Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8607 del 26/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/03/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 26/03/2021), n.8607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13787-2020 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO, 9,

presso lo studio dell’avvocato EDOARDO SPIGHETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SILVANA GUGLIELMO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2196/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 15/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

TERRUSI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

M.R., originario del Bangladesh, ricorre per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Catanzaro che ne ha respinto il gravame in tema di protezione internazionale;

il Ministero dell’Interno ha depositato un semplice atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, in relazione alla Dir. n. 2013/32-UE, sul rilievo che sia il giudice di primo grado, sia il giudice d’appello, difettando la videoregistrazione del colloquio dinanzi alla commissione territoriale ed essendo stata ritenuta la non credibilità soggettiva, avrebbero dovuto procedere all’audizione;

il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza;

nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente;

tale audizione può essere disposta se nel ricorso in sede giurisdizionale vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti), ovvero se il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente, sempre che il richiedente faccia istanza di audizione precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti; anche in tal caso peraltro l’audizione può esser negata se la domanda sia ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (v. Cass. n. 25312-20, ma anche Cass. n. 21584-20 e Cass. n. 22049-20);

tutto questo, nei giudizi di appello, va naturalmente coordinato col principio devolutivo, donde è necessario che dal ricorso per cassazione emerga che una specifica istanza sia stata in tal senso formulata anche a corredo dei motivi di gravame;

nel caso concreto non risulta dal ricorso, in prospettiva di autosufficienza, che sia stata mai chiesta l’audizione, nè al tribunale nè alla corte d’appello;

II. – coi restanti motivi sono dedotte censure variamente riferibili sia al diniego di protezione sussidiaria, sia al diniego di protezione umanitaria;

specificamente si denunzia: col secondo motivo la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, a proposito del diniego di protezione sussidiaria; col terzo la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in ordine alla valutazione di non credibilità personale; col quarto la violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, per la mancata citazione delle fonti informative ufficiali utilizzate nell’ambito della cooperazione istruttoria; col quinto la connessa violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

col sesto la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, e dell’art. 5 t.u. imm., a proposito del diniego di protezione umanitaria, motivato senza considerazione della situazione dedotta;

III. – tutte queste censure, unitariamente esaminabili perchè nella sostanza proiettate in critica alla motivazione della sentenza quanto al governo delle regole che presidiano i giudizi in questione, sono manifestamente fondate;

IV. – l’impugnata sentenza si dilunga nella descrizione delle condizioni generali del Bangladesh desunte da informazioni “pubblicate da istituti geografici, enciclopedie, organi di stampa, organismi internazionali, associazioni con finalità di tutela di diritti umani”;

la correlata descrizione, così indistintamente riferita, è poi avvinta da considerazioni astratte, che chiunque può fare attingendo a ricerche perfino scolastiche;

la conferma del diniego di protezione sussidiaria risulta poi giustificata da mere clausole di stile, esposte in modo circolare e apodittico, oltre che poco comprensibilmente data l’incompletezza di alcune frasi (“difettano i presupposti per il riconoscimento dello status di posto che le dichiarazioni rese riportano una serie di circostanze che non rientrano tra i presupposti del riconoscimento della protezione internazionale”; “alla luce delle esposte considerazioni deve essere confermato il rigetto della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato anche sotto l’aspetto concernente la protezione sussidiaria”);

V. – ora va precisato che il richiedente, per quanto emerge dal ricorso, aveva allegato una ben precisa esposizione a rischio, potenzialmente rilevante sia sotto il profilo della protezione sussidiaria, sia sotto quello della protezione umanitaria;

egli aveva affermato di essere fuggito dal suo paese dopo una calamità naturale (un’alluvione) nella quale erano andati dispersi i componenti delta sua famiglia e nella quale era andato distrutto il negozio di generi alimentari dal quale traeva sostentamento; di talchè egli era rimasto senza nulla e aveva contratto debiti, che non era riuscito a onorare e per i quali era stato minacciato dai creditori senza ricevere tutela dalle autorità locali;

in questa prospettiva non si può affermare che l’allegazione fosse carente;

VI. – un effettivo vaglio della suddetta situazione è mancato;

questa Corte ha chiarito che in tema di protezione sussidiaria, ai fini dell’accertamento della fondatezza o meno di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare i fatti e la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; a tal fine il giudice è tenuto a indicare specificatamente le fonti ufficiali in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (v. Cass. n. 11312-19, Cass. n. 13449-19, Cass. n. 13897-19 e moltissime altre);

non soddisfa l’onere di cooperazione il giudice del merito che, come nella specie, si limiti a menzionare non meglio precisate fonti geografiche, enciclopediche, di stampa e simili, peraltro di contenuto vago e generico;

nè concretamente si comprende, nella specie, a quale fonte siano da riferire le considerazioni riportate in sentenza nella parte scritta in corsivo;

la manchevolezza ancor più rileva in ordine alla domanda di protezione umanitaria;

che l’allegazione del richiedente fosse sintomatica di una condizione soggettiva almeno astrattamente annoverabile nel concetto di vulnerabilità è cosa del tutto ovvia;

il gravame è stato disatteso senza esaminare l’effettività della condizione detta e senza eseguire alcuna valutazione di tipo comparativo;

la corte d’appello ha sottolineato (a) la mancata allegazione di una situazione di emergenza sanitaria o alimentare nel paese di origine “tale da non offrire alcuna garanzia di vita qualora vi facesse ritorno”; (b) il mancato riscontro nel narrato dell’istante, anche alla luce della non credibilità delle sue dichiarazioni, di concreti e oggettivi elementi sintomatici “di una condizione soggettiva tale da determinare il riconoscimento dell’invocata misura”;

anche in questo caso la motivazione è vaga e parzialmente inconferente;

ai fini della protezione umanitaria non è necessario dedurre che la situazione del paese di origine sia tale da non offrire “garanzie di vita”;

per vagliare la domanda di protezione umanitaria occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (v. Cass. Sez. U n. 29459-19), col fine di stabilire il livello di effettiva vulnerabilità;

la situazione di contingente ed eccezionale calamità, ove posta a base della domanda per i risvolti che ne siano conseguiti, integra una condizione di vulnerabilità;

per quanto dal ricorso si evince, era stato dal richiedente dedotto di aver perduto in Bangladesh ogni bene in conseguenza dell’alluvione, a fronte invece del concreto livello di integrazione nel paese ospitante, con allegazione di documentazione almeno asseritamente attestante l’ottenimento di un lavoro, un certificato di lingua italiana e una locazione di alloggio;

la scarna motivazione della sentenza non consente di stabilire neppure se, e con quale specifico esito, sia stata fatta una valutazione comparativa su tali punti;

VII. – in conclusione il ricorso va accolto in relazione alle censure che vanno dal secondo al sesto motivo;

l’impugnata sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla medesima corte d’appello, in diversa composizione, per nuovo esame;

la corte d’appello si uniformerà ai principi esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi dal secondo al sesto, rigetta il primo, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla corte d’appello di Catanzaro anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2021

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