Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8599 del 26/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/03/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 26/03/2021), n.8599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24938-2018 proposto da:

M.M., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, SALITA DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 1/B, presso lo studio

dell’avvocato DOMENICO NASO, rappresentati e difesi dall’avvocato

CRISTIANO DALLA TORRE;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DDLL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente

contro

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL VENETO, UFFICIO SCOLASTICO

PROVINCIALE DI VERONA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 943/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 20/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/01/2021 dal Presidente Relatore Dott. DORONZO

ADRIANA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza pubblicata in data 20/2/2018, la Corte d’appello di Venezia ha accolto l’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e, per l’effetto, in riforma della sentenza resa dal Tribunale tra l’appellante e M.M. e altri litisconsorti, ha rigettato le domande proposte dagli appellati, aventi ad oggetto il risarcimento del danno derivante dalla illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato stipulati con il Ministero per lo svolgimento delle funzioni di collaboratori scolastici o di docenti.

A fondamento del decisum, per quanto qui ancora d’interesse, la Corte territoriale ha ritenuto che – indipendentemente dalla individuazione dei singoli periodi in cui i dipendenti avevano svolto supplenze su posti di organico di diritto e/o di organico di fatto – era assorbente il rilievo che essi fossero stati stabilizzate attraverso l’operare degli strumenti selettivi e concorsuali, ovvero ai sensi della L. n. 107 del 2015, art. 1; che, in forza dei principi espressi da questa Corte nella sentenza n. 27563/2016 (punti 118-125), e nelle numerose altre pure citate, l’intervenuta stabilizzazione era idonea a sanzionare debitamente l’abuso e a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’unione, e, quindi, a riparare tutti i danni riferibili all’illegittima reiterazione dei contratti a tempo determinato, in difetto di specifiche allegazioni circa l’esistenza di danni ulteriori, diversi da quelli esclusi dall’immissione in ruolo, nonchè circa il ricorso, da parte del ministero, ad un uso improprio o distorto delle assunzioni a termine. Per le medesime ragioni, ha rigettato l’appello incidentale proposto dai dipendenti volto ad ottenere la condanna del Ministero al pagamento delle differenze retributive, ritenendo tale domanda fondata sulla violazione della clausola 5 dell’accordo quadro e, quindi, le differenze retributive richieste a titolo di risarcimento del danno per l’abusiva reiterazione dei contratti, non anche in applicazione del principio di non discriminazione ai sensi della clausola 4 dell’Accordo quadro.

Contro la sentenza, i ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di una pluralità di motivi; il Ministero ha resistito con controricorso, mentre gli uffici scolastici regionale e provinciale non hanno svolto attività difensiva.

La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

In prossimità dell’adunanza, i ricorrenti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce l’estinzione del procedimento di appello per tardiva riassunzione, per violazione, falsa ed erronea applicazione dell’art. 297 c.p.c., dell’art. 298c.p.c., comma 1, e dell’art. 307 c.p.c., comma 4, nonchè la nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 307 c.p.c. cit.: espone che la Corte veneziana, a seguito dell’ordinanza della Corte costituzionale, con cui era stata sollevata questione di pregiudizialità dinanzi alla Corte di Giustizia Europea, aveva sospeso il procedimento sino alla pubblicazione della sentenza della Corte di giustizia, intervenuta il 26/11/2014; con ordinanza del 10/12/2014, resa fuori udienza, la Corte d’appello aveva modificato la detta ordinanza e sospeso il giudizio fino alla pronuncia della Corte costituzionale; reputa tale provvedimento radicalmente nullo perchè durante la sospensione del processo non possono essere compiuti atti del procedimento (salvo quelli cautelari e di istruzione preventiva), con l’ulteriore conseguenza che l’Avvocatura dello Stato avrebbe dovuto riassumere il processo nel termine imposto dall’art. 307 c.p.c., considerando come dies a quo la data di pubblicazione della sentenza pregiudicante; la mancata tempestiva riassunzione del processo aveva comportato l’estinzione del giudizio, da dichiararsi anche d’ufficio.

2.- Con il secondo motivo, parte ricorrente deduce l’estinzione del procedimento di appello per il mancato tempestivo deposito dell’atto di riassunzione del processo dopo la sua sospensione: si osserva che, dopo la pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, l’Avvocatura distrettuale dello Stato aveva depositato l’atto di riassunzione in modalità cartacea, in violazione di quanto disposto dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 bis, comma 9 ter, convertito con modificazioni nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, a norma del quale l’atto, avendo natura endoprocedimentale, deve essere depositato esclusivamente in via telematica.

3.- Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte ricorrente deduce “Violazione, falsa ed erronea applicazione delle nonne di legge in tema di diritto al risarcimento del danno nella misura e secondo i principi affetinati nella sentenza della Corte di Cassazione Sez. Un. 5072/2016 in favore dei docenti e del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario in ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine stipulati ai sensi della L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 1, avveratisi a far data dal 10 luglio 2001. – Violazione falsa ed erronea applicazione del “principio di equivalenza” e del “principio di effettività della tutela””.

