Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8621 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 15/04/2011, (ud. 10/12/2010, dep. 15/04/2011), n.8621

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7874/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

UNITED TECHNOLOGIES HOLDINGS SA, in persona del Direttore Generale

Delegato e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA GIACOMO PUCCINI 9 presso lo studio

dell’avvocato PERRONE Leonardo, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TARDELLA GIANMARCO procura speciale Notaio

ETIENNE LECUYER in Parigi il 14/3/2006;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 202/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 02/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/12/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIDORE BARBARA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato PERRONE LEONARDO, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il 27.2.2006 è stato notificato alla società “United Technologies Holding S.A.” (con sede in (OMISSIS)), un ricorso dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata 2.12.2005 e notificata il 28.12.2005), che ha rigettato l’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 57/15/2004, che aveva accolto il ricorso proposto dalla predetta società contro il silenzio rifiuto al rimborso del credito di imposta IRPEG per l’anno 2002 (ammontante ad Euro 6.248.417,25, oltre interessi di legge) maturatosi in relazione ai dividendi distribuiti da una società con sede in Italia della quale la ricorrente società deteneva il 99,98% del capitale sociale.

Ha proposto controricorso (notificato il 5.4.2006) la società di diritto francese, illustrandolo poi con memoria.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 10,12,010, in cui il PG ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

2. I fatti di causa.

Con istanza di rimborso di data 14.2.2003 la società istante ha invocato l’applicazione dell’art. 10, par. 4, lett. b) della Convenzione italo-francese contro le doppie imposizioni ratificata con L. 7 gennaio 1992, n. 20, secondo cui alla società francese spetta la metà del credito di imposta che sarebbe spettato ad un soggetto di diritto italiano che avesse percepito i medesimi dividendi, e ciò dando atto che la società italiana – all’atto della corresponsione dei dividendi – non aveva operato alcuna ritenuta d’acconto sugli stessi, in applicazione del D.P.R. 600 del 1973, art. 27 bis, comma 3, che lo consente allorquando le “società madri” intendano avvalersi del regime di totale esenzione da ritenuta sui dividendi riconosciuto dalla Direttiva 90/435/CEE. Formatosi il silenzio rifiuto la società ha chiesto alla CTP di Milano – con ricorso di data 23.6.2003 – di ordinare il rimborso della somma dianzi indicata, pari al 50% del 56,25% (9/16) del dividendo distribuito. Non essendosi costituita l’Amministrazione Finanziaria innanzi al giudice di primo grado, quest’ultimo ha accolto integralmente la domanda della parte ricorrente, condannando l’Amministrazione alla rifusione delle spese di lite. Proponendo appello avanti alla CTR di Milano, l’Amministrazione Finanziaria non ha contestato la debenza del rimborso ma l’erroneità della sua quantificazione, da determinarsi previa detrazione di una ritenuta del 5% da operarsi non solo in proporzione della quota di credito di imposta effettivamente spettante a rimborso, ma anche in proporzione dell’ammontare dei dividendi distribuiti dalla società figlia, e ciò in applicazione delle specifiche previsioni contenute nella menzionata convenzione italo-francese (come delucidate dalla Circolare Ministeriale n. 151/E del 10.8.1994). L’appello è stato integralmente disatteso, con compensazione delle spese di lite del secondo grado di giudizio.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

Il giudice di secondo grado ha motivato il proprio convincimento evidenziando che l’Agenzia non aveva contestato il diritto al rimborso, ma solo l’ammontare del medesimo. Ai sensi dell’art. 10, comma 4, lett. b della menzionata Convenzione risultavano, comunque, sussistenti le condizioni di fatto (tra cui la circostanza che la beneficiaria sia tassata in (OMISSIS)) e di diritto per disporre il rimborso integrale della somma richiesta, non risultando “convincenti” le argomentazioni svolte dall’Ufficio appellante a proposito della pretesa di operare una ritenuta sull’importo oggetto del rimborso.

4. Il ricorso per cassazione Il ricorso per cassazione è sostenuto da un unico (complesso) motivo di censura e, dichiarato il valore della causa nella misura di Euro 350.000,00, si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese processuali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Questione preliminare.

Preliminarmente necessita rilevare l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero delle Finanze.

