Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8613 del 15/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 15/04/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 15/04/2011), n.8613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

1. sul ricorso (iscritto al n. 4245/06 di R.G.) proposto da:

(1) il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore, e (2) l’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del

Direttore pro tempore, entrambi elettivamente domiciliati in Roma

alla Via dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale dello

Stato che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

(1) P.E., residente in (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in Roma alla Via dei Monti Paridi n. 48

presso lo studio dell’avv. MARINI Giuseppe che lo rappresenta e

difende, insieme con l’avv. Loris TOSI (del Foro di Venezia), in

forza della “procura” rilasciata a margine del controricorso;

– controricorrente –

(2) la s.p.a. Concessionario UNIRISCOSSIONI, con sede in

(OMISSIS);

– intimata –

2. sul ricorso incidentale (iscritto al n. 6794/06 di R.G.) proposto

da:

P.E., come sopra rappresentato e difeso;

– ricorrente incidentale –

contro

l’AGENZIA delle ENTRATE ed il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle

FINANZE, ut innanzi rappresentati e difesi;

– intimati –

entrambi i ricorsi avverso la sentenza n. 61/24/04 depositata il 23

febbraio 2005 dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 dicembre 2010

dal Cons. Dott. Michele D’ ALONZO;

sentite le difese del P., perorate dall’avv. Ulisse Corea

(delegato);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr.ssa

ZENO Immacolata, la quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e per il rigetto di quello incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato il 23 gennaio 2006 a P.E. (non anche alla s.p.a. Concessionario UNIRISCOSSIONI) e depositato il 13 febbraio 2006), il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE e l’AGENZIA delle ENTRATE – premesso che il P. aveva impugnato la cartella esattoriale “recante un importo … a titolo di INVIM e in ragione di precedente avviso di liquidazione, conseguente a sentenza ormai passata in giudicato”, in forza di un solo motivo, chiedevano di cassare la sentenza n. 61/24/04 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto (depositata il 23 febbraio 2005) che aveva respinto l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (300/09/03) della Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza la quale aveva accolto (“sotto il profilo del difetto di motivazione del provvedimento e del difetto di sottoscrizione”) il ricorso con cui il contribuente aveva eccepito altresì la “nullità” di detto “provvedimento … per omessa indicazione del responsabile del procedimento”.

Nel controricorso notificato (solo) al Ministero ed all’Agenzia il 4 marzo 2006 (depositato il giorno 8 marzo 2006) il P. instava per il rigetto dell’impugnazione e, in ipotesi di accoglimento, anche parziale, della stessa, spiegava ricorso incidentale, fondato su due motivi, avverso la medesima sentenza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare va disposta la riunione ex art. 335 c.p.c., delle due impugnazioni perchè proposte avverso la medesima decisione.

2. Ancora in via preliminare, ma gradata, deve essere rilevata e dichiarata ex officio (essendo quella eccepita dal contribuente fondata sul medesimo rilievo che sarà esaminato per l’Agenzia al punto 7.A., che segue) l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero perchè questo ente non ha nemmeno dedotto di aver preso parte al giudizio di appello nè allegato (e provato) o di essere titolare di un qualche rapporto giuridico che – come costantemente richiesto da questa Corte (Cass.: 2^, 23 agosto 2007 n. 17922; trib., 7 maggio 2007 n. 10341; 3^, 26 gennaio 2006 n. 1692; 2^, 26 gennaio 2006 n. 1507; 2005 n. 965; 2^, 13 settembre 2004 n. 18346; 2^, 29 aprile 2003 n. 6649; 2^, 4 febbraio 2002 n. 1468; 2^, 23 novembre 2001 n. 14910) – lo legittimi, anche al fine di dimostrare la sussistenza del necessario ed imprescindibile interesse (art. 100 c.p.c.), a proporre l’impugnazione.

