Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8622 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 15/04/2011, (ud. 10/12/2010, dep. 15/04/2011), n.8622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9825/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

COOP DEDALO DUE SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 246/2004 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 08/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/12/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato BACHETTI MASSIMO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo, il

rigetto del 2^ motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il 27.3.2006 è stato notificato alla società “Dedalo Due coop. a r.l.” un ricorso dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata l’8.2.2005), che ha accolto l’appello della società contribuente contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Rieti n. 377/02/2002, che aveva rigettato il ricorso della predetta società contribuente contro l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) relativo ad Irpef 1997.

Non ha svolto attività difensiva la società contribuente.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 10.12.010, in cui il PG ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso 2. I fatti di causa.

A seguito di un’attività di verifica generale, la Guardia di Finanza di Rieti ha redatto processo verbale di constatazione donde risulta che la Dedalo Due ha omesso di operare e di versare le ritenute d’acconto IRPEF per L. 10.803.105 sui compensi erogati ad alcuni dipendenti. Ne è scaturito l’avviso di accertamento qui impugnato a mezzo del quale l’Ufficio di Rieti ha contestato: 1) l’omessa presentazione della dichiarazione dei sostituti d’imposta mod. 770/98 per l’anno 1997; 2) l’omessa effettuazione e versamento delle ritenute d’acconto sui compensi corrisposti (ammontanti a L. 10.803.000) ed irrogato sanzioni ammontanti a L. 3.241.000.

La società contribuente, soccombente in primo grado, era risultata poi vittoriosa in appello, ottenendo l’annullamento dell’avviso di accertamento.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è così motivata: a) “appare del tutto insufficiente” la motivazione della sentenza di primo grado che “non ha minimamente affrontato tutte le eccezioni (di fatto e di diritto) proposte dalla ricorrente nel corso del giudizio di primo grado….La ricorrente ha infatti eccepito la totale mancanza di motivazione dell’atto impugnato”; b) “i giudici di primo grado hanno ignorato il fatto che la ricorrente ha eccepito la nullità dell’avviso di rettifica impugnato …ai sensi del dettato della L. n. 212 del 2000, art. 7 comma 1, ultima parte (Statuto del contribuente)”; c) “l’Ufficio non ha prodotto la minima documentazione necessaria ad avvalorare le proprie pretese…I giudici di primo grado hanno deciso soltanto in base al presupposto che quanto l’Ufficio ha sommariamente esposto nell’avviso di rettifica, rinviando tra l’altro totalmente al pvc della G.dF. – mai esaminato dalla Commissione – fosse corrispondente alla realtà di fatto e di diritto ivi descritta…Le uniche prove documentali disponibili, a quanto pare ignorate, sono quelle che ha prodotto la ricorrente al fine di dimostrare la non evasione delle imposte (tutte ricevute di versamento) e la correttezza del suo operato”.

4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con due motivi d’impugnazione e, dichiarato il valore della causa nella misura di Euro 5.580,00, si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese processuali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione di legge per erronea e falsa applicazione L. n. 212 del 2000, art. 7”. La ricorrente assume che la Commissione Regionale, con la propria sentenza, dimostra di non “avere compreso la reale natura delle riprese a tassazione oggetto del contendere (omessi versamenti)” e censura la decisione del giudice d’appello per avere omesso di porre a fondamento della decisione il principio della “legittimità della motivazione per relationem recante mero richiamo delle risultanze del processo verbale di constatazione”…”al contribuente comunicato o notificato nei modi prescritti, e dunque oggetto di conoscenza effettiva o legalmente presumibile”, anche in considerazione del fatto che nella specie di causa l’avviso di rettifica impugnato indica espressamente che “il pvc è già in possesso della S.V. e che si intende integralmente richiamato, costituendo parte integrante del presente atto”.

Il motivo è inammissibile per difetto del requisito di specificità e riferibilità alla decisione impugnata della censura.

La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente insegnato che la deduzione dei motivi di ricorso nel giudizio di cassazione deve essere effettuata mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza o dalla dottrina (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2616 del 29/04/1981; Cass. Sez. U, Sentenza n. 1497 del 12/02/1988), sicchè non soddisfa i requisiti di contenuto fissati dall’art. 366 c.p.c., n. 4, la censura che contenga mere enunciazioni di violazioni di legge, senza consentire, nemmeno attraverso una sua lettura globale, di individuare il collegamento di tali enunciazioni con la sentenza impugnata e le argomentazioni che la sostengono, nè quindi di cogliere le ragioni per le quali se ne chiede l’annullamento.

La parte ricorrente non ha appunto evidenziato in quali passaggi la decisione impugnata avrebbe fatto erronea o falsa applicazione della L. n. 212 del 2002, art. 7, limitandosi a postulare il vizio in termini del tutto astratti. Non guasta porre in rilievo, a tale proposito, che il giudice di appello (dopo avere dato per “scontata la legittimità della motivazione per relationem”) si è limitato a menzionare il citato art. 7 nel contesto della parte motiva della decisione al solo fine di evidenziare che il giudice di primo grado non aveva dato motivata e convincente risposta a tutte le doglianze di parte ricorrente, ed in specie a quella concernente il difetto di motivazione del provvedimento impositivo, anche in riferimento “al contenuto ed i mezzi di prova dell’atto richiamato”, mentre ha poi più volte rimarcato che l’Ufficio non ha mai prodotto in giudizio alcuna documentazione ivi compreso il processo verbale di constatazione, omissione di produzione al quale il giudice di appello ha espressamente riconnesso il difetto di “fondatezza della pretesa sostanziale in questo contenuta”.

