Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 861 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 17/01/2020), n.861

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Nel procedimento n. 21568/18 RG, proposto da:

K.M., el. dom.to in Roma, P.za San Salvatore in Campo 33,

presso lo studio dell’avv. Nicolina Giuseppina Muccio, rappresentato

e difeso dall’avv. Noemi Nappi di Avellino per procura speciale in

atti;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (cf (OMISSIS)), domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso il decreto n. 4327/18 del Tribunale di Bari, depositato il

24.5.18;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2019 dal consigliere Dott. Giacomo Maria Stalla.

Fatto

OSSERVA

p. 1. K.M., n. l'(OMISSIS) propone quattro motivi di ricorso per la cassazione del decreto n. 4327 del 24.5.18, con il quale il Tribunale di Bari – Sezione Immigrazione – ha respinto il ricorso da lui proposto avverso la decisione della competente Commissione Territoriale di rigetto della sua istanza di protezione internazionale: status di rifugiato o, in subordine, protezione sussidiaria o permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Tribunale, previa ricostruzione dei tratti salienti della disciplina giuridica della protezione internazionale nelle sue varie articolazioni, ha in particolare rilevato che:

– infondata era la domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato (art. 10 Cost.; L. n. 722 del 1954 di ratifica della Conv. Ginevra 28.7.51; Dir.CE 2004/83; D.Lgs. n. 251/07), dal momento che lo stesso richiedente aveva “raccontato di aver commesso in Nigeria gravi reati, corredando il tutto con inquietanti e significative fotografie in cui il ricorrente viene ritratto, in bella mostra, imbracciando armi di vario genere insieme ad altri compagni, terroristi incappucciati o a viso diversamente coperto”; in particolare, l’istante aveva riferito di essere clandestinamente in Italia dall’aprile 2009, essendovi giunto, attraverso la Libia, dal Delta State; nel 2007 era entrato a far parte del gruppo terroristico MEND, dotato di armi di vario genere e dedito ad atti vandalici, sequestri di persona, furti ed altri reati; in tale veste egli aveva partecipato, con altri, a diverse e gravi operazioni vandaliche in danno di condotte petrolifere, con furto di petrolio; aveva infine deciso di abbandonare il gruppo ed il paese di origine;

neppure sussistevano, per le stesse ragioni (commissione di gravi reati), i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 16, comma 1, lett. b)), anche considerato che in Nigeria non vi erano condizioni tali da denotare l’esistenza di un pericolo di danno grave per la vita, nè erano state dedotte, se non del tutto genericamente, condizioni di instabilità politica e di compressione delle libertà fondamentali, risultando piuttosto che il richiedente fosse emigrato al solo fine di evitare di essere arrestato per i reati commessi in patria; inoltre, una precedente domanda di protezione era già stata dichiarata inammissibile dal tribunale di Lecce il 10 ottobre 2011 e la presente istanza si limitava a reiterare, senza portare alcun reale elemento di novità, la domanda già rigettata;

quanto alla protezione mediante permesso di soggiorno per ragioni umanitarie (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 30 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6), il richiedente non aveva offerto allegazioni tali da differenziare la sua posizione da quella degli altri concittadini quanto a pregiudizio che egli avrebbe subito in caso di rientro nel paese d’origine; nè elemento di protezione poteva desumersi da solo fatto che egli si trovasse clandestinamente in Italia da circa 10 anni, periodo nel quale non risultava alcun impegno per correttamente inserirsi nel tessuto sociale italiano.

Il Ministero degli Interni ha dichiarato di costituirsi al solo fine dell’eventuale discussione.

p. 2.1 Con i quattro motivi di ricorso si deduce:

– (primo motivo) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 5, per avere il tribunale escluso i presupposti della protezione senza acquisire approfondimenti istruttori sulla situazione nigeriana e sulla sussistenza nel paese di origine del fumus persecutionis;

– (secondo motivo) violazione dell’art. 1 Conv. Ginevra 1951 rat.con L. n. 722 del 1954, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. e) (nonchè vizio di motivazione); per avere il tribunale escluso i presupposti della protezione senza rilevare che il richiedente si era dissociato dal gruppo terroristico MEND (operante quale società segreta al pari degli (OMISSIS)), e che la decisione di fuggire dal paese non derivava dall’intento di sottrarsi alla giustizia nigeriana, bensì dal timore di essere perseguitato dal gruppo medesimo, nella cui black list era inserito;

– (terzo motivo) violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2 lett. g) e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per avere il tribunale escluso, in particolare, la protezione sussidiaria senza acquisire informazioni sulla situazione nel paese d’origine ai fini di accertare la sussistenza del danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14;

(quarto motivo) violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e vizio di motivazione; per avere il tribunale escluso la protezione umanitaria senza effettuare alcun esame comparativo delle condizioni di vita conseguite in Italia dal richiedente (giunto 10 anni or sono ed ivi continuativamente rimasto, a parte un tentativo di rientrare nel giugno 2016) con quelle del paese d’origine.

p. 2.2 I primo motivo è infondato.

Contrariamente a quanto si sostiene, il tribunale ha argomentato sulla situazione in Nigeria (Delta State) indicando le fonti informative del proprio convincimento; all’esito di una determinata valutazione fattuale, ha escluso l’esistenza di un reale pericolo per il richiedente in ragione della sua sola presenza sul territorio.

Ad escludere la dedotta violazione di legge soccorre il costante orientamento di legittimità di cui (tra le innumerevoli) in Cass. 9090/19; 11103/19, con richiamo a CGUE 30 gennaio 2014, C285/12; 18 dicembre 2014, C-542/13.

Infondati sono anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni giuridiche da essi poste (protezione sussidiaria).

Il tribunale ha infatti reso, sul punto, una tipica valutazione fattuale qui non rivedibile, assumendo infine che la protezione sussidiaria trovasse ostacolo insuperabile sia nell’avvenuta commissione di reati gravi e rientranti nella previsione preclusiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 16 sia nel carattere puramente ed inammissibilmente reiterativo assunto dalla presente istanza di protezione rispetto ad altra, già disattesa dal tribunale di Lecce.

Va anzi in proposito osservato come la doglianza in esame neppure si faccia carico del nucleo decisorio fondamentale così adottato dal tribunale, per giunta limitandosi a dedurre una (insussistente) violazione normativa, e non gli eventuali presupposti di una rivisitazione della decisione impugnata nel prisma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Infondato, da ultimo, è anche il quarto motivo di ricorso.

Al contrario di quanto si sostiene, il tribunale ha proprio affermato ai fini della protezione umanitaria – che la sola circostanza della clandestinità decennale in Italia non era titolo di tutela, stante l’assenza di una condizione di vulnerabilità soggettiva e di elementi comprovanti (nonostante la decennale permanenza) un apprezzabile inserimento in Italia, atto anche a fungere da parametro di comparazione (SSUU nn. 29459-60-61/2019).

Ne segue il rigetto del ricorso; nulla si provvede sulle spese, stante la mancata partecipazione al giudizio del Ministero.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso;

v.to il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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