Quest’ultimo non è stato parte del processo di appello (instaurato dopo il 1 gennaio 2001 – data di inizio dell’operatività delle Agenzie fiscali- dal solo Ufficio locale dell’Agenzia) sicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente grado.

Sussistono giusti motivi, in considerazione del fatto che la giurisprudenza di questa Corte in tal senso si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

6. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo – complesso – motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27 bis; artt. 10 e 24 della Convenzione tra Italia e Francia …resa esecutiva con L. 7 gennaio 1992, n. 20;

artt. 4, 5, e 7 Direttiva Consiglio CEE 23.7.1990 n. 90/435; art. 6 (ex art. 7) del Trattato Istitutivo…, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

A) Nel suo primo profilo di censura, la parte ricorrente muove dalla premessa che secondo il giudice d’appello per dare soluzione alla controversia debba farsi “applicazione diretta ed incondizionata degli art. 5, par. 1 Direttiva e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis, comma 1, con prevalenza sulle disposizioni convenzionali”, norme delle quali il medesimo giudice avrebbe però fatto “lettura parziale”. La prima norma prevede – in difetto di accordi bilaterali – che lo Stato in cui ha sede la società figlia sia privato della potestà impositiva sulla società madre (vietando di operare ritenute sui dividendi distribuiti) e la seconda fa attuazione interna di questo principio prevedendo l’esenzione solo e tassativamente della ritenuta di cui all’art. 27, comma 3, e cioè quella ordinaria di diritto interno prevista per gli utili corrisposti a non residenti.

Ove però la depurazione dei dividendi distribuiti sia assicurata da convenzioni bilaterali, secondo la ricorrente la ragione del divieto viene meno (come consente anche l’art. 7 della Direttiva), e non vi è ragione di escludere che il dividendo sia assoggettato a ritenuta alla fonte nello stato della società figlia, alla stessa stregua di quanto sarebbe stato per la società madre residente in Italia, e perciò con la ritenuta del 10% prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 1, nella lettera vigente all’epoca dei fatti, regolata giustificata dal fatto che la doppia imposizione a carico della società madre è esclusa, attesa la possibilità di questa di fruire del credito di imposta del D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 14. Alla stessa stregua per l’art. 10, par. 2, lett. a) della convenzione, che prevede una ritenuta sui dividendi distribuiti da società figlie, sul presupposto che l’art. 24, comma 2, prevede a favore della società madre una deduzione dall’imposta francese.

Nella sistematica di detto art. 10, par. 2, lett. a, intatti, la previsione di un’imposizione sui dividendi non superiore al 5%, nello stato della società erogante, costituisce presupposto perchè la società madre possa richiedere il rimborso del credito d’imposta la cui funzione è appunto quella di elidere in capo al socio le conseguenze dell’imposizione già scontata dalla società, evitando la doppia imposizione sui dividendi. Detta imposizione dovrebbe operare sia sui dividendi che sul credito di imposta e la società di diritto francese – essendosi avvalsa del diritto di ottenere il rimborso del credito d’imposta – non avrebbe potuto pretendere di cumulare i benefici attribuiti dalla Convenzione e quelli attribuiti dalla Direttiva.

Si intende, insomma, dallo sviluppo degli argomenti formulati dalla parte ricorrente (e sopra riassunti) che quest’ultima insiste nella stessa tesi già formulata in secondo grado (per come si desume dalla narrativa della sentenza impugnata) secondo cui la ritenuta del 5% sarebbe duplice ed andrebbe operata non solo sull’importo del credito di imposta effettivamente spettante, ma anche sull’importo dei dividendi.

Non può perciò condividersi l’eccezione di parte controricorrente secondo cui l’Amministrazione ricorrente avrebbe in questa sede “abbandonato” l’assunto dell’applicazione della ritenuta del 5% sull’intero importo dei dividendi (con la conseguenza di formazione del giudicato sul diritto della società ricorrente al rimborso di almeno Euro 5.936.274,09) perchè della fondatezza di questa eccezione non può trarsi conferma dalla circostanza che la ricorrente abbia erroneamente indicato in Euro 350.000,00 (appena di poco superiore al valore della ritenuta sul solo rimborso della quota del credito d’imposta) il valore della controversia ai fini della quantificazione del contributo unificato, e perciò in contraddizione con le conseguenze pecuniarie eventualmente connesse all’accoglimento del profilo principale della censura, appunto perchè detta indicazione può essere la risultanza di un puro errore materiale e non necessariamente il sintomo di un’intenzione.