4.- Il successivo motivo è incentrato “Sulla questione pregiudiziale Europea circa la conformità alla Direttiva Europea 1999/70/CE dell’esclusione della misura risarcitoria/indennitaria per sanzionare l’abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato in presenza dell’immissione in ruolo per effetto di scorrimento delle graduatorie”.

5.- Con il quinto motivo, parte ricorrente deduce la “Illegittimità costituzionale dell’esclusione della misura risarcitoria/indennitaria per sanzionare l’abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato in presenza dell’immissione in ruolo per effetto di scorrimento delle graduatorie: ai sensi dell’art. 3 Cost. (principio di eguaglianza), ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione alla Clausola 5, punto 1, dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva Europea 1999/70/CE, (principio di equivalenza – principio di effettività), ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Carta Europea dei diritti dell’Uomo”.

6.- Con il sesto motivo, a sua volta ripartito in cinque punti, si denuncia a) la violazione, la falsa ed erronea applicazione delle nonne di legge riguardanti a1) il diritto all’integrale risarcimento dei danni, l’accertamento e la liquidazione del danno (art. 115 c.p.c., art. 2727 c.c.), a2) l’interpretazione della domanda e l’onere della prova (artt. 112 e 115 c.p.c.), b) la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per motivazione apparente con riferimento al (negato) diritto al riconoscimento delle differenze retributive e contributive, c) l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, d) l’illegittima esclusione del risarcimento dei danni ulteriori e diversi rispetto a quelli risarciti con la stabilizzazione.

7.- Con il settimo motivo, si censura la sentenza per “violazione, falsa ed erronea applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli art. 1362 c.c. e ss., per aver illegittimamente escluso il diritto al pagamento delle differenze retributive, contributive e delle indennità dovute a causa ed in conseguenza dei continui contratti a termine”.

8. Il primo motivo è inammissibile. La parte ricorrente, pur deducendo un error in procedendo rispetto al quale questa Corte è giudice anche del fatto processuale, non assolve gli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, a tenore del quale la parte è tenuta a trascrivere in tutto o in parte gli atti processuali su cui il ricorso si fonda (Cass. Sez. Un. 8077/2012); nella specie, era tenuta a trascrivere, quantomeno nei passi salienti, tanto l’ordinanza del 2/10/2014 quanto quella adottata in data 10/12/2014.

Il motivo di ricorso, inoltre, non tiene conto nè scalfisce la ratio decidendi della Corte territoriale – dinanzi alla quale, pure, l’eccezione di estinzione era stata sollevata e poi rinunciata dallo stesso difensore – la quale ha rigettato l’ha rigettata sul rilievo che le parti avevano concordato volontariamente la sospensione del processo ai sensi dell’art. 296 c.p.c., in attesa della decisione della Corte Costituzionale, e tale concorde volontà emergeva dai documenti in atti, oltre che dal verbale di udienza (pag. 5 della sentenza).

Per completezza, va ricordato che il potere di sospensione del processo, in attesa della definizione di altro giudizio di carattere pregiudiziale, anche dopo le modifiche apportate all’art. 295 c.p.c. dalla L. 26 novembre 1990, n. 353 (art. 35), va esercitato di ufficio dal giudice, indipendentemente dall’iniziativa delle parti, e il riscontro del carattere di pregiudizialità costituisce una valutazione di merito non suscettibile di sindacato in sede di legittimità (Cass. 04/05/2006, n. 10268; Cass. 29/03/2005, n. 65721; Cass. 26/09/2019, n. 23989).

9. Il secondo motivo è manifestamente infondato. L’atto in riassunzione compiuto dal Ministero in difformità dal modello legale si risolve in una mera irregolarità che non comporta nullità in mancanza di espressa comminatoria ex art. 156 c.p.c., comma 1.

Al riguardo si richiamano i principi già espressi da questa Corte nelle numerose ordinanze in cui è stato prospettato lo stesso motivo di estinzione (per tutte, Cass. 11/2/2021, n. 3417). Nè è ravvisabile alcun contrasto tra queste pronunce e la sentenza n. 15771/2020, citata dai ricorrenti nella memoria ex art. 380 bis c.p.c. (con la quale si sollecita la trattazione della causa in pubblica udienza), stante l’oggettiva diversità delle fattispecie, considerato che la difformità dal modello legale riguardava, in quella vicenda, un atto di impugnazione ritenuto tardivo perchè eseguito con modalità telematiche, nella specie non applicabili e comunque non rispettose delle formalità prescritte dalla legge (punto 2.3. e 2.4. della sentenza).

10. Il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso appaiono inammissibili ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, avendo la Corte territoriale deciso la questione in diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi non induce ad un suo mutamento, nè ad una nuova rimessione delle questioni alla Corte costituzionale ovvero alla Corte di giustizia. Al riguardo si richiamano i principi già espressi da questa Corte (da ultimo, n. 3417/2021) ai quali si intende dare continuità ed alle cui motivazione si rinvia, anche ai sensi dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.

