Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8606 del 07/05/2020

Cassazione civile sez. I, 07/05/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 07/05/2020), n.8606

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10136/2019 proposto da:

T.M., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Giuseppe Brigante, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 13/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/02/2020 dal Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Ancona del 13 febbraio 2019. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente, T.M., proveniente dal (OMISSIS), potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la nullità del decreto per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 1, comma 11, lett. a), e comma 13 e artt. 737,135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6.

Il secondo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Il terzo mezzo lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 32 Cost., L. n. 881 del 1977, art. 11,D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27, 32 e art. 35 bis, comma 11, lett. a) e dell’art. 16 dir. n. 2013/32/UE, nonchè degli artt. 2, 3 di una imprecisata legge, anche in relazione all’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 6, 7 e 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 3, art. 19, comma 2.

Il quarto motivo prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 6 e 13 CEDU, 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 dir. 2013/32/UE.

2. – Il Tribunale ha in sintesi affermato: che il racconto del richiedente non era credibile, non avendo l’odierno istante circostanziato le vicende narrate, essendosi dimostrato incapace di dar conto della denuncia di cui sarebbe stato oggetto, non avendo lo stesso ricorrente fornito alcuna motivazione circa la mancata disponibilità di altri elementi pertinenti al proprio caso e risultando infine le dichiarazioni affette da incoerenza su aspetti principali della vicenda personale dell’istante, come il dissidio in essere tra questi e lo zio per “questioni vagamente ereditarie”; che non emergevano elementi da cui desumere la sussistenza di una grave e individuale minaccia nei confronti del richiedente, giacchè questi aveva riferito di un solo episodio di esposizione al rischio e quanto da lui narrato non era comunque attendibile; che l’attuale ricorrente non aveva allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, nè di appartenere a una minoranza etnica, religiosa o di altro tipo che fosse destinataria di atti di persecuzione; che non emergevano circostanze tali da far ritenere che l’istante potesse essere sottoposto alla pena capitale o a trattamenti inumani e degradanti nel paese di origine; che dalle informazioni acquisite doveva escludersi che nell’area da cui proveniva T. fosse in atto un conflitto armato implicante in grado di violenza talmente generalizzato implicante per i civili residenti un rischio rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; che non si ravvisavano condizioni individuali di elevata vulnerabilità, giacchè ove pure credibili, le vicende descritte dal richiedente non comportavano l’impossibilità di soddisfare i bisogni primari in caso di rimpatrio; che, in ogni caso, nel paese di provenienza non erano segnalati pericoli incidenti sui diritti umani nè il richiedente aveva dato prova di aver intrapreso un percorso di integrazione sociale e lavorativa in Italia.

2.1. – Il primo motivo è infondato.

Il ricorrente denuncia a più riprese, nel corpo del motivo di censura, la carenza argomentativa di cui sarebbe affetto il provvedimento impugnato: e ciò emerge, del resto, fin dalla rubrica dell’articolo, in cui si fa menzione non già di violazioni o false applicazioni di legge, quanto, piuttosto, di un vizio di “nullità del decreto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Come è noto, nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). Il provvedimento impugnato non presenta alcuna di tali radicali carenze: il percorso argomentativo seguito dal Tribunale è perfettamente comprensibile; nonostante l’opposta opinione espressa in ricorso, la motivazione è intellegibile anche nella parte in cui esclude che le dichiarazioni del richiedente possano considerarsi veritiere. Difatti, il giudice di merito, facendo applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ha valorizzato sia la non coerenza, sia la genericità del narrato ed è da sottolineare, al riguardo, come, ai fini che qui interessano, non assuma rilevanza la mera insufficienza di motivazione (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), non essendo lo stesso giudice nemmeno tenuto a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie (Cass. 30 agosto 2019, n. 21881). Nella fattispecie in esame non ricorre nemmeno l’apparenza di motivazione, per tale dovendosi intendere quella motivazione che, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232).

2.2. – Il secondo motivo è inammissibile.

Lamenta l’istante che il Tribunale avrebbe mancato di avvalersi dei propri poteri officiosi con riguardo all’esistenza e al contenuto della denuncia (cui era legato il timore di subire un processo ingiusto in Senegal) e con riguardo all’amministrazione della giustizia in quel paese, oltre che l’acritica adesione del giudice di prime cure alle conclusioni cui era pervenuta la Commissione territoriale.

Le deduzioni svolte non sono riconducibili all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè non ineriscono a un vero e proprio fatto storico, primario o secondario, che il Tribunale abbia omesso di esaminare.

