829; Cass., Sez. 1, 13/12/2007, n. 26172). La locuzione mira a mettere in luce la necessità che l’attività illecita del promotore si consumi nel solco di un nesso funzionale con l’adempimento delle mansioni affidategli dall’intermediario nel senso, cioè, che l’adempimento di queste deve costituire l’occasione che agevoli e renda possibile il compimento dell’illecito. Di conseguenza, se in linea di principio ai fini di affermare la responsabilità del preponente è necessario e sufficiente che le attività svolte dal preposto abbiano determinato semplicemente una situazione tale da rendere possibile o comunque avere agevolato il comportamento produttivo di danno, giacchè ciò vale a definire la cornice entro cui l’attività del promotore si salda funzionalmente con le incombenze sottese all’espletamento dell’attività di promozione e da cui essa non decampa neppure nel caso estremo che la condotta del promotore abbia assunto una colorazione delittuosa, il nesso funzionale in guisa del quale si rende possibile rivendicare la responsabilità dell’intermediario è destinato viceversa a venire meno quando il preposto, pur agendo in circostanze concretamente riferibili al preponente, sia animato dal perseguimento di un interesse personale intendendo soddisfare con l’attività illecita un fin che si colloca oggettivamente al di fuori dell’area in cui è consentito invocare il rischio di impresa che giustifica la responsabilità dell’intermediario. E’ vero che anche la condizione dell'”occasionalità necessaria” è stata fatta oggetto sovente, come non senza enfasi si è scritto, di talune “virate ermeneutiche” in senso estensivo, tanto da rendere possibile affermare la responsabilità solidale dell’intermediario quando il preposto abbia operato oltre i limiti del proprio incarico e contro la volontà del committente (Cass., Sez. 3, 06-03-2008, n. 6033) o abbia agito con modalità o procedure inconsuete (Cass., Sez. 3, 12/03/2008, n. 6632) ovvero quando l’offerta di sottoscrizione abbia riguardato prodotti finanziari diversi da quelli ordinariamente negoziati dalla società preponente (Cass., Sez. 3, 25/01/2011, n. 1741). E tuttavia le tendenze interpretative manifestatesi in questa direzione – peraltro arrestatesi di fronte ai casi più eclatanti di condotte anomale del risparmiatore, significative se se non di un’aperta collusione con l’attività illecita dispiegata dal promotore, quanto meno di consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul medesimo (si ricorderà, per tutti, il caso emblematico dellYinvestitore che aveva incautamente comunicato al promotore i codici di accesso al proprio conto corrente, su cui Cass., Sez. 3, 4/03/2014, n. 5020) – non sembrano poter oscurare un dato di partenza da cui la riflessione in punto di “occasionalità necessaria” deve obbligatoriamente muovere ovverosia che stabilire se nella specie ricorre la condizione perchè l’illecito del promotore sia identificabile quale fonte di responsabilità solidale dell’intermediario costituisce, come la giurisprudenza della Corte unanimemente ritiene, un apprezzamento di fatto riservato esclusivamente al giudice di merito. E’ il giudice di merito, cui compete in via esclusiva, come stabilmente si ripete, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, che, ove sia investito del giudizio intorno alla responsabilità solidale dell’intermediario per il fatto illecito del promotore, deve procedere ad accertare se sussista o meno, conformemente al paradigma legale della responsabilità per fatto altrui, quel nesso di correlazione funzionale tra l’attività del promotore e quella dell’intermediario che si condensa nella formula giuridica dell'”occasionalità necessaria”. Stabilire se essa ricorra o meno nel caso portato al suo esame compete, dunque, solo al giudice di merito ed il suo giudizio, ove congruamente motivato in relazione alle circostanze di fatto emerse dal corso dell’istruttoria, concretizzandosi in un accertamento del fatto sostanziale del processo, si sottrae per principio al sindacato di questa Corte che non è ammessa in alcun modo a rivalutare le risultanze fattuali del processo e a riesaminare il merito della causa.

1.3.2. Con ciò va detto che nella specie la sentenza impugnata non si è discostata da questi principi laddove ha escluso la responsabilità dell’intermediario. Invero, negando la sussistenza del necessario presupposto dell'”occasionalità necessaria” sul rilievo che il F. si era indotto a disinvestire i capitali impegnati presso Fideuram per il tramite del R. perchè costui “aveva proposto al F. di consegnargli il proprio denaro perchè egli lo investisse presso altra banca per la quale intendeva lavorare”, la sentenza è pervenuta alla detta conclusione in stretta aderenza al quadro normativo che si è sopra delineato, rettamente affermando che “il presupposto minimo e sufficiente per ritenere la responsabilità della banca risiede (…) nel rapporto di occasionalità necessaria fra le mansioni affidate dal preponente all’agente ed il danno al cliente”; ma nel dare rilievo alla circostanza che il denaro ricavato dal F. dal disinvestimento in essere con Fideuram sarebbe stato investito presso un altro intermediario – che, in buona sostanza, il R. avesse sollecitato il disinvestimento e si fosse poi appropriato degli assegni che ne costituivano il ricavato non già quale agente Fideuram, ma in nome proprio – la sentenza ha ritenuto di dover individuare il fatto in grado di rompere il nesso relazionale che fonda nella disciplina del mercato mobiliare la responsabilità dell’intermediario procedendo in tal modo a quell’accertamento di fatto in senso sostanziale che compete solo al giudice di merito effettuare e che questa Corte non è perciò legittimata a sindacare sotto il profilo del denunciato errore di diritto.

