Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8626 del 26/03/2021

Cassazione civile sez. I, 26/03/2021, (ud. 30/11/2020, dep. 26/03/2021), n.8626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 309/2019 proposto da:

N.K., elettivamente domiciliata in Roma, Via Leonida Rech n.

76, presso lo studio dell’avvocato Poerio Giuseppe, che la

rappresenta e difende, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.M., in qualità di curatore speciale del minore

N.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Ippolito Nievo n. 61,

presso il proprio studio, rappresentato e difeso da se medesimo, con

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

Sindaco p.t. del Comune di Ladispoli, in persona del sindaco pt.;

Pubblico Ministero presso il Tribunale per i minorenni di Roma;

Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Roma;

P.A.;

– intimati-

avverso la sentenza n. 7207/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/11/2020 dal Cons., Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con sentenza emessa il (OMISSIS), il Tribunale per i minorenni di Roma dichiarò lo stato d’adottabilità del minore N.A., confermando la sospensione della responsabilità genitoriale della madre e la nomina di un tutore provvisorio nella persona del Sindaco del Comune di Ladispoli, e disponendo il divieto di ogni contatto del minore con madre e nonna materna.

Al riguardo, il Tribunale osservò che: con ricorso dell'(OMISSIS), il Pubblico Ministero aveva segnalato la condizione della madre del minore, N.K., la quale presentava problemi di alcolismo per i quali non aveva mai chiesto l’intervento del SERT, vivendo in un’abitazione non adeguata alle esigenze del neonato che risultava sotto peso; il (OMISSIS), la madre e il bambino erano stati collocati, con urgenza, nella casa-famiglia “(OMISSIS)”, dove era risultato confermato il sospetto che la donna facesse ancora uso di alcol, a seguito di un apposito colloquio con gli operatori della struttura durante il quale la stessa aveva assunto un atteggiamento alternativamente aggressivo e remissivo; dalla relazione della casa-famiglia era emerso anche l’atteggiamento inadeguato della madre nell’accudimento del bambino, nonchè l’uso, da parte delle medesima, di elevate quantità di caffeina e la mancata osservanza delle indicazioni alimentari, non ostante la fase d’allattamento in cui versava; dai controlli igienico-sanitari era stata riscontrava una scarsa cura della madre e del bambino, e l’uso di una tettarella vecchia ed ammuffita per alimentare il figlio.

Con decreto provvisorio ed urgente emesso il (OMISSIS) il Tribunale aveva affidato il bambino ai servizi sociali di Ladispoli con l’incarico di continuare il collocamento nella casa-famiglia insieme alla madre, alla quale veniva sospesa la responsabilità genitoriale, con la conseguente nomina del Sindaco di Ladispoli quale tutore provvisorio, incaricando i servizi sociali di effettuare una valutazione psico-diagnostica della personalità e della capacità genitoriale della madre.

In data (OMISSIS), la casa-famiglia aveva comunicato al Tribunale in via urgente la necessità di dimissione della N. a causa delle difficoltà di gestione determinate dalle varie sue intemperanze, segnalando: comportamenti oppositivi della donna verso gli operatori, nei confronti dei quali lamentava di sentirsi come incarcerata nella struttura, nuocendo così alla serenità degli ospiti, specie i bambini, spaventati dalle grida continue; inadeguate condotte della stessa N. nell’atto di allattare il bambino che ne causavano uno stato di agitazione.

Con decreto dell'(OMISSIS), il Tribunale, esaminata anche l’ultima relazione dei servizi sociali, ritenuta l’impossibilità di protrarre il collocamento presso la casa-famiglia del minore unitamente alla madre, la quale aveva dimostrato di non essere idonea alla funzione genitoriale, non ostante l’assistenza e il sostegno ricevuti, aveva disposto il collocamento del bambino in una casa-famiglia per persone minori, con possibilità di visita per la madre, che lo avrebbe incontrato alla presenza degli operatori.

Il Tribunale rilevò altresì che la valutazione del centro provinciale “(OMISSIS)”, datata (OMISSIS), aveva confermato la personalità della madre la quale mostrava intolleranza da vincoli esterni, classificabile di tipo impulsivo-compulsivo, che l’aveva sempre portata a percepire i servizi sociali come indebitamente ingerenti nella propria sfera personale e sociale, con forte senso di persecuzione, evidenziandone ancora l’inadeguatezza ad assumere il ruolo genitoriale, per aver la N. assunto un ruolo difensivo rigido a danno dei legami socio-affettivi, come emerso nei rapporti con il figlio connotati da “un alto livello di manipolazione e bassa sensibilità e responsività”.