In proposito, va ricordato che per effetto ed in conseguenza del trasferimento di funzioni e di rapporti inerenti le entrate tributarie dal Ministero (dell’Economia e) delle Finanze alle Agenzie Fiscali (tra cui, l’Agenzia delle Entrate) – le quali ultime sono divenute operative a partire dal primo gennaio 2001 in base al D.M. 28 dicembre 2000, art. 1 – disposto dal titolo quinto, capo secondo, del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, ciascuna Agenzia (1) è succeduta al Ministero nei rapporti, sostanziali e processuali, in corso a quel momento e (2) è divenuta titolare esclusiva dei rapporti tributari (e, pertanto, unica legittimata processualmente) sorti successivamente alla data detta di sua operatività: nel caso, il ricorso introduttivo ha ad oggetto l’impugnazione di una cartella notificata (dice la C.T.R.) l’undici marzo 2003, quindi dopo il primo gennaio 2001 detto, per cui il processo si è svolto sin dall’inizio solo tra l'(Ufficio locale dell’)Agenzia e il contribuente.

3. In terzo luogo si deve constatare a) che il ricorso per cassazione (nonostante l’indicazione della stessa nell’epigrafe di tale atto) non è stato notificato alla spa Concessionario UNIRISCOSSIONE (che ha partecipato alle fasi di merito e spiegato anche appello incidentale) e (b) che il P. non ha proposto (non avendolo neppure indicato nell’afferente atto) la sua impugnazione incidentale nei confronti del medesimo concessionario.

Siffatte carenze, però, sì rivelano prive di effetti processuali perchè, come rettamente statuito dalle sezioni unite (sentenza 25 luglio 2007 n. 16412), “la legittimazione passiva resta in capo all’ente titolare del diritto di credito e non al concessionario” (“il quale, se fatto destinatario dell’impugnazione, dovrà chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non trattandosi nella specie di vizi che riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi”) e tanto “esclude … che il giudice debba ordinare ex officio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non sussiste tra ente creditore e concessionario una fattispecie di litisconsorzio necessario, anche in ragione dell’estraneità del contribuente al rapporto (di responsabilità) tra l’esattore e l’ente impostore”.

4. La Commissione Tributaria Regionale – premesso che: (1) il contribuente ha eccepito “la nullità della cartella” per (a) “mancanza di sottoscrizione”, (b) “mancata indicazione del responsabile del procedimento” e (c) “carenza di motivazione”; (2) il giudice di primo grado ha dichiarato “la nullità della cartella …” perchè “priva” (a) di “motivazione esaustiva” e (b) di “sottoscrizione”; (3) in appello l’Ufficio sostiene … “che i dubbi sulla esecutività del ruolo risultano fugati dai documenti esibiti in primo grado”; (4) “la concessionaria … presenta … appello incidentale” ed “afferma la sua estraneità alla controversia …”;

(5) il P. ha riproposto “i propri argomenti circa l’obbligo” di sottoscrivere e di motivare la cartella, “oltre che di indicare il responsabile del procedimento” – ha rigettato l’appello dell’Ufficio osservando:

– “non è … necessario approfondire il punto della legittimazione processuale dell’Ufficio nella controversia” (“relativa esclusivamente alla cartella, come atto del concessionario”) perchè “l’appello … deve essere respinto”;

– “la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 … prevede che gli atti …

dei concessionari della riscossione debbano tassativamente indicare (tra l’altro) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento”;

– “tali elementi, la cui obbligatorietà discende direttamente dalla espressa e tassativa previsione di legge, vanno dunque necessariamente apposti negli atti del concessionario, senza che eventuali diverse o carenti indicazioni ricavabili dal modello ministeriale di cui al D.M. 28 giugno 1999 possano giustificarne l’omissione”;

– “non possono … sussistere dubbi sulla natura pubblica del rapporto di imposizione, anche nella sua fase della riscossione, pur se questa venga delegata al privato … e sulla assimilabilità della cartella esattoriale ad un atto amministrativo”: “va quindi condiviso … quanto ritenuto dai giudici di prime cure con riferimento al requisito della sottoscrizione”.

Secondo il giudice di appello, quindi, “risultando che la cartella oggetto del contendere non reca alcun contrassegno, autografo, o stampigliato, che consenta di individuare l’autore dell’atto e ne impegni la responsabilità, e neppure l’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile del procedimento, correttamente la impugnata sentenza ne ha ritenuto l’illegittimità e ha concluso per l’accoglimento delle doglianze del ricorrente”.

