Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8617 del 26/03/2021

Cassazione civile sez. III, 26/03/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 26/03/2021), n.8617

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32018/19 proposto da:

-) N.N., elettivamente domiciliato a Roma, via Emilio Faà di

Bruno n. 15, difeso dall’avvocato Marta Di Tullio, in virtù di

procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna 16.5.2019 n.

1614;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6

ottobre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. N.N., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese in quanto, essendo di fede musulmana sunnita, sedici anni fa (nel 2004) aveva partecipato ad una manifestazione nella quale si verificarono scontri con persone di fede sciita, nel corso della quale suo padre rimase ucciso. Decise allora di lasciare il (OMISSIS) a causa del timore di persecuzioni e violenze da parte degli sciiti.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento N.N. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Bologna, che la rigettò con ordinanza 21.4.2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza 16.5.2019.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perchè il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 non potesse essere concessa in quanto, a causa della non credibilità del richiedente, non poteva stabilirsi se un eventuale rimpatrio avrebbe potuto comportare la lesione grave dei suoi diritti fondamentali.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da N.N. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo, se pur formalmente unitario, contiene due censure intrecciate.

Con una prima censura (pagine 5-6) il ricorrente sostiene che la Corte d’appello ha errato nel ritenere inattendibile il suo racconto, senza prima rivolgergli domande ad hoc per consentirti di chiarire gli aspetti ritenuti oscuri dal giudicante.

Con una seconda connessa censura (pagine 6-7) il ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe comunque dovuto, prima di reputare inattendibile il racconto del ricorrente, acquisire d’ufficio informazioni concernenti “le specifiche questioni dedotte” dal richiedente asilo, e non limitarsi soltanto ad indagare se in (OMISSIS) esistesse o non esistesse una situazione di conflitto armato.

1.1. La prima censura è infondata.

La Corte d’appello ha formulato un giudizio di inattendibilità ampiamente motivato, e fondato su sette diverse considerazioni, ovvero:

1) la discordanza tra quanto riferito dal richiedente asilo circa gli scontri in cui sarebbe rimasto coinvolto, e le notizie giornalistiche sugli stessi scontri;

2) la inattendibilità di una denuncia di polizia prodotta dal richiedente asilo, alla luce della impossibilità di verificare la rispondenza all’originale, anche alla luce delle informazioni diffuse dalle organizzazioni internazionali, sulla inaffidabilità di tali documenti;

3) la mancanza di certezza sulla stessa identità personale del richiedente asilo;

4) l’incoerenza tra le dichiarazioni rese dal richiedente asilo circa la proporzione numerica e di influenza fra sunniti e sciiti, rispetto alle informazioni riportate al riguardo dai rapporti dell’Onu e dell’EASO;

5) la circostanza che la fede in cui il richiedente asilo ha dichiarato di aderire (sunnita) era quella professata dal 75% della popolazione nella regione di sua provenienza, e che problemi di tutela riguardavano semmai la minoranza sciita, e non la maggioranza sunnita;

6) i fatti erano stati comunque narrati dal richiedente asilo in modo generico e poco chiaro, privo di elementi circostanziali;

7) nonostante tali rilievi fossero stati già compiuti dal tribunale, in grado d’appello il richiedente “non ha cercato di approfondire e chiarire i fatti”.

1.2. La Corte d’appello ha dunque sostanzialmente rispettato il precetto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e del resto la ritenuta incertezza insuperabile circa l’identità stessa del richiedente asilo, sarebbe stata di per sè sufficiente a motivare il rigetto della domanda di protezione.

1.3. La seconda censura contenuta nel primo motivo di ricorso resta assorbita: ed infatti la ritenuta inattendibilità soggettiva del richiedente asilo esonerava la Corte d’appello dal dovere di cooperazione istruttoria.

2. Anche il secondo motivo di ricorso contiene due censure.

Con una prima censura il ricorrente ripropone, sotto altro profilo, la medesima censura contenuta nel primo, con riguardo alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria.

Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare, d’ufficio, se il richiedente asilo era davvero esposto, come da lui denunciato, al rischio di persecuzione da parte di soggetti non statuali (gli appartenenti alla fede sciita), in un contesto nel quale lo Stato non era in grado di fornire protezione.

Con una seconda censura, pure contenuta nel secondo motivo di ricorso, il ricorrente aggiunge che comunque la Corte d’appello avrebbe accertato in modo “sommario” la questione della sussistenza o meno in (OMISSIS) di un conflitto armato.