Inoltre, il Tribunale rilevò che dalla relazione della casa-famiglia “(OMISSIS)” del (OMISSIS) era emerso il reiterato atteggiamento oppositivo della N. la quale, durante le visite al figlio, aveva continuato a tenere comportamenti non appropriati, supportati anche dalla madre, non ostante le sollecitazioni delle operatrici a mantenere una condotta adeguata alle esigenze del bambino.

Pertanto, in data (OMISSIS), il Pubblico Ministero chiese l’apertura della procedura per la verifica dello stato di abbandono del minore e l’adozione di ulteriori provvedimenti provvisori ed urgenti a tutela dello stesso.

Con decreto provvisorio ed urgente del (OMISSIS), il Tribunale dispose la sospensione della responsabilità genitoriale della N. e l’affidamento del minore ai servizi sociali di Ladispoli, con l’incarico di continuare il collocamento nella casa-famiglia senza la madre in considerazione dell’acuirsi della condotta inadeguata di quest’ultima all’interno della struttura, nominando il curatore speciale del minore e il difensore d’ufficio della madre.

Le successive relazioni della casa-famiglia confermarono le precedenti valutazioni in ordine alla condotta della ricorrente e alla sua inadeguatezza materna.

A seguito dell’audizione della ricorrente e della madre, con relazione del (OMISSIS), l’Asl Roma (OMISSIS) di Pomezia rilevò che la madre aveva rifiutato un eventuale percorso di sostegno alla genitorialità, ritenendo di non averne bisogno, e attribuendo ogni responsabilità della situazione attuale alle istituzioni intervenute e al contesto familiare paterno, che sarebbe stato sempre contro di lei e avrebbe contribuito ad allontanare il figlio da lei; anche le relazioni successive confermarono tali valutazioni.

Con sentenza del (OMISSIS) il Tribunale per i minorenni dichiarò lo stato di abbandono morale e materiale del bambino da parte della madre e dei parenti entro il quarto grado, e il relativo stato di adottabilità, osservando che: la N. aveva dimostrato la propria inadeguatezza a prendersi cura del figlio fin dalla nascita, essendo emersa una sostanziale incapacità di comprendere le necessità del minore in relazione alla tenera età del bambino, esponendolo a situazioni inadeguate durante la gravidanza e immediatamente dopo il parto; nel corso del procedimento, aperto da due anni, non erano stati raggiunti i risultati sperati, poichè la donna non aveva mostrato collaborazione nè con i servizi sociali, nè con gli operatori della casa-famiglia, rifiutando anche gli aiuti offertile ed opponendosi continuamente alle istruzioni impartite, dimostrando altresì scarsa propensione ad affrontare le proprie difficoltà relazionali, ritenendole inesistenti o minimizzandole, mantenendo invece una condotta oppositiva e persecutoria verso l’esterno, anche con denunce volte ad dimostrare che le cattive condizioni di salute del bambino erano attribuibili agli operatori; era da escludere un’incapacità temporanea della madre tenuto conto dei tempi necessari per il superamento dei disturbi della personalità della donna, non compatibili con i bisogni attuali del minore il quale, anzi, traeva unicamente disagi dagli incontri con la madre, con la quale non aveva instaurato una relazione affettiva e costruttiva mentre, al contrario, riconosceva in altri soggetti le proprie figure di riferimento, ricercandone le attenzioni e l’affetto; la N. aveva rifiutato l’ipotesi di un percorso di sostegno alla genitorialità; non era attendibile la certificazione dell’Asl di Terracina del (OMISSIS) – che aveva descritto la madre collaborativa e motivata con una buona positiva progettualità, con ottime capacità genitoriali come desumibile dal fatto che il bambino era felice di trascorrere del tempo con lei – poichè, al contrario, dalle relazioni del centro “(OMISSIS)” si desumeva la conferma delle precedenti valutazioni, rilevando che da (OMISSIS) la N. non avrebbe potuto fare progressi importanti come quelli segnalati dall’Asl di Terracina; l’interesse della nonna materna non era effettivo, come dimostrato dalla sua assenza agli incontri in casa-famiglia, dove si era recata solo poche volte senza instaurare con il bambino una relazione positiva, peraltro determinando un effetto destabilizzante nella relazione tra madre e figlio e contribuendo ad accentuare la sfiducia della figlia nei confronti degli operatori oltre che in se stessa; pertanto, convivendo le due donne nella stessa abitazione, un così assiduo contatto tra il minore e le stesse poteva nuocere all’equilibrato sviluppo psico-fisico del bambino.