1.4. Se il giudizio in punto di diritto che si sollecita riguardo alla decisione impugnata, nei limiti in cui la Corte può esercitare il proprio ufficio, la sottrae dunque alla sollevata censura, il giudizio che si reclama deducendo il difetto, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione – una volta ricordato che il vizio motivazionale non è azionabile in funzione di una revisione delle valutazioni e del convincimento fatto proprio dal giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova più favorevole pronuncia sul fatto – porta invece a ritenere che la censura sia inammissibile in quanto essa non evidenzia alcun vizio logico nell’iter formativo del processo decisionale e la sua formulazione postula unicamente la rinnovazione, preclusa del giudizio fattuale esperito dal giudice di merito.

2.1. Il secondo motivo del ricorso introdotto dal F. accampa un vizio motivazionale, in guisa di omessa considerazione di un fatto decisivo ai fini della valutazione del nesso di occasionalità necessaria ed in guisa di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in punto di valutazione delle prove, che inficia l’impugnata sentenza nella parte in cui ha escluso che fosse decisiva l’avvenuta negoziazione degli assegni assumendo “modalità di incasso che nemmeno sono state mai ventilate dalla controparte Fideuram”, fermo in ogni caso che il R. non avrebbe potuto incassare gli assegni presso un’altra banca.

2.2. Il motivo è affetto da plurime ragioni inammissibilità.

2.3. Esso invero evoca nella sua prima parte, laddove rimprovera alla decisione impugnata l’omesso esame di un fatto decisivo, un vizio motivazionale che non rientra tra quelli tassattivamente elencati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente all’epoca ed applicabile ratione temporis alla specie, il vizio dell'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” essendo stato introdotto in sostituzione dei precedenti dal D.L. 22 giugno 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 con efficacia rispetto alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione e quindi posteriormente alla pubblicazione della sentenza qui impugnata.

2.4. Laddove viceversa esso intende richiamare la previsione in allora vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, imputando alla sentenza un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il motivo si espone ad un duplice rilievo di inammissibilità: un primo rilievo in questo senso discende dal fatto di cumulare in un unica illustrazione doglianze incompatibili tra loro, quali l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi ovvero la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro (Cass., Sez. 1, 23/09/2011, n. 19443); un secondo rilievo si rende poi palese in ragione della sua estraneità alla ratio decidendi enunciata dal giudice di seconde cure, atteso che la ragioni che lo hanno indotto ad accogliere il gravame risiedono, come si è visto, nella circostanza che nella specie non è ravvisabile quel nesso di “occasionalità necessaria” tra l’illecito del R. e l’attività di intermediazione di Fideuram che il presupposto ineludibile per poter affermare la responsabilità dell’intermediario per il fatto del promotore e le considerazioni che egli dedica alle modalità di incasso degli assegni sono formulate in via di ipotesi in guisa di mere argomentazioni di repliche a non meglio specificate deduzioni della parte.

3.1. Con il terzo motivo del proprio ricorso il F. lamenta errore di diritto e vizio di omessa o contraddittoria motivazione riguardo alla statuizione in punto di spese, che non avrebbe avuto ragione di essere pronunciata se si fosse considerata “la complessità della materia e la particolarità della questione trattata”.

3.2. Il motivo è infondato quanto alla censura in diritto, mentre va giudicato assorbito quanto alla censura motivazionale.

Invero la statuizione in punto di spese è frutto della piana applicazione alla specie dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e del principio della soccombenza in esso trasfuso, in ragione del quale chi è stato causa del giudizio, rendendo necessario il ricorso al giudice, è tenuto a rifondere all’altra parte le spese del giudizio. Dunque la lagnanza in diritto non ha ragion d’essere e, trovando l’impugnata statuizione giustificazione appunto nel ricordato principio, nessun ulteriore obbligo motivazionale era nella specie reclama bile.

4. Il ricorso va dunque respinto.

Le spese si uniformano al principio della soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore del controricorrente in Euro 5400,00 per compensi, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2017

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