Neppure può condividersi l’eccezione di parte controricorrente secondo cui il profilo principale di censura sarebbe inammissibile per essere fondato su “nuove questioni di diritto” e “nuove questioni di fatto”. Non è certo questione di fatto quella della valenza opzionale del regime della Convenzione rispetto a quello della Direttiva, nè la censura di parte ricorrente trova fondamento in ciò, muovendo semplicemente dal pacifico presupposto (sia pure dimostrato con passaggi argomentativi articolati) che si debba fare applicazione della sola disciplina convenzionale. E non sarebbe certo inammissibile in questa sede la (eventualmente) nuova prospettazione di puro diritto circa la corretta interpretazione da dare alla disciplina convenzionale, alla luce della ratio ricavabile dalla fonte di diritto comunitario.

Tutto ciò posto, può passarsi al merito del primo profilo della censura proposta dalla parte ricorrente (con riferimento alla debenza della ritenuta del 5% sull’importo del dividendo distribuito), il quale appare fondato.

Il riconoscimento della legittimità della ritenuta operata in Italia sui dividendi corrisposti alla società-madre di diritto francese deriva dalla lettura congiunta della Direttiva 90/435/CEE (artt. 4, 5 e 7), della Convenzione Italo – Francese del 1988, ratificata con L. n. 20 del 1992, rivolta ad evitare le doppie imposizioni e della normativa interna (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27 bis, innovato col D.Lgs. 6 marzo 1993, n. 136), che ha dato attuazione all’art. 5, n. 1 della Direttiva, prevedendo tuttavia un’opzione fra il rimborso della ritenuta e l’esenzione dalla stessa, e facendo comunque salve le disposizioni convenzionali.

Preliminarmente va sottolineato, in ordine alla problematica della possibile divergenza fra norme comunitarie e norme convenzionali o interne, il principio di prevalenza della normativa comunitaria, che con l’art. 5, n. 1 (“Gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre, quando quest’ultima detiene una partecipazione minima del 25% nel capitale della società figlia sono esenti dalla ritenuta alla fonte”) stabilisce in via generale diritti assoluti in favore degli operatori economici, per cui uno Stato membro non può far dipendere la loro osservanza da una convenzione conclusa con un altro Stato membro (Corte Giustizia 4 ottobre 2001 in C-294/99 p, 32; 28 gennaio 1986 in C-270/83 Commissione/Francia).

Tuttavia tale principio va coordinato con le regole della disciplina nazionale, alla luce dei fini della Direttiva, che sono quelli di eliminare le diversità di regime fiscale per le società operanti negli Stati membri, garantendo la neutralità dell’imposizione, attraverso l’eliminazione di ogni ipotesi di doppia imposizione in tali Stati, che comunque restano portatori di interessi concorrenti e a volte opposti, ciò che la Direttiva mira ad elidere promuovendo la cooperazione fra Stati Membri e la facilitazione del raggruppamento di società su scala comunitaria (C. Giust. sentenza 25 settembre 2003,in C-58/01); nel Preambolo della Direttiva in esame si afferma infatti, in relazione agli utili che la società madre riceve dalla società figlia, che lo Stato della società (madre) deve:

1) o astenersi dal sottoporre tali utili ad imposizione;

2) oppure sottoporli ad imposizione, autorizzando però tale società madre a dedurre dalla sua imposizione la frazione dell’imposta pagata dalla società figlia.

Nel caso in esame, la seconda ipotesi (sottoposizione ad imposizione degli utili destinati alla società madre nello Stato di residenza della società figlia) si armonizza in pieno con la previsione dell’art. 10, par. 2 della Convenzione Italo – Francese: tale disposizione afferma infatti che “tali dividendi possono essere tassati nello Stato, di cui la società che paga i dividendi è residente ed in conformità della legislazione di detto Stato, ma, se la persona che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere:

a) il 5 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi se l’effettivo beneficiario è una società assoggettabile all’imposta sulle società che ha detenuto direttamente o indirettamente nel corso di un periodo di almeno 12 mesi precedenti la data della delibera di distribuzione dei dividendi, almeno il 10 per cento del capitale della società che paga i dividendi; b) il 15 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi, in tutti gli altri casi.