Non vi è quindi ragione alcuna per ritenere che il giudice di appello abbia in qualche modo posto a fondamento del proprio convincimento principi di diritto contrastanti con quello qui apoditticamente valorizzato dalla parte ricorrente.

6. Il secondo motivo di impugnazione.

Il secondo motivo di impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione di un punto decisivo della controversia”.

Da parte l’intrinseca contraddittorietà della rubrica della censura (che si può superare a vantaggio della chiara impostazione della censura medesima in termini di “omessa motivazione”), la parte ricorrente si duole sostanzialmente del fatto che il giudice di prime cure non abbia considerato lo stralcio del p.v.c. in allegato all’avviso di accertamento, unitamente alle motivazioni esposte nell’accertamento, sufficiente a consentire di comprendere “l’iter seguito dai verbalizzanti e poi dall’Ufficio per il suo accertamento”. Si duole ancora del fatto che il giudice di appello si sia acriticamente appiattito sulla doglianza di difetto delle fonti di prova formulata dalla parte contribuente, senza considerare che l’ufficio aveva depositato “agli atti del ricorso”….”uno stralcio del processo verbale di constatazione – pvc – ovvero la parte conclusionale che consente di valutare la fondatezza e la correttezza delle dette conclusioni”. Dall’esame di detto stralcio il giudicante avrebbe dovuto desumere che i militari avevano redatto un prospetto analitico (allegato 8 al pvc) delle retribuzioni per le quali non era stata effettuata la ritenuta d’acconto, e dal confronto con i dati emergenti dal modello 770 prodotto dalla parte contribuente il medesimo giudicante avrebbe dovuto poi rilevare l’esistenza di un difetto nelle ritenute operate dalla società contribuente in riferimento a ciascuno specifico dipendente considerato.

Il motivo è inammissibile per difetto del requisito di autosufficienza del ricorso per cassazione.

E’ invero ripetuto e consolidato l’insegnamento di questa Corte a proposito degli oneri di preliminare allegazione che – a mente dell’art. 366 c.p.c. – incombono su chi lamenti omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Per quanto qui rileva – e con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006 che qui si applica – è recepito in giurisprudenza (per tutte si veda Cass. Sez. 3^, Sentenza n. 12239 del 25/05/2007) che ad integrare il requisito della cosiddetta autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità essa è rinvenibile. L’esigenza di tale doppia indicazione, in funzione dell’autosufficienza, si giustificava al lume della previsione dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, vecchio n. 4, che sanzionava (come, del resto, ora il nuovo) con l’improcedibilità la mancata produzione dei documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., comma 1.

Per quanto attiene, in particolare, agli oneri di produzione afferenti al presente grado di giudizio, vale la pena di evidenziare che è già stato precisato in precedenti arresti di questa Corte che “l’onere di depositare, ne termine perentorio fissato per il deposito del ricorso per cassazione, i documenti su cui lo stesso si fonda – imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – si applica anche nel processo tributario, non ostandovi il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 25, comma 2, per il quale “i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo”, in quanto la stessa norma prevede, di seguito, che “le parti possono ottenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio”, con la conseguenza che non è ravvisabile alcun impedimento all’assolvimento dell’onere predetto, potendo la parte provvedere al loro deposito anche mediante la produzione in copia, alla quale l’art. 2712 cod. civ. attribuisce lo stesso valore ed efficacia probatoria dell’originale, salvo che la sua conformità non sia contestata dalla parte contro cui è prodotta” (Cass. Sez. 5^, Ordinanza n. 24940 del 26/11/2009).

L’odierno ricorrente, però, nel valorizzare lo stralcio del pvc asseritamente allegato all’avviso di accertamento (vuoi ai fini della questione circa la sufficienza della motivazione dell’avviso stesso, vuoi ai fini della questione dell’omessa valutazione dei fatti ivi indicati da parte del giudice di appello) ha omesso non solo di trascrivere nel ricorso il contenuto asseritamente decisivo dello “stralcio”, ma ha anche omesso di indicare se e quando e dove detto documento sia stato prodotto nel corso dei gradi merito e se esso sia stato prodotto (o almeno se sia stata richiesta la trasmissione del fascicolo d’ufficio, con gli allegati fascicoli di parte) nel presente grado di giudizio. Del pari ha omesso di proporre le medesime indicazioni con riferimento all’allegato 8 al pvc, che pure costituisce oggetto dell’argomento posto a fondamento della censura.

Omissioni che a maggior ragione rilevano, a fronte della recisa negazione da parte del giudice di appello in ordine all’avvenuta produzione di documento alcuno da parte dell’Ufficio procedente.

Non resta che concludere nel senso che, in virtù delle allegazioni offerte dalla parte ricorrente, non è possibile passare alla verifica della fondatezza della censura di parte ricorrente che chiama in causa l’esercizio del potere di controllo della sufficienza e congruità della motivazione della sentenza impugnata, ai quali fini necessita l’assolvimento di oneri ai quali la parte ricorrente non ha assolto.

Non vi è luogo a condanna alle spese, poichè la parte vittoriosa non ha svolto attività difensive.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese di questo grado.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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