Si osserva comunque, per completezza, che la riscontrata non credibilità della narrazione incentrata sulla denuncia rendeva superflua l’attivazione dei poteri istruttori officiosi. Ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma (Cass. 29 gennaio 2019, n. 2458; Cass. 10 luglio 2014, n. 15782, e in precedenza Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138, secondo cui ove il richiedente non abbia fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se ricorrano le richiamate condizioni). Nel caso in esame, il giudice del merito ha però motivatamente escluso che le dichiarazioni del richiedente potessero ritenersi credibili, evidenziandone la genericità e la contraddittorietà. Il giudizio di non credibilità del racconto rende ingiustificata l’attivazione dei poteri istruttori officiosi, giacchè questi ultimi sono chiamati ad operare “ad integrazione del quadro probatorio prospettato dal richiedente” (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis) e non hanno quindi ragione di essere invocati, con riferimento alle ipotesi del rifugio politico e alle ipotesi di danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b), allorquando i fatti narrati risultino essere, in base ai criteri posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, totalmente privi di riscontro. Ciò vale anche per l’accertamento circa la specifica condizione del richiedente (con riguardo, cioè, al fatto che lo stesso fosse stato effettivamente denunciato e sottoposto, in ipotesi, a procedimento penale). In relazione a tale profilo rileva, del resto, pure l’accertata genericità del racconto: un obbligo di attivazione del giudice del merito nel senso dell’acquisizione di notizie quanto alla condizione particolare del richiedente non può difatti configurarsi laddove la vicenda da questi narrata non sia sufficientemente circostanziata, tale cioè da consentire a quel giudice di identificare le autorità da interpellare, il preciso contenuto dei dati informativi da acquisire, il tempo e il luogo in cui si collocano i fatti o le situazioni prospettati, di cui si intenda ottenere conferma.

Analoga conclusione si impone con riguardo alla lamentata mancata acquisizione di informazioni circa il sistema giudiziario del Senegal: infatti un accertamento al riguardo è superfluo proprio in quanto non vi è modo di collegare il medesimo a una vicenda che possa ritenersi provata (quella incentrata sulla denuncia che lo zio del richiedente avrebbe presentato). Si rammenta, in proposito, che, “la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria ex lett. a) e b) dell’art. 14, escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (Cass. 17 giugno 2018, n. 16925, in motivazione). In altri termini, ove vengano in questione le ipotesi del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275), non vi è ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa con riferimento alla situazione del paese di origine (D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 27, comma 1 bis) se, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, deve escludersi che lo stesso sia esposto al rischio di essere soggetto ad atti persecutori o di subire un danno grave per condanna a morte, esecuzione di pena capitale, tortura, o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante.

2.3. – Il terzo motivo è inammissibile.

Esso consta di plurime censure di violazione della legge sostanziale e processuale trattate confusamente. E’ da rilevare, in proposito, che l’articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate (Cass. 17 marzo 2017, n. 7009); in particolare, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790). Il motivo è inoltre carente di autosufficienza. In esso sembra difatti sia prospettato un vizio processuale per la mancata audizione del ricorrente (anche se la censura è svolta facendo impropriamente riferimento alla giurisprudenza di questa S.C. circa la necessità di procedere alla fissazione dell’udienza in caso di mancata disponibilità della videoregistrazione del colloquio avanti alla commissione territoriale): la doglianza è peraltro svolta senza indicare gli atti del procedimento di merito da cui sarebbe possibile evincere la circostanza della mancata fissazione dell’udienza o della mancata audizione (pagg. 45 ss. del ricorso). Mette conto di rilevare, in proposito, che la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181): la prospettazione di tali errori non esclude, infatti, che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (così Cass. 13 marzo 2018, n. 6014: cfr. pure: Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 8 giugno 2016, n. 11738; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410).

2.4. – Il quarto motivo è inammissibile.

Esso parrebbe lamentare il mancato adempimento, da parte del giudice del merito, del dovere di cooperazione istruttoria. La censura, oltre ad essere del tutto generica, manca di misurarsi col provvedimento impugnato, il quale reca una puntuale ricognizione della situazione del Senegal, specificamente attuata, secondo quanto si legge nel provvedimento impugnato (pag. 3), in conformità dell’art. 8.2 della dir. 2011/95/UE circa il compito dello stato membro di acquisire informazioni precise e aggiornate da fonti pertinenti quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Ufficio Europeo di sostegno per l’asilo: ricognizione condotta all’evidente scopo di rendere una decisione sulla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Il ricorrente manca, del resto, finanche di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso. Quanto alle informazioni circa la denuncia che sarebbe stata presentata dallo zio del ricorrente e al sistema giudiziario del Senegal – profilo, questo, che nel corpo del motivo non è, per la verità, nemmeno affrontato – valgono, all’evidenza, le considerazioni già svolte nel trattare il secondo motivo.

3. – Il ricorso è conclusivamente respinto.

4. – Non avendo il Ministero svolto vere e proprie difese, non vi sono spese da liquidare in favore della parte vittoriosa in giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2020

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