5. Con il suo ricorso l’Agenzia denunzia “violazione e falsa applicazione” degli “D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 e L. n. 212 del 2000, art. 7” nonchè dei “principi generali in materia di atti amministrativi” esponendo:

– “costituisce diritto vivente il principio secondo cui l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia espressamente prevista dalla legge, essendo di regola sufficiente che dai dati contenuti nello stesso documento sia possibile individuare con certezza l’autorità da cui l’atto proviene (Corte Cost., ord. 13-21 aprile 2000/117)”: “l’art. 25” detto, “nel disciplinare i requisiti della cartella …”, “non elenca in alcun modo quello della sottoscrizione”;

– “l’omessa indicazione del responsabile del procedimento nel provvedimento amministrativo non è causa di illegittimità del provvedimento stesso in quanto in mancanza di espressa individuazione, il responsabile è il dirigente dell’unità organizzativa preposta al procedimento (L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 5), (C.d.S., 6^, 6 maggio 1999/597)”.

6. Il P. – esposto che la “cartella impugnata” riguarda “somme asseritamente dovute ai fini INVIM”: “Euro 9.840,05 a titolo di imposta, Euro 2.706.05, a titolo di interessi ed Euro 2,58 a titolo di diritti di notifica, per una somma complessiva di Euro 12.548,66” – impugna la medesima decisione per due motivi.

A. Con il primo il contribuente – assunto di avere “eccepito”, “fin dal primo grado del giudizio”, che “il provvedimento impugnato è illegittimo anche dal punto di vista della motivazione” – denunzia “nullità della cartella di pagamento per carenza di motivazione” (“violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3”) esponendo:

– “la cartella non reca … indicazioni sufficienti … al fine di verificare la correttezza delle somme iscritte a ruolo, con particolare riferimento alle somme addebitate a titolo di interessi”;

“dall’atto impugnato non risultano, infatti, gli elementi fondamentali utilizzati … al fine di liquidare le somme asseritamene dovute (giorni, tassi d’interesse, imponibile, aliquote, ecc.)”;

– “la pretesa … è altresì illegittima perchè non contiene la ben che minima motivazione circa le ragioni di fatto e di diritto che hanno indotto il concessionario … ad emettere il provvedimento”, “sicchè in nessun modo è consentito al contribuente … di comprendere quale sia stato il percorso logico seguito … per giungere a formalizzare ed a quantificare la pretesa impositiva”;

– la “regola” dell'”obbligo di motivazione” può “essere derogata solo quando la motivazione sia stata integrata dal rinvio ad atti formalmente conosciuti o conoscibili da parte dell’interessato … e non già … quando un simile rinvio addirittura manchi del tutto (come … avvenuto nella … fattispecie)”;

– questa “Corte, con la sentenza 21 febbraio 1985 n. 9173, ha giudicato nulla una cartella … in cui non era riscontrabile l’indicazione dell’imponibile e della all’quota applicata” (“nella cartella impugnata non si riscontra la benchè minima indicazione in merito a tali elementi”);

– alla “tesi della non necessarietà della motivazione della cartella di pagamento” può “riconoscersi un qualche diritto di cittadinanza” solo alla “condizione” che la cartella rappresenti “fedelmente negli importi un precedente atto amministrativo … a cui il contribuente potrebbe fare riferimento”: “nel caso … tale condizione non risulta rispettata dato che da nessun atto precedentemente notificato …

risulta l’intimazione ad adempiere per Euro 12.548,66”.

B. Con l’altro motivo il P. – esposto di avere (a) “eccepito anche in secondo grado” che “l’Ufficio non ha dato la prova dell’esecutività del ruolo” (in particolare: “ruoli resi esecutivi mediante la firma del titolare dell’Agenzia …”) e (b) rilevato (“fin dal primo grado”) che “qualora l’Ufficio … non dimostri che il ruolo è stato reso esecutivo nei modi … descritti, la pretesa deve ritenersi illegittima” – denunzia “violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 11, comma 1, lett. c), e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4” per “mancata dimostrazione da parte dell’Ufficio nel corso dei primi due gradi del giudizio” della “esecutività del ruolo” sostenendo che “la sottoscrizione … di un elenco dei ruoli” non può “implicitamente determinare l’esecutività dei singoli ruoli”.

