Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8598 del 07/05/2020

Cassazione civile sez. I, 07/05/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 07/05/2020), n.8598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32756/2018 proposto da:

K.A., elettivamente domiciliato in Padova, vicolo M.

Buonarroti, n. 2 int. 3, presso lo studio dell’avv. M. M. Bassan,

che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), Procuratore Generale Repubblica

Corte Di Cassazione;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

25/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/10/2019 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Venezia ha respinto il ricorso proposto da K.A., cittadino (OMISSIS), avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale sia come “rifugiato” che nella forma della protezione sussidiaria che di quella umanitaria. Il richiedente ha riferito di aver avuto una storia con una ragazza che tuttavia, fu costretta dalla famiglia a sposare un altro uomo, dal quale scappò e il marito accusò il ricorrente e i suoi amici di averla aiutata a scappare. Fu convocato dalla Polizia in più occasioni, ma all’ultima convocazione non rispose perchè alcuni suoi amici che erano accusati come lui di averla nascosta, erano stati incarcerati e, quindi, prima si nascose e poi lasciò il Mali.

Contro il decreto del medesimo Tribunale è ora proposto ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione del Tribunale: (i) sotto un primo profilo, per errata motivazione sulla credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto, erroneamente, il tribunale aveva ritenuto il ricorrente non credibile, e ciò, perchè non aveva rispettato i parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e senza che le contraddizioni rilevate fossero effettivamente tali; (ii) sotto un secondo profilo, per mancata valutazione di un documento decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (rectius 5), consistente nella convocazione del ricorrente davanti alla polizia di Diakon volto a provare il pericolo di persecuzione a danno del richiedente asilo e ciò perchè renderebbe fondato il suo timore di essere arrestato nel suo paese; (iii) sotto un terzo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 14, lett. b) e c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, per mancato riconoscimento della protezione sussidiaria; (iv) sotto un quanto profilo, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3), ovvero in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h-bis (protezione speciale o in casi speciali, ex D.L. n. 113 del 2018 e s.m., in caso di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. cit.), per mancata valutazione della situazione del paese d’origine del richiedente (Mali) ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il primo motivo è inammissibile, perchè propone censure di merito, sulla valutazione della credibilità del richiedente asilo da parte del tribunale, che è un accertamento di fatto, di per sè incensurabile nella presente sede.

Il secondo motivo, in disparte l’inammissibilità delle censure sulla valutazione del materiale istruttorio (Cass. n. 11892/16), è inammissibile, perchè non spiega come una convocazione da parte della polizia possa assurgere a indice sintomatico del pericolo di persecuzione e rendere fondato il timore di essere perseguitato nel proprio paese.

Il terzo motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, va rappresentata dal ricorrente come minaccia grave e individuale alla sua vita, sia pure in rapporto alla situazione generale del paese di origine, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità” (Cass. n. 32064/18, 30105/18), se non per omesso esame o motivazione apparente.

Nella specie, va, in primo luogo, confermata la statuizione di mancato riconoscimento dei presupposti dello status di rifugiato, non sussistendo la dedotta violazione di legge, in quanto, dalla vicenda narrata dal richiedente, non è possibile ravvisare il timore di persecuzione di cui alla convenzione di Ginevra del 1951 e dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2.

In riferimento alla protezione sussidiaria, il giudice del merito ha evidenziato le contraddizioni di una storia sentimentale, che sfocia nell’accusa di aver agevolato la fuga della donna amata ma che era andata in sposa a un altro uomo, da cui deriverebbe il pericolo di essere incarcerato da parte della polizia, sulla base di un ordine di comparizione dell’Autorità, che il ricorrente avrebbe esibito in originale. Mentre, il tribunale, sulla base di fonti informative aggiornate, ha dato atto che anche il sud del Mali è interessato da scontri violenti, tuttavia, il ricorrente non ha dedotto e allegato come la propria situazione personale possa essere in qualche modo associata alla situazione d’insicurezza generale del paese, non essendo presente nel sud del paese una situazione di violenza indiscriminata che possa comportare una minaccia “grave e individuale”.

Il quarto motivo, in riferimento alla protezione umanitaria, è inammissibile, in quanto, la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dal Tribunale che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione; infatti, nel caso di specie, il giudice del merito ha accertato l’assenza di situazioni di vulnerabilità “individualizzata e specifica”, anche tenendo conto delle attività formative e di lavoro svolte dal richiedente nel periodo di accoglienza. La mancata predisposizione di difese scritte da parte del ricorrente, esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2020

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