Avverso tale sentenza propose appello N.K., lamentando che la pronuncia impugnata era stata emessa senza un’idonea istruttoria, fondata solo sulle relazioni della casa-famiglia che ospitava il bambino, peraltro con riferimento ad un periodo di particolare disagio per la madre, quale quello successivo al parto. In particolare, l’appellante si doleva del mancato espletamento di c.t.u. specialistica, specie considerando: che non le sarebbe stato consentito di frequentare assiduamente il figlio, nel rispetto del diritto del minore di vivere e crescere nella propria famiglia d’origine, diritto che richiedeva l’attivazione di tutti gli strumenti di aiuto e sostegno alla famiglia prima della dichiarazione dello stato di abbandono del minore; di essere in grado di comprendere i bisogni del figlio, come rilevato dall’Asl di Terracina; di aver mostrato disponibilità a seguire le indicazioni di cura farmacologica, come comprovato dal CSM di Pomezia che l’aveva avuta in cura per mesi; la valutazione espressa dal centro “(OMISSIS)”, in quanto richiesta nel procedimento de potestate, non costituiva valida fonte di prova nel giudizio relativo alla verifica dello stato di abbandono del minore; di aver comunque seguito le indicazioni dei vari operatori, avendo perso fiducia solo quando si era vista bersaglio di ingiuste accuse non ostante il suo impegno; era, allo stato, in grado di potere assicurare al figlio un adeguato ambiente familiare e abitativo, una nonna materna disponibile a collaborare, un lavoro per sostenersi compatibile con l’accudimento del bambino e una terapia in corso per tenere sotto controllo la sua impulsività.

Si costituì il curatore speciale aderendo alla sentenza di primo grado. Con ordinanza del 16.1.18, la Corte d’appello dispose una c.t.u. avente ad oggetto l’accertamento delle condizioni dell’appellante riguardo alla sua idoneità genitoriale, tenuto conto dei percorsi effettuati e delle allegate migliori condizioni personali, psicologiche, relazionali, abitative e lavorative, al fine di accertare se vi fossero concrete possibilità di un recupero della capacità genitoriale della N. e del ripristino dei rapporti con il figlio, tenendo conto della storia personale e delle attuali situazioni, dei tempi e degli interventi necessari. La stessa ordinanza dispose altresì ulteriori indagini socio-ambientali da parte del servizi sociali sulle attuali condizioni di vita dell’appellante, con particolare riguardo allo svolgimento di attività lavorativa.