Va qui annotato che il sistema regolamentato con la norma or ora trascritta è stato numerose volte indagato – e considerato conforme allo spirito della Direttiva – da questa Corte la quale (già con la pronuncia n. 1231 del 29/01/2001, sia pure a proposito di convenzione stipulata tra l’Italia e la Svizzera, del tutto analoga a quella qui in esame) ha evidenziato che in tal modo è stata prevista “una competenza impositiva dello Stato in cui i dividendi vengano corrisposti, concorrente con quella principale dello Stato di residenza del percipiente”.

Invero, il successivo art. 24, n. 2, lett. a) della convenzione stabilisce a sua volta che “Gli utili e gli altri redditi (revenus positifs) che provengono dall’Italia e che sono ivi imponibili conformemente alle disposizioni della Convenzione, sono parimenti imponibili in Francia allorchè sono ricevuti da un residente della Francia. L’imposta italiana non è deducibile ai fini del calcolo del reddito imponibile in (OMISSIS). Ma il beneficiario ha diritto ad un credito di imposta nei confronti dell’imposta francese nella cui base detti redditi sono inclusi. Detto credito di imposta è pari:

– con riferimento ai redditi previsti agli artt. 10, 11, 12, 16, 17 e al paragrafo 8 del protocollo annesso alla Convenzione, all’ammontare dell’imposta pagata in Italia conformemente alle disposizioni di detti articoli. Esso non può tuttavia eccedere l’ammontare dell’imposta francese relativa a tali redditi;

– per tutti gli altri redditi, all’ammontare della relativa imposta francese”.

Tali disposizioni, comunitarie e convenzionali, vanno poi lette alla luce della ulteriore disposizione (art. 7, n. 2) della Direttiva secondo cui “la presente Direttiva lascia impregiudicata l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzioni intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in particolare delle disposizioni relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari dei dividendi”, nel senso che la disposizione di non imponibilità degli utili di cui all’art. 5, n. 1 della Direttiva non si applica se già la normativa convenzionale o quella interna contengono norme che realizzano la finalità di sopprimere o attenuare la doppia imposizione economica trattandosi di disposizione che non determina un’eccezione al divieto di doppia imposizione, ma semmai lo rafforza attraverso una “saldatura” delle norme convenzionali con quelle comunitarie (Cass. 19152/2004, in parte motiva).

Ed infatti la Corte di Giustizia, nell’affrontare e risolvere il problema derivante dalla concorrenza delle norme citate, ha affermato (C. Giust. C-58/01 cit.) che l’art. 7, n. 2 della Direttiva “consente un’imposizione come quella del 5% prevista dalla Convenzione sulle doppie imposizioni”, anche se tale prelievo, in quanto si applica ai dividendi versati dalla Società figlia alla Società madre, costituisce una ritenuta alla fonte à sensi dell’art. 5, n. 1 della Direttiva.

In conclusione, la legittimità della ritenuta del 5% sui dividendi corrisposti da una società figlia residente in Italia alla Società madre residente in (OMISSIS), cui sia stato riconosciuto un credito d’imposta, discende dalla applicazione della Convenzione Italia – Francia sulle doppie imposizioni recepita con L. n. 20 del 1990, il cui contenuto non contrasta con la Direttiva del Consiglio 90/435/CEE, prevalendo l’applicazione di tale disciplina, prescelta dalla contribuente, sul dettato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis, che consente alla Società non residente di optare per l’esenzione dalla ritenuta sui dividendi, ma senza credito d’imposta.

La opzione operata dalla ricorrente in ordine al riconoscimento del credito d’imposta, in ottemperanza alla Convenzione, esclude infatti automaticamente l’applicazione del diverso regime di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis cit. – che non prevede, e non consente comunque, il cumulo di due benefici.

Esclusa quindi ogni ipotesi di applicazione della esenzione dalla ritenuta prevista dall’art. 5, n. 1 della Direttiva CEE, ed atteso che la Società madre si è avvalsa del credito d’imposta di cui alla suddetta Convenzione, la ritenuta del 5% sui dividendi è stata nella specie legittimamente considerata come “condizione” per la concessione del rimborso dovuto alla società francese controllante, sicchè per questo aspetto la sentenza di secondo grado merita senz’altro di essere cassata in relazione al capo di rigetto dell’appello proposto dall’Agenzia.

