Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8601 del 03/04/2017

Cassazione civile, sez. lav., 03/04/2017, (ud. 14/12/2016, dep.03/04/2017),  n. 8601

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6146/2015 proposto da:

P.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ISOLA CAPO VERDE 26 – OSTIA, presso lo studio dell’avvocato

ALFONSO DI BENEDETTO, che lo rappresenta e difende giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

ENAC – ENTE NAZIONALE PER L’AVIAZIONE CIVILE, C.F. (OMISSIS) in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

AEROPORTI DI ROMA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO

LEOPOLDO FREGOLI 8, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO SALONIA,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5156/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/09/2014 r.g.n. 8658/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Consigliere Dott. udito l’Avvocato ATTILIO BIAVA per

delega verbale Avvocato ALFONSO DI BENEDETTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma, riformando solo in punto di spese la decisione di merito del tribunale di Civitavecchia che confermava per la restante parte, ha ritenuto infondata la domanda di P.C., capo squadra magazzino della società Aeroporti di Roma spa diretta a far accertare la condanna della società al pagamento di complessivi Euro 809.000,00 a titolo di risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., conseguenti all’illegittimo licenziamento, comminatogli in 3.12.2004, dopo avergli contestato di essersi impossessato di merce proveniente dal magazzino Duty free adR, in concessione a privati.

In primo grado il P. aveva dedotto che la vicenda penale instauratasi a seguito al suo arresto si era conclusa con sentenza del tribunale di Civitavecchia dell’11.7.2007, di assoluzione con formula piena per insussistenza del fatto e che, sebbene il licenziamento non fosse stato impugnato nei sessanta giorni ai sensi della L. n. 604 del 1966, era comunque consentita l’azione risarcitoria dei danni subiti a seguito del licenziamento, stante la mancanza di qualsiasi responsabilità a suo carico.

La Corte d’appello ha evidenziato che la sentenza di primo grado aveva posto in rilievo come le domande del P. non fossero diverse da quelle che avrebbero fondato un normale ricorso d’impugnativa del licenziamento e che quindi dovessero ritenersi precluse. Ha ancora rilevato la Corte che non era stata neanche censurata dall’appellante la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva escluso che si potesse ritenere che il licenziamento fosse ingiurioso, quindi fonte di danni perchè lesivo della sua dignità, non potendosi ritenerne specifica e idonea censura della motivazione il solo richiamo fatto dall’appellante al furto come notizia falsa, costituente evento lesivo, che gli aveva impedito di reperire altra occupazione e ciò anche tenendo conto che si faceva riferimento ad una sentenza intervenuta a distanza di tre anni dal licenziamento.

Ha proposto ricorso il P. affidato ad un unico motivo.

Hanno resistito con controricorso Aeroporti Di Roma spa ed Enac. Aeroporti Di Roma spa ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente ha lamentato in particolare la violazione dell’art. 2059 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, rilevando che, pur volendo seguire il ragionamento della corte territoriale, secondo cui sarebbe inapplicabile l’art. 2043 c.c., i giudici sia di primo che di secondo grado avrebbero omesso di valutare il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 c.c.. Non sarebbe infatti stata mai analizzata la vicenda penale che aveva avuto ad oggetto lo stesso fatto contestato in sede di procedimento disciplinare, ossia l’impossessamento di merce proveniente dal duty free ed in particolare l’assoluzione con formula piena ai sensi dell’art. 530 c.p.p. “perchè il fatto non sussiste”, disposta dal Tribunale di Civitavecchia con la sentenza 11.7.2007. Tale assoluzione piena avrebbe dovuto comportare la riassunzione del ricorrente e, in difetto, il risarcimento del danno, come richiesto, perchè comunque vi sarebbero state conseguenze dannose per un licenziamento ingiusto, rinvenibili negli artt. 4 e 32 Cost..

Il motivo di profila in realtà inammissibile.

Il ricorrente si limita esclusivamente a lamentare la mancata valutazione da parte della corte di merito delle conseguenze della sentenza penale assolutoria, che ha accertato l’insussistenza del fatto. Secondo l’assunto del ricorrente tale decisione, avendo deciso in maniera contrastante alla valutazione dei fatti contestati dalla datrice di lavoro e posti a fondamento del licenziamento, costituirebbe il presupposto per il riconoscimento dei danni non patrimoniali.

La Corte d’Appello aveva osservato che il primo giudice aveva posto in rilievo come le allegazioni e le domande non erano diverse da quelle che avrebbero fondato una normale impugnativa di licenziamento e che quindi dovevano oramai ritenersi precluse; che l’appellante non aveva mosso alcuna censura specifica al ragionamento del Tribunale, come anche alcuna censura specifica era stata mossa al passaggio della sentenza in cui il primo giudice aveva escluso altresì che il licenziamento potesse ritenersi ingiurioso.

La Corte ha poi rilevato che non solo non erano state neanche censurate le ragioni della decisione di primo grado, ma che si era fatto riferimento ad un evento successivo, la sentenza penale, intervenuta a distanza di tre anni dal licenziamento, senza tener conto della circostanze e delle conoscenza che delle stesse aveva potuto avere la società.

Il ricorrente a ben vedere non ha nè individuato con precisione le statuizioni concretamente impugnate, ma neanche ha svolto argomentazioni dirette a confutare la validità delle ragioni poste dalla Corte a fondamento della decisione adottata, con argomentazioni di diritto che consentano di individuare il contrasto tra le affermazioni contenute nella sentenza impugnata e la norma che dovrebbe regolare la fattispecie dedotta in giudizio. In altri termini la doglianza appare alquanto generica, basata su una critica della sentenza che non giustifica il perchè dell’erroneità della scelta fatta dalla Corte.

Ma comunque il motivo è infondato.

Ed infatti non ha errato la sentenza impugnata laddove ha rilevato che la causa petendi della domanda risarcitoria non poteva essere confusa con quella relativa alla domanda di accertamento dell’illegittimità del licenziamento, azione preclusa dall’ intervenuta decadenza per mancata impugnazione entro il termine di 60 giorni di cui alla L. n. 604 del 1966. Nel caso in esame il ricorrente lamenta in realtà che il fatto contestato dalla datrice di lavoro era stato accertato come non sussistente dalla sentenza penale e ritiene ciò sufficiente per sostenere l’illegittimità della condotta della società, estrinsecatasi appunto nel licenziamento.

Non a caso il danno risarcibile richiesto era stato individuato ai sensi dell’art. 2043 c.c., in una somma parametrata anche alle retribuzioni non percepite. Ma tale confusione si percepisce anche da quanto asserito dal ricorrente nel ricorso per cassazione dove si precisa che: “la naturale conseguenza dell’assoluzione doveva essere la riassunzione, in difetto il risarcimento causato dalla perdita del lavoro”.

Tuttavia non soltanto non può effettuarsi una automatica equiparazione del fatto reato con l’illecito disciplinare, ma soprattutto il ricorso è carente di qualsiasi allegazione, che andava effettuata nel giudizio di merito, in ordine al danno non patrimoniale diverso da quello patrimoniale previsto dalla normativa sui licenziamenti, che fosse derivato dalla “ingiustizia” del licenziamento, in termini appunto di atto ingiurioso.

Il ricorso deve pertanto essere respinto.

Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Si dà atto che allo stato non sussistono gli estremi per porre a carico del ricorrente l’obbligo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater e successive modifiche, trattandosi di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 126 del citato D.P.R..

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 4000,00 per compensi, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge in favore di Aeroporti di Roma; in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 1500,00 per compensi, oltre accessori di legge in favore di Enac.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2017

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