Con sentenza emessa il (OMISSIS), la Corte territoriale rigettò l’appello, osservando che: le allegazioni difensive dell’appellante non avevano trovato riscontro neanche all’esito degli accertamenti tecnici espletati, che avevano sostanzialmente confermato le relazioni del centro “(OMISSIS)”; al riguardo, il rilievo per cui la valutazione del suddetto centro non avrebbe potuto avere rilevanza probatoria perchè acquisita nel procedimento de potestate (caratterizzato, secondo l’appellante, da minori livelli di garanzie e contraddittorio) non era condivisibile poichè in contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità; l’appellante aveva, comunque, svolto ogni attività difensiva ed esaminato tutti gli atti acquisiti. La Corte di merito ha osservato altresì che la c.t.u. aveva accertato che la N.: presentava un lieve ritardo cognitivo confermato da una valutazione testologica; non aveva migliorato la sua condizione con la relazione affettiva instaurata con il nuovo compagno (risultato gravato da precedenti penali per maltrattamenti in famiglia e inadempienza agli obblighi di assistenza familiare, tanto da essere dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale nei confronti dei suoi tre figli minori, nati da un suo precedente matrimonio) il quale aveva tenuto anche una condotta violenta nei confronti dell’appellante; aveva, tra l’altro, negato i comportamenti di inadeguatezza e ostilità segnalati dai servizi sociali, mostrando una costante sottostima delle varie situazione familiari e manie di persecuzione da parte delle autorità e del mondo esterno; disponeva di scarsa capacità d’introspezione e riflessione sulle proprie responsabilità; aveva presentato criticità in ordine al profilo cognitivo ed affettivo. La Corte d’appello ha rilevato ancora che: le situazioni di stress emotivo influenzavano negativamente l’esercizio delle capacità genitoriali; erano emerse difficoltà per l’appellante di mantenere una solida autonomia che garantisse continuità e stabilità al minore; alla luce di una complessa valutazione della condotta della madre, la c.t.u. ha evidenziato che le capacità genitoriali di quest’ultima erano carenti, ragione per la quale non si riteneva di ripristinare il rapporto con il figlio; il bambino aveva faticosamente raggiunto un equilibrio psicofisico da preservare in quanto la madre non mostrava competenze adeguate; i fattori di rischio e pregiudizio prevalevano rispetto ai fattori necessari per un’adeguata competenza genitoriale che potesse permettere una crescita sufficientemente sana del piccolo A.. La Corte territoriale evidenziò altresì che: i principali fattori di rischio erano costituiti: dal funzionamento psicologico e dalla struttura di personalità dell’appellante e dalla sua dipendenza economica ed abitativa; dalla storia individuale della N. caratterizzata da separazioni, devianza sociale, gravidanze non desiderate, relazioni difficili e conflittuali con la propria famiglia d’origine; dalla relazione violenta con il nuovo compagno e dalle notizie di reato a carico di quest’ultimo; dal rapporto conflittuale con i servizi e le istituzioni; tali criticità non consentivano ipotesi prognostiche favorevoli al recupero delle capacità genitoriali che, peraltro, avrebbero richiesto tempi molto lunghi, non compatibili con le esigenze evolutive del bambino; anche il c.t.p. era in gran parte d’accordo con il c.t.u. nel ritenere che la madre non fosse pronta a prendersi cura del bambino, ritenendo necessario un percorso non condiviso, però, dalla Corte di merito in quanto poco concreto e svincolato da una valutazione di compatibilità con i tempi evolutivi del bambino; il c.t.p. non aveva comunque mosso censure alle procedure e alle metodologie utilizzate; non erano ipotizzabili altre soluzioni, considerando lo stato del bambino il quale – istituzionalizzato da sempre – non ha mai fatto riferimento alla madre, mai ha chiesto di lei dopo l’interruzione degli incontri, versando in uno stato di salute cagionevole che sfociava anche in comportamenti autolesivi e nel tono dell’umore depresso, considerando altresì l’assenza di risorse familiari di sostegno all’appellante, dovendosi escludere la madre della N., sia per quanto deciso dal Tribunale, sia per l’assenza di quest’ultima nel giudizio d’appello nel quale, benchè citata, non si è costituita; la situazione in cui versava il bambino imponeva un intervento immediato al fine di evitare che il grave pregiudizio che lo stesso aveva già riportato per la lunga istituzionalizzazione e per l’assenza di legami affettivi stabili e di cure ed attenzioni personalizzate, potesse comportare un danno irreversibile nella sua crescita psico-emotiva.

Per quanto esposto, la Corte territoriale, ritenendo sussistente lo stato di abbandono del minore, respinse l’appello.

Ricorre in cassazione N.K. con due motivi.

Resiste con controricorso il curatore speciale del minore. Non si sono costituiti gli altri intimati.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1,8,12,15, in relazione all’art. 8 Cedu, per aver la Corte d’appello ritenuto lo stato di adottabilità del minore nell’insussistenza dei relativi presupposti.

In particolare, la ricorrente si duole del fatto che, pur in assenza di comportamenti dannosi per il minore, sono stati emessi vari provvedimenti (del Pubblico Ministero e del Tribunale per i minorenni) vessatori e sproporzionati (di sospensione della responsabilità genitoriale e collocamento del minore in casa-famiglia), non avendo la Corte di merito apprezzato gli sforzi e i progressi della N. nel migliorare la relazione con il figlio (come peraltro certificato dall’Asl di Terracina e dal CSM di Pomezia), nè i miglioramenti delle sue condizioni economiche ed abitative, senza che peraltro la ricorrente ricevesse concrete misure di sostegno per favorire il recupero delle capacità genitoriali. La ricorrente lamenta, ancora, che i provvedimenti del Tribunale e della Corte territoriale avevano in realtà vanificato e sottostimato i significativi progressi compiuti, comportando il suo screditamento come donna e madre, invertendo così le cause con gli effetti poichè le manifestazioni di sofferenza del bambino non potevano essere ricondotte a responsabilità della madre, bensì a tali provvedimenti, specie considerando che l’aggravamento delle condizioni del minore si era verificato in coincidenza con l’interruzione dei rapporti con la madre.

Il secondo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata in relazione alla L. n. 184 del 1983, art. 12 per non aver il Tribunale e la Corte territoriale convocato o disposto la partecipazione nel giudizio della sorella maggiorenne del minore, B.L., onde verificare la sua disponibilità all’affidamento del fratello. Al riguardo, la ricorrente si duole del fatto che la sorella del minore non era mai stata interpellata per instaurare una relazione affettiva con il bambino in esame, rilevando che, sebbene il predetto art. 12 richieda rapporti significativi con il minore ai fini dell’affidamento, la stessa sorella non era mai stata posta in condizione di avere un rapporto con il fratello, ciò a riprova del fatto che nè i servizi sociali, nè gli organi giudicanti, avrebbero avuto la volontà di favorire la permanenza del minore all’interno della propria famiglia.