2.1. La prima censura è infondata: infatti, come già detto, la ritenuta inattendibilità soggettiva del richiedente asilo esonerava la Corte d’appello dal dovere di cooperazione istruttoria.

2.2. La seconda, laconica censura è parimenti infondata, in quanto la Corte d’appello ha escluso la sussistenza in (OMISSIS) di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato richiamando quattro rapporti EASO (dal 2015 al 2018), sicchè l’onere di avvalersi di fonti di informazioni attendibili ed aggiornate risulta certamente assolto; nè il ricorrente indica per quali ragioni i rapporti richiamati dalla Corte d’appello non sarebbero più attuali o sarebbero addirittura erronei.

3. Col terzo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di protezione umanitaria.

Ascrive alla Corte d’appello tre errori:

-) avere trascurato di prendere in considerazione “la condizione di vita e la forte integrazione sociale raggiunta” dal richiedente in Italia (pagina 10, settimo rigo);

-) avere da un lato accertato che nella zona di provenienza del richiedente asilo esistono condizioni di instabilità e conflitto, ed avere dall’altro lato affermato che tali condizioni non hanno rilievo, a causa della inattendibilità soggettiva del richiedente (p. 10, 12 rigo);

-) non avere approfondito la condizione di vulnerabilità del richiedente, derivante dalla “reale mancanza di possibilità di esplicare in (OMISSIS) nemmeno la minima parte di quanto il richiedente ha raggiunto in Italia” (pagina 11).

3.1. Il motivo è fondato.

La Corte d’appello ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari essenzialmente in base a due considerazioni, così riassumibili:

-) poichè il richiedente era inattendibile, “non sono emersi profili di rischio nè di vulnerabilità”;

-) poichè il ricorrente era inattendibile, “mancavano elementi sui quali fondare la comparazione della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine” (così la sentenza d’appello, p. 8, terzo capoverso).

Ambedue queste affermazioni non sono conformi a diritto.

Come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (secondo la disciplina applicabile ratione temporis), può fondarsi tanto su circostanze soggettive (condizioni di salute, età, insuperati traumi psichici), quanto su circostanze oggettive dipendenti dal luogo di provenienza del richiedente.

Le circostanze oggettive che giustificano il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in particolare, consistono nel concreto rischio che, in caso di rimpatrio, il richiedente possa subire gravi violazioni dei propri diritti fondamentali della persona (ad esempio vita, salute, libertà personale). Ed il rischio di violazione dei diritti umani impedisce il rimpatrio di qualunque persona: sincera o mendace, attendibile od inattendibile.

Da ciò consegue che la ritenuta inattendibilità del richiedente non esonera il giudicante dall’onere di accertare comunque – e farlo d’ufficio – se nel Paese e nella regione di sua provenienza sussistano sistematiche violazioni dei diritti fondamentali della persona, tali da esporre quella particolare persona al rischio di una grave violazione dei suddetti diritti.

Ha errato, pertanto, la Corte d’appello, nel ritenere che “anche in considerazione della non credibilità delle dichiarazioni (del richiedente) non sono emersi ulteriori profili di rischio nè di vulnerabilità che giustificano il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni di carattere umanitario”.

Infatti, per quanto detto, le suddette ragioni non necessariamente sarebbero dovute emergere dal vissuto personale del richiedente, ma sarebbero potute discendere altresì dal contesto sociale, politico ed economico del Paese di sua provenienza.

Pertanto la Corte d’appello, una volta esclusa la sussistenza di ragioni soggettive giustificatrici del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non avrebbe potuto arrestare la propria indagine, ma avrebbe dovuto accertare d’ufficio, avvalendosi di fonti attendibili ed aggiornate, se il contesto di provenienza del richiedente fosse o meno tale da esporlo ad una grave violazione dei diritti fondamentali della persona in caso di rimpatrio. Resta solo da aggiungere che, ovviamente, a tal fine non era sufficiente accertare l’insussistenza di un conflitto armato, circostanza ostativa soltanto alla concessione della protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Ed infatti anche un Paese che non sia in guerra potrebbe teoricamente essere funestato da carestie, epidemie o regimi di governo che violino sistematicamente i diritti fondamentali della persona.

Pertanto l’accertata insussistenza nel paese di provenienza del richiedente di una situazione di conflitto non esaurisce il dovere di cooperazione istruttoria da parte dell’organo giudicante.

La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, affinchè proceda al suddetto accertamento officioso, con limitato riferimento all’esame della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il primo ed il secondo motivo di ricorso;

(-) accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2021

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