B) Nel proprio secondo profilo di censura l’Amministrazione ricorrente si duole poi della violazione del disposto dell’art. 10, par. 4, lett. b) della Convenzione nella parte in cui prevede che “Una società’ residente della Francia, indicata al paragrafo 2-a) o soggetta alla legislazione francese applicabile alle società’ madri che riceve da una società residente dell’Italia dividendi che darebbero diritto a un credito d’imposta se fossero ricevuti da un residente dell’Italia, ha diritto ad un pagamento da parte del Tesoro italiano di un ammontare pari alla metà di detto credito d’imposta diminuito della ritenuta alla fonte prevista al paragrafo 2”. La ricorrente evidenzia infatti che nella pronuncia del giudice di appello non è previsto che il pagamento dovuto a favore della società francese qui controricorrente debba essere diminuito di una ulteriore ritenuta alla fonte del 5%.

La censura è fondata, alla luce della previsione della norma or ora trascritta, che non può che essere interpretata nel senso che la ritenuta alla fonte (di ammontare pari a quella prevista nel paragrafo 2 dell’art. 10 della Convenzione), aggiuntiva ed autonoma rispetto all’imposizione che il predetto paragrafo 2 prevede in rapporto all’ammontare dei dividendi distribuiti, vada applicata in proporzione alla somma dovuta a titolo di restituzione della metà del credito di imposta spettante in relazione ai dividendi.

Non può infatti convenirsi con la tesi di parte controricorrente secondo cui la diminuzione di cui si parla “non può essere utilizzata per realizzare la tassazione degli stessi dividendi in modo diverso da quello stabilito dalla nostra legislazione interna, nè per introdurre una tassazione parziale del credito d’imposta che non è in alcun modo prevista dalla nostra legislazione interna”.

Occorre infatti evidenziare (in coerenza con quanto già ritenuto da questa Corte nella sentenza 12 marzo 2009, n. 5943, sia pure in relazione ad altra e non dissimile convenzione) che, il credito d’imposta che l’art. 10, n. 4, lett. b) della Convenzione riconosce in favore della società residente in (OMISSIS) che riceva dividendi da una società residente in Italia, è esplicitamente qualificato come “dividendo” nel successivo paragrafo 9 lett. a) e b):

“a) Ai fini del presente articolo il termine “dividendi” designa i redditi derivanti da azioni, da azioni o diritti di godimento, da quote minerarie, da quote di fondatore o da altre quote di partecipazione agli utili, ad eccezione dei crediti, nonchè i redditi assoggettati al regime fiscale delle distribuzioni secondo la legislazione dello Stato di cui è residente la società’ distributrice.

b) Sono parimenti considerati come dividendi pagati da una società’ residente di uno dei due Stati, il pagamento lordo del Tesoro rappresentativo, in Francia, del credito d’imposta (“avoir fiscal”) considerato al paragrafo 3 e, in Italia, del credito di imposta considerato al paragrafo 4…..”.

Detto “pagamento” (o rimborso che dir si voglia) del credito d’imposta risulta quindi sottoposto alla ritenuta del 5%, contemplata dallo stesso art. 10 n. 2 sub-paragrafo a) della Convenzione, e non vietata à sensi dell’art. 5, n. 1 della Direttiva, alla stessa stregua in cui risultano sottoposti anche i dividendi distribuiti.

Si noti, anzi che in proposito il citato arresto C. 58-01 della Corte di giustizia ha sottolineato (par. 87) che “nel contesto della Convenzione (italo – britannica) il prelievo del 5% (sui dividendi) è stato instaurato in diretta connessione con il pagamento di un credito d’imposta, il quale è stato istituito al fine di attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi versati dalla società controllata. E’ giocoforza rilevare che tale prelievo, il quale costituisce una ritenuta alla fonte ai sensi dell’art. 5, n. 1 della Direttiva nella misura in cui colpisce i dividendi, non è stato fissato..ad un’aliquota tale che possa annullare gli effetti di tale attenuazione della imposizione economica sui dividendi”, imposizione attenuata, oltre che con l’applicazione di un’aliquota agevolata del 5%, proprio dal riconoscimento del credito d’imposta”.