7. Il ricorso dell’Agenzia è fondato; quello del P., invece, è privo di pregio.

A. L’eccezione di “carenza di legittimazione processuale” dell’Agenzia – dedotta dal contribuente sub specie di “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10”, per essere “l’impugnazione” fondata “sull’asserita insussistenza di vizi della cartella di pagamento” che è “atto emesso dal concessionario della riscossione” – è infondata:

(a) perchè (non essendo stato neppure allegato un intervento spontaneo ed autonomo dell’ufficio periferico della stessa in un giudizio inter alios) la certa partecipazione alla controversia nei gradi di merito di detto ufficio (che ha addirittura proposto l’appello respinto dalla Commissione Tributaria Regionale), tenuto conto della natura impugnatoria propria del processo tributario, deve attribuirsi unicamente alla vocatio in ius dello stesso operata da esso contribuente il quale lo ha così reso partecipe del processo, e (b) perchè l’Agenzia detta, come specificato dalle sezioni unite nella sentenza 25 luglio 2007 n. 16412 (che richiama l'”enunciazione di principi” contenuti, “sia pur in una diversa fattispecie”, in “Cass. n. 11746 del 2004”), è comunque il “titolare del diritto di credito oggetto di contestazione nel giudizio”, essendo il concessionario della riscossione “un (mero) destinatario del pagamento …, o, più precisamente, con riferimento allo schema dell’art. 1188 c.c., comma 1, il soggetto (incaricato dal creditore (c) autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento (v. Cass. n. 21222 del 2006)”.

B. Del pari, si rivela insussistente la carenza di “autosufficienza” del ricorso dell’Agenzia, denunziata dal contribuente, in quanto l’atto di impugnazione – nel quale l’Agenzia denunzia esclusivamente violazioni di norme di diritto – contiene tutti gli elementi, all’uopo imposti dall’art. 366 c.p.c., necessari per comprendere non solo il senso ma anche la rilevanza decisionale delle censure.

C. La fondatezza del primo profilo di ricorso dell’Agenzia (sottoscrizione della cartella di pagamento) discende dal principio (che va ribadito per carenza di argomentazione contraria, neanche adombrata dal contribuente) secondo cui (Cass., trib., 5 maggio 2010 n. 10805, che richiama “Cass., 5^, 14894/2008, e, più di recente, Cass., 5^, 4757/2009”) “la cartella esattoriale, prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, quale documento di riscossione degli importi contenuti nei ruoli, dev’essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero delle finanze che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, essendo sufficiente la sua intestazione per verificare la provenienza nonchè l’indicazione, oltre che della somma da pagare, della causale tramite apposito numero di codice”.

Nella sentenza n. 4757 del 2009, in particolare (con il conforto di “Cass. 4923/07; Cass. 9779/03; Cass. 2390/00”), si è precisato che la “esistenza” (anche) dell'”atto” di riscossione (ivi: “avviso di mora”, come in Cass., trib., 23 febbraio 2010 n. 4283), “come quella di ogni altro atto amministrativo”, “non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che, al di là di questi elementi formali (la cui presenza vale indubbiamente ad agevolarne il riconoscimento), esso sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo:

pertanto, qualora insorga contestazione tra le parti relativamente alla provenienza ed alla regolarità dell’avviso, il giudice è tenuto ad accertare, con apprezzamento di fatto insindacabile in cassazione, la riferibilità dell’atto all’autorità legittimata ad emanarlo”.