11. Il sesto motivo è del pari inammissibile.

Anche questo motivo è stato oggetto di esame da parte di questa Corte da ultimo con la ordinanza n. 3417/2021 cit. (che a sua volta richiama Cass. n. 489/2021), alla quale si rinvia integralmente non ravvisandosi negli atti difensivi dei ricorrenti elementi idonei a determinare un ripensamento dei principi in essa affermati.

11.1.- Nel caso in esame, al pari di quello esaminato nell’ordinanza citata, la Corte territoriale ha ritenuto generiche e comunque non provate le allegazioni dei ricorrenti circa i danni ulteriori rispetto a quelli riparati dall’intervenuta stabilizzazione; ha altresì escluso che vi sia stata allegazione di un uso improprio o distorto, da parte del Ministero, della tipologia delle supplenze su organico di fatto temporanee.

11.2. Il motivo è nella sua complessità inidoneo a scalfire queste affermazioni, presentando evidenti profili di inammissibilità oltre che di infondatezza, sia per la promiscuità e la mescolanza dei motivi, sia con riguardo alla violazione di legge prospettata con riferimento ad una pluralità di norme, senza che risultino indicate con chiarezza le affermazioni della sentenza in contrasto con le norme di legge indicate.

E’ inconferente il richiamo all’art. 112 c.p.c., giacchè non vi è stata alcuna omessa pronuncia (o extra o ultra petizione), ma solo una interpretazione della domanda, non denunciabile ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. (Cass. 11/10/2019, n. 25690).

11.3.- Quanto al vizio di omesso esame di fatti decisivi, anch’esso è inammissibile, non risultando indicato quale sia il fatto – principale o secondario – di cui si predica la decisività e la cui valutazione sarebbe stata del tutto omessa, non potendo rientrare nella nozione di “fatto” la valutazione compiuta dal giudice degli atti processuali.

11.4. La ritenuta genericità delle allegazioni assorbe ogni ulteriore valutazione circa la presunta violazione dell’art. 1226 c.c., giacchè il ricorso alla liquidazione in via equitativa presuppone già assolto l’onere della parte di dimostrare sia la sussistenza sia l’entità materiale del danno (Cass. n. 16202 del 2002; Cass. n. 13288 del 2007; Cass. n. 28742/2018). Onere nella specie non assolto.

11.5. Neppure è ravvisabile un’ipotesi di nullità della sentenza perchè la motivazione è fisicamente (oltre che logicamente ed esaustivamente) esistente, non presenta alcuna incongruenza o illogicità, peraltro neppure indicata dai ricorrenti (cfr. Cass. Sez. Un. 8053/2014).

12. Il settimo motivo è del pari inammissibile.

I ricorrenti assumono di aver proposto fin dal primo grado la domanda volta ad ottenere il pagamento delle retribuzioni e delle indennità spettanti ai lavoratori a tempo determinato in forza del principio di non discriminazione e che su tale domanda il tribunale aveva omesso ogni pronuncia.

12.1. Il motivo difetta di autosufficienza, dal momento che la parte non trascrive il ricorso introduttivo del giudizio nella sua interezza, ma si limita a riportare un brevissimo stralcio, dal quale non è consentito desumere la causa petendi: ciò in palese violazione dell’onere prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

12.2. Tale omissione, invero, da un lato, non consente di valutare ex ante la veridicità dell’assunto circa l’effettiva proposizione ed il contenuto della domanda, dall’altro, impedisce a questa Corte di valutare la natura, l’ampiezza e l’autonomia della domanda, nel senso della sua ricollegabilità ad una causa petendi autonoma rispetto alla domanda avente ad oggetto la conversione del rapporto a tempo indeterminato. L’adempimento di tale onere di specificità si imponeva con più forte ragione dal momento che la corte territoriale ha espressamente escluso che sia mai stata proposta la domanda avente ad oggetto le differenze retribuite maturate per effetto dell’anzianità di servizio comprensiva dei periodi di lavoro a tempo determinato e in applicazione del principio di non discriminazione (pagina 11 e 12 della sentenza).

12.3. Era pertanto onere della parte trascrivere non solo l’atto introduttivo del giudizio, ma anche la sentenza di primo grado che avrebbe omesso di pronunciarsi sulla suddetta specifica domanda, la memoria difensiva di appello con cui sarebbe stata censurata tale omissione (sull’autonomia della domanda avente ad oggetto le differenze retributive rispetto alla domanda risarcitoria, v. Cass. 27/12/2019, n. 34546).

14.- In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. La complessità della questione giuridica, risolta sulla base della pronuncia della Corte di Giustizia intervenuta in corso di causa, giustifica la integrale compensazione delle spese dell’intero processo.

La parte ricorrente è comunque tenuta al versamento dell’ulteriore importo pari al contributo unificato versato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2021

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