Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8603 del 07/05/2020

Cassazione civile sez. I, 07/05/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 07/05/2020), n.8603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10249/2019 proposto da:

O.T., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Luigi

Boccherini n. 3, presso lo studio dell’avvocato Paolo Spacchetti,

che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2789/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 3/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/01/2020 dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Ancona, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di protezione internazionale proposta da O.T., cittadino (OMISSIS), proveniente dalla città di (OMISSIS).

A sostegno della decisione ha affermato che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento nè della protezione maggiore, nè della protezione umanitaria.

Quanto al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ha rilevato che i risultati dell’indagine condotta dalla Commissione territoriale e dal Tribunale consentivano di escludere che il richiedente potesse subire, in ipotesi di rimpatrio, alcuna delle persecuzioni previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 o alcuno dei danni gravi previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, posto che l’allegata omosessualità, praticata nel proprio Paese di origine ed indicata come condizione personale idonea ad esporlo quanto meno ad un trattamento inumano o degradante, non aveva trovato alcun riscontro probatorio, in considerazione della scarsa credibilità del richiedente e della marcata inattendibilità delle sue dichiarazioni (agevolmente desumibile, tra l’altro, dalla evidente mancanza di genuinità della copia del giornale nigeriano “(OMISSIS)” del (OMISSIS)), come anche il danno grave derivante dall’esposizione alla violenza generalizzata discendente da una situazione di conflitto interno presente nel Paese di origine – peraltro neppure allegato dal richiedente in sede di audizione davanti alla Commissione territoriale -, posto che le informazioni sulla regione di (OMISSIS), desunte dal sito internet del Ministero dell’interno (segnatamente quelle riferite al 2018), escludevano che in essa sussistesse una situazione di conflitto interno o di violenza generalizzata, segnalandosi soltanto episodi di criminalità comune.

Quanto alla protezione umanitaria, ha evidenziato che i seri motivi atti a giustificarne il riconoscimento, non emergevano dalla situazione del Paese di origine e che nulla di ulteriore, quanto alla sua situazione soggettiva, era stato allegato dal ricorrente, non reputandosi sufficiente, ai fini della prova della conseguita integrazione nel Paese ospitante, il contratto di lavoro a tempo determinato versato in atti.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il menzionato cittadino straniero, affidando l’impugnativa a quattro motivi.

– Il primo motivo censura la motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia: segnatamente sulla condizione di omosessualità del richiedente, come suscettibile di esporlo ad un reale pericolo per la propria incolumità in caso di rimpatrio, e sulla situazione bellica esistente in Nigeria.

– Il secondo motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in riferimento alla ritenuta mancanza di credibilità del richiedente e di attendibilità del suo racconto in riferimento all’allegata condizione di omosessualità sulla base di un estratto di un sito internet riguardante la condizione generale della regione di origine del richiedente protezione e non il trattamento riservato in Nigeria agli omosessuali.

– Il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’apprezzamento delle condizioni sociopolitiche del Paese di origine del ricorrente.

– Il quarto motivo censura il mancato riconoscimento della protezione umanitaria in favore del ricorrente, in ragione della violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, avendo la Corte territoriale omesso di considerare la ben grama situazione in cui si verrebbe a trovare il richiedente, ove reimmesso privo di risorse economiche, con una scarsa istruzione e senza una famiglia su cui poter contare – in un contesto sociale caratterizzato da instabilità ed insicurezza e con l’aggravante di essere omosessuale.

3. Si è costituito il Ministero dell’Interno ed ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

1. Il primo motivo è carente di specificità, in considerazione dei limiti del sindacato di legittimità della Corte di Cassazione in relazione all’accertamento dei fatti, e, comunque, manifestamente infondato.

1.1. Invero le doglianze in esso articolate sono sviluppate in spregio all’insegnamento impartito dal diritto vivente secondo cui:” L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831).

Al lume di tale regula iuris, occorre prendere atto che, in assenza di specifica indicazione dei fatti storici sui quali sarebbe caduta l’omessa valutazione della Corte di appello, nonchè della loro decisività, il dissenso articolato nel motivo in ordine alle valutazioni compiute dal Collegio di merito in punto di apprezzamento delle dichiarazioni del richiedente protezione in riferimento all’allegata sua omosessualità, nonchè in punto di apprezzamento della situazione interna del Paese di origine del richiedente protezione si risolve in un alternativo apprezzamento del materiale istruttorio, insindacabile in questa sede perchè riportato in una motivazione che ha dato conto dei criteri seguiti in termini giuridicamente corretti e logicamente plausibili (Sez. 6 – 1, n. 4892 del 19/02/2019, Rv. 652755 – 01; Sez. 1 -, n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226 – 03; Sez. 6 – 1, n. 32064 del 12/12/2018, Rv. 652087).