In linea generale, peraltro, come evidenziato da Cass., lav. 10 giugno 2009 n. 13375, “questa Corte”, “nel completare un processo di svalorizzazione della sottoscrizione autografa come dichiarazione della provenienza dell’atto dalla persona del titolare dell’organo e come prova scritta di tale provenienza”, “ha avuto modo a più riprese di rilevare la non essenzialità ontologica del requisito della sottoscrizione degli atti amministrativi ai fini della esistenza e validità degli stessi (Cass. sez. 1^, 22.11.2004 n. 21954; Cass. sez. 3^, 5.5.2000 n. 5684; Cass. sez. 7^ 24.9.1997, n. 9394)” atteso che “l’atto amministrativo esiste come atto di un certo tipo se esso proviene dall’organo oggettivamente inteso e reca contrassegni che impegnano la responsabilità della persona titolare dell’organo”: “l’atto amministrativo”, quindi, “esiste come tale allorchè i dati emergenti dal procedimento amministrativo consentano comunque di ritenere la sicura attribuibilità dell’atto a chi deve esserne l’autore secondo le norme positive, salva la facoltà dell’interessato di chiedere al giudice l’accertamento in ordine alla sussistenza, sull’originale del documento notificato, della sottoscrizione del soggetto autorizzato a formare l’atto amministrativo (Cass. sez. 1^, 12.7.2001 n. 4991)”.

D. Il D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4 ter (aggiunto dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31 di conversione) costituisce evidente ed intuibile ragione del fondamento dell’altra censura (indicazione, nella cartella, del responsabile del procedimento) dell’Agenzia: per l’ultimo periodo di tale norma – nella cui parte iniziale si prescrive che “la cartella di pagamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25 e successive modificazioni, contiene, altresì, a pena di nullità, l’indicazione dei responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agii agenti della riscossione” soltanto “a decorrere dal 1 giugno 2008” -, infatti, “la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse”.

La Corte costituzionale (sentenza 27 febbraio 2009 n. 58) – ricordato che (come da essa “affermato … con l’ordinanza n. 377 del 2007”) per la “la previsione” della “L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2” (secondo la quale “gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare, tra l’altro, il responsabile del procedimento”) , “volta ad assicurare la trasparenza amministrativa, l’informazione del cittadino e il suo diritto di difesa”, “la L. n. 212 del 2000 … non precisa gli effetti della violazione dell’obbligo indicato” (“essa, in particolare, a differenza di quanto fa con riferimento ad altre disposizioni, non commina la nullità per la violazione della disposizione indicata”) – ha “dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale” di detto periodo (“sollevata, con riferimento agli artt. 3, 23, 24, 97 e 111 Cost.”) – e, quindi, espressamente escluso (“deve pertanto escludersi”) che “anteriormente all’emanazione di quella disposizione …, alla mancata indicazione del responsabile del procedimento conseguisse la nullità della cartella di pagamento” perchè detta “disposizione … non contiene una norma retroattiva” – osservando:

– “non è violato l’art. 3 Cost., perchè non è manifestamente irragionevole prevedere, a partire da un certo momento, un effetto più grave, rispetto alla disciplina previgente, per la violazione di una norma”;

– “non è violato l’art. 23 Cost., perchè non viene imposta una nuova prestazione e, comunque, come più volte affermato da questa Corte, non esiste un principio di irretroattività della legge tributaria fondato sull’evocato parametro, nè hanno rango costituzionale – neppure come norme interposte – le previsioni della legge n. 212 del 2000 (ordinanze n. 41 del 2008, n. 180 del 2007 e n. 428 del 2006)”;

– “non sono violati gli artt. 24 e 111 Cost., in quanto la disposizione impugnata non incide sulla posizione di chi abbia ricevuto una cartella di pagamento anteriormente al termine da essa indicato”;

– “non è violato, infine, l’art. 97 Cost., il quale non impone la scelta di un particolare regime di invalidità per gli atti privi dell’indicazione del responsabile del procedimento”.

E. Il ricorso incidentale, invece, come anticipato, è privo di pregio.

E.1. In via preliminare va rilevato che entrambe le doglianze del P. hanno ad oggetto “questioni” dell’esame (oltre che soluzione) delle quali non vi è traccia nella sentenza impugnata: il giudice di appello non le ha esaminato avendole (chiaramente) ritenute assorbite dalle altre ragioni di nullità della cartella dallo stesso (sia pure erroneamente, come detto) condivise.