La più recente sentenza 3 aprile 2008 della Corte di Giustizia in causa C-27/07-Conseil d’Etat-Banque Federative du Credit mutuel ha poi ulteriormente chiarito che “la nozione di “utili distribuiti dalla società figlia”, à sensi dell’art. 4 della Direttiva 90/435/CEE, deve essere interpretata nel senso che tale norma non osta alla normativa di uno Stato membro che includa, nei suddetti utili, crediti d’imposta concessi al fine di compensare una ritenuta alla fonte applicata a carico della controllante dallo Stato membro della Società controllata”.

Non vi è quindi esigenza alcuna di addentrarsi nell’ulteriore esame dell’eccezione di parte controricorrente secondo cui mancherebbe la fonte di diritto interno che preveda la relativa fattispecie imponibile, poichè detta fonte è già esistente nella disciplina convenzionale, ratificata con legge nazionale.

In conclusione, la legittimità della riduzione del 5% sul riconosciuto credito d’imposta, da considerarsi “dividendo” sottoposto anch’esso a ritenuta, discende anch’esso dalla applicazione della Convenzione Italia – Francia sulle doppie imposizioni recepita con L. n. 20 del 1992, il cui contenuto non contrasta con la Direttiva del Consiglio 90/435/CEE, senza che vi sia alcun bisogno di una espressa norma che autonomamente lo preveda.

Neppure può condividersi l’opinione di parte controricorrente secondo cui l’Amministrazione, per contestare la scelta della società figlia di non applicare la ritenuta alla fonte del 5% ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis, avrebbe dovuto emettere un atto impositivo nei confronti del sostituto d’imposta, perchè la tassazione doveva avvenire con una ritenuta alla fonte a titolo di imposta in sede di erogazione del dividendo. La predetta tesi (che confonde le ritenute previste dalle due distinte ed autonome discipline) è già stata altre volte disattesa da questa Corte, sicchè è sufficiente, riassuntivamente, richiamare il principio di diritto estraibile da Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 11033 del 10/06/2004 secondo cui “In tema di rimborsi di crediti d’imposta, la convenzione Italo-Francese del 5 ottobre 1989, ratificata dall’Italia con la L. n. 20 del 1989, con riguardo ai dividenti percepiti da società francesi ad opera di società residenti in Italia, attribuisce, ai sensi dell’art. 10, comma 4, lett. b), di detta legge, il diritto al rimborso dell’ammontare pari alla metà del credito d’imposta, diminuito della ritenuta alla fonte, direttamente alla società residente in (OMISSIS), a differenza dell’ipotesi di cui alla citata L. n. 20, art. 10, comma 6, che si riferisce alla “maggiorazione di conguaglio”, il cui credito verso il Fisco deve essere richiesto, per il tramite della stessa società avente residenza in Italia che – in questo caso a differenza dell’altro – agisce in nome e per conto del richiedente residente in (OMISSIS)”.

Anche per questo aspetto quindi la pronuncia del giudice di appello deve essere cassata, in riferimento al capo con cui è stato disatteso l’appello dell’Agenzia.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la controversia può essere decisa nel merito nei termini di cui al dispositivo. A questo proposito non guasta ricapitolare ciò che è pacifico tra le parti a proposito del computo del dare ed avere reciproco: ammontando ad Euro 22.216.594,65 la complessiva somma dei dividendi distribuiti, la quota del credito di imposta che spetterebbe alla società-madre equivale ad Euro 6.248.417,00. Dovendo però detta somma rimanere diminuita del 5% del complessivo importo dei dividendi distribuiti (pari ad Euro 1.110.829,73) nonchè del 5% dell’ammontare del predetto credito d’imposta (pari ad Euro 312.420,86), la somma da rimborsarsi effettivamente risulta in definitiva pari ad Euro 4.825.166,41.

La peculiare complessità delle questioni controverse e la relativa novità della materia controversa (in relazione alle specificità della convenzione italo-francese) giustifica la integrale compensazione, per tutti i gradi di giudizio, delle spese di lite.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero delle Finanze e compensa tra le parti le relative spese. Accoglie il ricorso dell’Agenzia per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata in relazione ad entrambi i motivi di accoglimento e statuisce che il rimborso che compete alla parte qui controricorrente per le ragioni di cui in narrativa deve rimanere diminuito di un importo pari al 5% del dividendo distribuito a suo favore e di un ulteriore importo pari al 5% della quota del credito di imposta che è oggetto di detto rimborso. Spese di lite compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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