1.2. Giova, peraltro, rammentare che, sempre secondo il diritto vivente, la norma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che qualifica appunto come vizio denunciabile con il ricorso per cassazione l’omesso esame di un fatto decisivo, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Alla stregua, dunque, di tale autorevole indicazione direttiva, deve evidenziarsi che il fatto riguardante il pericolo concreto corso dal ricorrente in ipotesi di suo rientro in Nigeria di essere sottoposto a persecuzioni o a un trattamento inumano o degradante, documentato attraverso la copia del giornale nigeriano “(OMISSIS)”, è stato, comunque, preso in considerazione dalla Corte di appello, ancorchè con esiti giudicati insoddisfacenti dal ricorrente.

2. Il secondo motivo è inammissibile per genericità.

2.1. Questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di protezione internazionale, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente deve essere svolta alla stregua dei criteri stabiliti nell’art. 3, comma 5, D.Lgs. n. 251 del 2007 (verifica dell’effettuazione di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; deduzione di un’idonea motivazione sull’assenza di riscontri oggettivi; non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese; presentazione tempestiva della domanda; attendibilità intrinseca), non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, e l’acquisizione delle informazioni sul contesto socio politico del paese di rientro deve avvenire in correlazione con i motivi di persecuzione o di pericoli dedotti, sulla base delle fonti di informazione indicate nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ed in mancanza, o ad integrazione di esse, mediante l’acquisizione di altri canali informativi, dando conto delle ragioni della scelta (Sez. 6 – 1, n. 16202 del 24/09/2012, Rv. 623728 – 01).

Tuttavia, nell’ipotesi al vaglio, mentre la Corte di appello ha diffusamente argomentato in ordine alle circostanze di fatto suscettibili di rendere del tutto generico ed inverosimile il racconto del richiedente – con riguardo alla sua condizione di omosessualità e alle vicissitudini cui era andato incontro in ragione di esse nel suo Pese di origine -, i rilievi formulati dal ricorrente in ordine alla denunciata violazione di legge nella quale sarebbe incorso il giudice censurato nell’apprezzamento della detta condizione personale si appalesano del tutto privi di congruenza e pertinenza. Donde gli stessi, lungi dall’illustrare in che cosa si sarebbe concretamente sostanziata l’errata applicazione della norma evocata, si risolvono al più in una mera istanza di rivisitazione della quaestio facti esaminata dal giudice di merito, non censurabile in cassazione se non nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Sez. 1 -, n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674 – 01; Sez. 1 -, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01): norma questa non evocata nell’articolazione del motivo, limitatosi a denunciare la violazione di legge.

2. Il terzo motivo pecca di aspecificità.

Nulla, invero, è stato allegato in ricorso per contrastare l’affermazione contenuta in sentenza – che pure ha ad abundantiam esaminato il profilo della presenza nella regione nigeriana di (OMISSIS) di una situazione di conflitto armato interno e di violenza generalizzata, giungendo ad escluderla dopo avere compulsato una fonte qualificata quale quella del Ministero dell’interno (Ndr: testo originale non comprensibile)) – secondo la quale il danno grave scaturente dall’esposizione alla violenza generalizzata derivante da una situazione di conflitto interno presente nel Paese di origine non era stato neppure allegato dal richiedente in sede di audizione davanti alla Commissione territoriale.

4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.

I rilievi cui esso è affidato risultano, infatti, privi di qualunque riferimento all’ermeneusi della norma di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, offerta da questa Corte regolatrice (Sez. 1 -, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01; Sez. 6 – 1, n. 17072 del 28/06/2018, Rv. 649648 – 01), che, di recente, ha trovato l’autorevole avallo del Supremo Collegio nomofilattico (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 02): interpretazione, secondo la quale, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbiano rilievo, quindi, il livello di integrazione raggiunto in Italia o l’eventuale condizione di vulnerabilità allegata, quali elementi isolatamente ed astrattamente considerati. Poichè, infatti, il fine dell’indagine da compiersi è quello di verificare se il rimpatrio possa determinare per il richiedente la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in riferimento alla concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio.

5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e il doppio contributo deve essere versato se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito. Il doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, andrà versato dal ricorrente ove ne ricorrano i presupposti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2020

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