Di conseguenza le censure, poichè non investono nessuna pronuncia (neppure implicita) sfavorevole sul punto, vanno qualificate come mera riproposizione degli afferenti motivi di ricorso, riproposizione intesa (come evidente) ad evitare una qualche pronuncia di “decadenza” D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 56 (“le questioni e le eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale, che non sono specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate”).

Entrambe le questioni, però, pongono, fondamentalmente, un problema di interpretazione delle conferenti norme regolatrici per cui, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. (testo, applicabile alla specie ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 12), vanno esaminate e decise da questa Corte siccome non bisognevoli di ulteriori accertamenti fattuali.

E.2. La prima censura (“la cartella non reca … indicazioni sufficienti … al fine di verificare la correttezza delle somme iscritte a ruolo”) si appunta sul fatto che “dall’atto impugnato non risultano … gli elementi fondamentali utilizzati … al fine di liquidare le somme asseritamene dovute (giorni, tassi d’interesse, imponibile, aliquote, ecc.)”.

Considerato che lo stesso ricorrente indica la “somma complessiva” (“Euro 12.548,66”) richiesta con la cartella impugnata nonchè le ragioni di credito che la compongono (“Euro 9.840,05 a titolo di imposta, Euro 2.706.05, a titolo di interessi ed Euro 2,58 a titolo di diritti di notifica”), la doglianza, in effetti, investe unicamente gli “interessi” ed i “diritti di notifica” perchè l'”imposta” (anche quanto all’ammontare) è quella indicata nell’atto prodromico (che, secondo l’Agenzia ricorrente, è un “precedente avviso di liquidazione”, sul quale è intervenuta “sentenza ormai passata in giudicato”), l’esistenza ed il contenuto del quale non risultano mai nè negati nè contestati dal contribuente.

Ciò precisato, si deve ricordare che per il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20 “… sulle maggiori imposte dovute in base …

all’accertamento d’ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna ai concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al tasso”, inizialmente indicato (in misura del “cinquepercento annuo”) dallo stesso legislatore (per l’anno 1994, dai primi commi dell’art. 13 infra indicato) e, di poi (“a decorrere dal 1 gennaio 1995”), determinato (giusta il D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 13, comma 3, convertito in L. 26 febbraio 1994, n. 133) con “decreto” dell’allora operante “Ministro delle Finanza” (da adottare “di concerto con il Ministro del Tesoro”).

Dalla riprodotta disposizione si ricava:

(1) che il “tasso … annuo” degli interessi è noto e conoscibile perchè determinato con provvedimento generale, e (2) che i limiti temporali di riferimento (dies a quo e dies ad quem) necessari per il calcolo sono anch’ essi fissati in elementi cronologici ben individuati (“giorno successivo a quello di scadenza del pagamento” e “data di consegna … dei ruoli”, rispettivamente).

Va, quindi, ribadito il principio, specificamente affermato “con riferimento all’obbligo di motivazione degli atti tributari, previsto …per la cartella di pagamento (D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12 e 25)”, secondo cui (Cass., trib., 18 dicembre 2009 n. 26671) “nell’ipotesi in cui vengano richiesti gli interessi e le sovrattasse per ritardato o omesso pagamento il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi in questi casi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima”.

Tale principio, mutatis mutandis, è valido anche per la specie in quanto il “richiamo” (contenuto nella cartella) all’atto impositivo divenuto definitivo svolge la stessa funzione della “dichiarazione” quanto alla “condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale”, anche ai fini del controllo (meramente aritmetico) della esattezza delle somme richieste (come nel caso) per “interessi… per ritardato o omesso pagamento” sulle imposte indicate in detto atto impositivo.

