Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 862 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 17/01/2020), n.862

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Nel procedimento n. 27851/18 RG, proposto da:

F.M., dom.to presso la Cancelleria, rappresentato e difeso

dall’avv. Massimo Gilardoni di Brescia per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (cf (OMISSIS)), domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso il decreto n. 1546/18 del Tribunale di Caltanissetta,

depositato il 7.8.18;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2019 dal consigliere Dott. Giacomo Maria Stalla.

Fatto

OSSERVA

p. 1. F.M., n. in (OMISSIS), propone due motivi di ricorso per la cassazione del decreto n. 1546/18 del 7 agosto 2018, con il quale il tribunale di Caltanissetta, sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale, ha rigettato (nella costituzione in giudizio del Ministero degli Interni) il ricorso da lui proposto contro la decisione con la quale la competente Commissione Territoriale aveva respinto la sua istanza di protezione internazionale (status di rifugiato ovvero, in subordine, protezione sussidiaria o rilascio di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie).

Il tribunale ha rilevato che:

quanto alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, il richiedente aveva reso avanti alla commissione territoriale dichiarazioni non credibili, ed i dubbi di verosimiglianza non erano stati da lui fugati neppure in sede di nuova audizione nell’udienza del 17 aprile 2018; egli aveva dichiarato di aver lasciato il Pakistan nel 2012 e di aver soggiornato per quattro anni nel Regno Unito dove aveva proposto una prima domanda di protezione internazionale; aveva quindi lasciato il Regno Unito, senza neppure attendere l’esito di tale domanda, per venire in Italia nel 2016; le ragioni della fuga dal suo paese d’origine ((OMISSIS)) erano state individuate nel timore per la propria incolumità, in quanto coinvolto suo malgrado in uno scontro tra militanti del partito (OMISSIS), al quale apparteneva, e militanti del partito (OMISSIS), nel corso del quale era rimasta uccisa una persona, con conseguente accusa di omicidio a suo carico; questo racconto, pur valutato secondo i parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 risultava scarsamente plausibile così quanto, in particolare: alle ragioni dell’abbandono dell’Inghilterra (dove era giunto con documenti) ancor prima della decisione sull’istanza di protezione; al fatto che in Pakistan non si celebrasse alcun processo nei confronti di chi fosse soltanto ricercato e non anche catturato (anzi, circostanza esclusa da rapporti EASO); al risultato elettorale raggiunto nelle ultime elezioni dal suo partito; alla mancata dimostrazione di un rischio effettivo di subire procedimenti penali ovvero condanne per fatti risalenti nel tempo, per giunta in assenza di qualsivoglia comunicazione o ricerca da parte dell’autorità pakistana;

quanto alla protezione sussidiaria, rilevava parimenti la suddetta ritenuta inattendibilità del racconto e, ad ogni modo, il fatto che da informative aggiornate di organismi internazionali (EASO), nel luogo di origine ((OMISSIS)) non sussisteva una situazione tale da configurare conflitto armato o situazione di violenza generalizzata e, inoltre, si registrava un’ efficace attività repressiva e di controllo della polizia e dell’esercito, con diminuzione statistica di episodi violenti e di vittime;

quanto alla protezione umanitaria, non era stata dimostrata, e neppure esposta, alcuna grave ed oggettiva situazione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani integrante vulnerabilità, e tale da giustificare l’allontanamento del ricorrente dal paese di origine.

Nessuna attività difensiva è stata posta in essere in questa sede dal Ministero degli Interni.

p. 2.1 In via preliminare il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale: – del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. in L. n. 46 del 2017, in relazione all’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., comma 2; stante l’assenza dei necessari presupposti di necessità ed urgenza legittimante l’adozione dello strumento del D.L., assenza tanto più comprovata dal differimento fino a 180 giorni dell’entrata in vigore di alcuni articoli del D.L. medesimo; – del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13 come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, in relazione agli artt. 3,24 e 111 Cost., stante la reclamabilità soltanto in cassazione del decreto del tribunale.

p. 2.2 La prima questione è manifestamente infondata, secondo quanto già stabilito da Cass. n. 17717/18 (così Cass.ord. 28119/18): “E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza, poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime”.

Analogamente è a dire per la seconda questione, posto che (Cass. ord. n. 27700/18, così Cass.n. ord. 28119/18 cit. ed altre): “E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione”.

p. 3.1 Con il primo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Per non avere il tribunale considerato che in Pakistan, a seguito della revoca della moratoria del dicembre 2014, era stata ripristinata la pena di morte per 27 reati, per cui andava valutato il rischio che il richiedente, tornato in Pakistan, potesse essere giustiziato per il reato di cui era accusato.

Il motivo è infondato.

E’ dirimente osservare che il giudice di merito non abbia ritenuto credibile il racconto del richiedente (nemmeno) sul punto specifico e qualificante dell’omicidio asseritamente occorso nello scontro tra fazioni politiche e, segnatamente, sul fatto che di esso fosse stato effettivamente accusato il richiedente stesso; anzi, il giudice di merito ha escluso tale accusa, non altrimenti provata, previa informativa EASO circa l’irrilevanza, a tal fine, del fatto che il prevenuto fosse solo ricercato e non anche catturato (giustificazione fornita dal richiedente).

La decisione censurata si pone in linea con l’indirizzo secondo cui (Cass. 2830/15 ed altre): “In tema di protezione internazionale, il cittadino straniero che è imputato di un delitto comune (nella specie, omicidio durante una rissa), punito nel Paese di origine con la pena di morte, non ha diritto al riconoscimento dello “status” di rifugiato politico poichè gli atti previsti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7 non sono collegati a motivi di persecuzione inerenti alla razza, alla religione, alla nazionalità, al particolare gruppo sociale o all’opinione politica, ma unicamente alla protezione sussidiaria riconosciuta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), qualora il giudice di merito – anche previo utilizzo dei poteri di accertamento ufficiosi di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, – abbia fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese d’origine, correrebbe un effettivo rischio di subire un grave danno”.

Là dove, nel caso di specie, il giudice di merito – all’esito di una insindacabile, e del resto neppure sindacata, valutazione di attendibilità ha escluso in radice la sussistenza di un’accusa suscettibile di indurre l’assoggettamento del richiedente, in caso di rientro, alla pena di morte ovvero ad altro trattamento punitivo umanamente degradante (grave danno).

p. 3.2 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2. Per avere il tribunale escluso la protezione umanitaria senza verificare se il prevenuto incontrasse, in caso di rimpatrio, il sacrificio dei propri diritti fondamentali anche per ragioni diverse da quelle poste a base della protezione principale e sussidiaria; in particolare, non si erano effettuate indagini nè “era stato possibile procedere all’audizione dell’interessato”.

La doglianza è infondata.

Si evince infatti dal provvedimento in esame che il giudice di merito ha esaminato anche questo profilo di soggettiva vulnerabilità ai fini della protezione umanitaria; e ciò dopo aver sentito direttamente il richiedente (nuova audizione del 17 aprile 2018, secondo quanto riportato nel decreto con affermazione non smentita).

La valutazione del giudice di merito è stata compiuta con specifico riguardo alla situazione del (OMISSIS).

Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso; nulla si provvede sulle spese, stante la mancata partecipazione al giudizio del ministero.

PQM

– rigetta il ricorso;

– v.to il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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