Il primo motivo è infondato. La ricorrente lamenta, in sostanza, che la dichiarazione di abbandono del minore sia stata pronunciata in mancanza dei relativi presupposti e di non aver avuto i necessari sostegni al fine di recuperare le proprie capacità genitoriali e che, anzi, i vari provvedimenti emessi avevano compromesso la stessa possibilità per la ricorrente di intraprendere un percorso volto a garantire la permanenza del bambino nella propria famiglia.

Va osservato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre allorquando i genitori non siano in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, di calore affettivo e di aiuto psicologico indispensabili allo sviluppo e alla formazione della sua personalità, senza che tale situazione sia dovuta a motivi di carattere transitorio, considerati in base ad una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito (Cass., n. 11171/19; n. 1431/18; n. 9949/12).

Nel caso concreto, la Corte d’appello ha chiaramente esposto le ragioni che impediscono di ritenere che la ricorrente sia in grado di assicurare al minore le cure materiali, l’affetto e il sostegno psicologico indispensabili allo sviluppo fisiopsichico del bambino, escludendo che tale impedimento possa essere considerato transitorio.

In particolare, la Corte territoriale ha vagliato ogni difesa ed argomento addotti dalla ricorrente, sia attraverso l’esame della c.t.u., sia attraverso una dettagliata ricostruzione delle varie vicende personali della N. influenti sulla sua idoneità genitoriale; in particolare, la Corte ha anche esposto i motivi per i quali le certificazioni della Asl di Terracina e del suddetto centro, dalle quali era desumibile una valutazione meno severa nel confronti delle capacità genitoriali della ricorrente, non potessero rappresentare elementi probatori idonei ad escludere lo stato di abbandono contestato alla ricorrente, specie se valutati nel contesto complessivo degli elementi probatori raccolti.

In realtà, la ricorrente sostiene di non aver avuto alcun sostegno finalizzato al recupero delle capacità genitoriali, ma il giudice d’appello, come il Tribunale, ha dettagliatamente escluso la fondatezza di tale assunto, con argomenti sviluppati in maniera analitica e plausibile, immuni da censure in questa sede.

La Corte territoriale ha altresì escluso, con argomenti incensurabili in questa sede, che il minore possa essere affidato alla nonna materna, peraltro non costituitasi nel giudizio.

Il secondo motivo è inammissibile. Invero, la ricorrente non ha allegato ed esplicitato i rapporti significativi che la sorellastra del minore, B.L., avrebbe avuto con il bambino, quali presupposti dell’invocato affidamento del minore; d’altra parte, la stessa ricorrente ha escluso che vi siano stati rapporti significativi con il piccolo A., laddove lamenta genericamente che non era stata data a L. la possibilità di potere intraprendere un percorso di adozione del minore all’interno della propria famiglia d’origine.

Sul punto, la difesa del controricorrente, a sostegno dell’inammissibilità del motivo, riporta alcune parti della c.t.u. in ordine a dichiarazioni rese dalla stessa sorellastra del minore al c.t.u. circa l’insussistenza di una effettiva intenzione della stessa di occuparsi del bambino, senza nessuna replica in merito da parte della ricorrente.

Al riguardo, va osservato che, in tema di adozione la L. n. 184 del 1983, art. 12 limita le categorie delle persone che devono essere sentite nel procedimento per l’accertamento dello stato di abbandono del minore, ai parenti entro il quarto grado che abbiano mantenuto rapporti significativi con lui, ed ai medesimi parenti, in forza del combinato disposto della L. n. 184 del 1983, artt. 12 e 15 deve essere notificata la sentenza che dichiara lo stato di adottabilità (v. Cass., n. 26879/18; n. 18689/15)).

In applicazione del predetto principio, nelle sentenze sopra citate, questa Corte, esaminando una fattispecie analoga a quella in questione, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto irrilevante l’omessa notifica della sentenza di adottabilità ai fratelli ed alla nonna di una minore, avendo escluso il loro interessamento nei confronti della bambina, della quale, peraltro, nessuno di loro aveva chiesto di prendersi cura.

Data la natura del giudizio, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Dispone che in caso di pubblicazione dell’ordinanza siano oscurati i dati personali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2021

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