Quanto ai “diritti di notifica” è sufficiente ricordare che: (2) la L. 19 aprile 1982, n. 165, art. 3, comma 3, attribuì (“spetta”) ai “messi notificatori speciali comunque autorizzati dagli uffici dipendenti dei Ministero delle finanze per la notificazione degli avvisi e degli atti emanati dagli uffici periferici dell’Amministrazione finanziaria e dalle commissioni tributarie” un “compenso”, a espresso “titolo di rimborso spese”, per “ogni notificazione effettuata”;

(2) la L. 12 luglio 1991, n. 202, art. 4, dopo avere (comma 1) aumentato l’importo di detto “compenso”, ha (a) attribuito all’allora operante “Ministro delle finanze” la facoltà (“può aggiornare”) di “aggiornare, con proprio decreto, il compenso stabilito al comma 1, ogni due anni, in relazione all’andamento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, rilevato dall’Istituto nazionale di statistica” (comma 3) e (b) disposto che “le spese per i compensi di notifica stabiliti al comma 1” nonchè (a) “le spese postati in applicazione della L. 20 novembre 1982, n. 890” e (b) “quelle derivanti dall’applicazione degli artt. 139 e 140 cod. proc. civ., sono ripetibili anche nei confronti dei destinatari di atti ad imposizione diretta ed esigibili tramite ruoli di esazione abbinati alla riscossione dei tributi rettificati con accertamento…” (comma 4);

(3) il D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 12, comma 2 (convertito con modificazioni in L. 24 marzo 1993, n. 75) ha stabilito che “la cartella di pagamento deve indicare, oltre gli elementi indicati nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, anche il diritto di notifica, in favore del concessionario del servizio della riscossione dei tributi, in misura pari a quella di cui alla L. 12 luglio 1991, n. 202, art. 4, comma 1”.

Dalle riprodotte disposizioni (nonchè dalle correlate amministrative di modifica quantitativa dell’importo detto, qui omesse perchè non rilevanti) si deduce che, attesa la fonte legale dell’afferente obbligo, la cartella di pagamento deve solamente indicare l’importo del “diritto di notifica”, senza nessuna ulteriore specificazione e/o precisazione.

E.3. La “violazione” del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – segnatamente, dell’art. 12, comma 4 (“il ruolo è sottoscritto …

dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato”) e “art. 27, comma 1, lett. c)” poi abrogato dal D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, convertito nella L. 31 luglio 2005, n. 156, regolante i “termini di decadenza per l’iscrizione a ruolo” – denunziata dal P. nel secondo motivo della sua impugnazione incidentale, infine, è insussistente.

La tesi sulla quale si fonda la doglianza – per la quale (in sintesi) “la sottoscrizione … di un elenco dei ruoli” non può “implicitamente determinare l’esecutività dei singoli ruoli” – è priva di pregio perchè nessuna norma prevede i “singoli ruoli” evocati dal contribuente.

Il “ruolo” che il “titolare dell’ufficio” (od un “suo delegato”) deve sottoscrivere, infatti, è esclusivamente l’atto definito tale dal medesimo D.P.R. n. 602 del 1973, art. 10, lett. b), il quale dispone, espressis verbis, che “ai fini del presente decreto si intende per:… “ruolo”: l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato … ai fini della riscossione a mezzo del concessionario”.

La nozione giuridica di “ruolo”, ancora, è specificata nell’art. 12, comma 1 del medesimo D.P.R., nel quale si legge (a) che “l’ufficio competente forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano” e (b) che “in ciascun ruolo sono iscritte tutte te somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell’ambito territoriale cui il ruolo si riferisce”.

In base al disposto normativo, quindi, l’atto da sottoscrivere è esclusivamente l'”elenco dei debitori” (con indicazione delle “somme da essi dovute”) “che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell’ambito territoriale” di ogni concessionario della riscossione.

Peraltro va evidenziato che anche per la sottoscrizione del ruolo vale comunque il principio, richiamato innanzi (in fine del punto C), sulla “non essenzialità ontologica del requisito della sottoscrizione degli atti amministrativi ai fini della esistenza e validità degli stessi”.

8. Le spese dell’intero giudizio vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi dell’art. 93 c.p.c., comma 2.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso del Ministero; accoglie il ricorso dell’Agenzia; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso di primo grado del contribuente;

compensa tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011

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