Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8595 del 14/04/2011

Cassazione civile sez. I, 14/04/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 14/04/2011), n.8595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12357/2009 proposto da:

C.A. ((OMISSIS)), M.L.

((OMISSIS)), B.G. ((OMISSIS)), D.

A.B. ((OMISSIS)) B.I.

((OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANDREA

DORIA 48, presso lo studio dell’avvocato ABBATE Ferdinando Emilio,

che li rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto nei procedimenti riuniti iscritti ai nn. 51057,

51069, 51070/2006 R.G.A.D. della CORTE D’APPELLO di ROMA del 9/07/07,

depositato il 26/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito l’Avvocato Roda Ranieri, (delEga avvocato Ferdinando Emilio

Abbate), difensore dei ricorrenti che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE che nulla

osserva.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che B.G., D.A.B., M.L., B.I. ed C.A., con ricorso del 9 maggio 2 009, hanno impugnato per cassazione – deducendo tre motivi di censura, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, il decreto della Corte d’Appello di Roma depositato in data 26 marzo 2008, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dei predetti ricorrenti – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Presidente del Consiglio dei Ministri – il quale ha concluso per l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare a ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 7.000,00 a titolo di equa riparazione, ed ha liquidato le spese del giudizio, determinandole in Euro 2.150,00, di cui Euro 1.250,00 per diritti ed Euro 900,00 per onorari;

che resiste, con controricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 10.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 2006 era fondata sui seguenti fatti: a) gli odierni ricorrenti, aspiranti all’adeguamento triennale dell’indennità giudiziaria, avevano proposto – con ricorso dell’aprile 1993 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza del 9 dicembre 2004;

che la Corte d’Appello di Napoli, con il suddetto decreto impugnato – detratti tre anni di ragionevole durata del processo presupposto – ha liquidato per i residui sette anni di irragionevole ritardo, a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale, la somma di Euro 7.000,00, sulla base di un parametro annuo di Euro 1.000,00.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni -, vengono denunciati come illegittimi: a) la considerazione del periodo eccedente la ragionevole durata del processo presupposto di soli sette anni, anzichè di otto anni ed otto mesi; b) la affermata decorrenza degli interessi sul liquidato indennizzo dalla data del decreto, anzichè dalla data della proposizione della domanda di equa riparazione; c) la violazione dei minimi tariffari forensi nella liquidazione delle spese di giudizio di merito;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito indicati;

che, in particolare, la censura sub a) è manifestamente fondata, perchè – mentre la durata complessiva del processo presupposto è stata di undici anni ed otto mesi il periodo residuo di irragionevole durata, previa la pacifica detrazione di tre anni di ragionevole durata, ammonta ad otto anni ed otto mesi e non, come immotivatamente affermato dai Giudici a quibus, a sette anni;

che, infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte, L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), con una chiara scelta non incoerente rispetto alle finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di correlare l’indennizzo al solo periodo eccedente la ragionevole durata di tale processo, eccedente cioè il periodo di tre anni per il giudizio di primo grado, quale quello di specie (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 8714 del 2006, 14 del 2008, 10415 del 2009);

che le censura sub b) e sub c) sono conseguentemente assorbite;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado e di due anni per il giudizio d’appello, è equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che, in applicazione di tale principio, a ciascuno dei ricorrenti spetta l’indennizzo di Euro 8.000,00 per gli otto anni ed otto mesi di irragionevole durata del giudizio presupposto, oltre gli interessi a decorrere dalla data di proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, ai fini della liquidazione delle spese processuali, il processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, nè rientra tra quelli speciali di cui alla tabelle A) e B) allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127 (rispettivamente voce 50, paragrafo 7 e voce 75, paragrafo 3), per tali dovendo intendersi, ai sensi dell’art. 11 della tariffa allegata a detto decreto ministeriale, i procedimenti in camera di consiglio ed in genere i procedimenti non contenziosi (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 25352 del 2008);

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 2.250,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 1.000,00 (Euro 600,00+Euro 400,00 per gli altri quattro ricorrenti) per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisene antistatari;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 8.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore delle parti ricorrenti, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 2.250,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 1.000,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisene antistatari, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dello stesso avv. Abbate, dichiaratosene antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2011

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