Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8594 del 07/05/2020

Cassazione civile sez. I, 07/05/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 07/05/2020), n.8594

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23317/2018 proposto da:

A.K.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via del

Casale Strozzi 31, presso lo studio dell’avvocato Barberio Laura,

rappresentato e difeso dall’avvocato Tartini Francesco;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/10/2019 dal Cons. Dott. ACIERNO MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Venezia ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale proposta dal cittadino (OMISSIS) A.K.A..

Il ricorrente ha dichiarato di essere fuggito dal proprio paese di origine per non subire le minacce e ritorsioni dei parenti di un uomo, ucciso accidentalmente durante il taglio di un albero. Ha inoltre precisato di essere ricercato anche dalle autorità di polizia e di aver riscontrato telefonicamente che anche gli amici che lo avevano aiutato a fuggire avevano subito a loro volta minacce.

Il Tribunale in relazione al rifugio politico ha escluso che la vicenda narrata potesse ricondursi ad una ipotesi di persecuzione legata alle ragioni indicate dal paradigma normativo. In relazione alle ipotesi di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ha affermato che il racconto non è credibile presentando diversi profili d’inverosimiglianza, quali il trasporto del cadavere a casa del ricorrente e la fuga riuscita nonostante si fosse creata una folla aggressiva contro di lui oltre al fatto che la vittima era proprietaria del terreno e non si era accorta che si stavano tagliando alberi nelle vicinanze.

Infine, è stato sottolineato il mancato assolvimento all’onere della prova in relazione ad un eventuale procedimento penale a suo carico od ad altri riscontri documentali relativi ai fatti descritti che i familiari e gli amici rimasti in Nigeria avrebbero potuto recapitargli.

In relazione dell’art. 14, lett. c), viene dedotto che sulla base delle indagini svolte non si prospetta nell’Edo State una condizione di violenza indiscriminata dovuta ad un conflitto interno.

In relazione alla protezione umanitaria viene rilevato il difetto allegativo in relazione alle condizioni di vulnerabilità effettiva sotto il profilo specifico della violazione e dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili.

Il cittadino straniero ha proposto ricorso per cassazione. Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Preliminarmente vengono prospettate due eccezioni d’illegittimità costituzionale, l’una relativa alla ingiustificata disparità di trattamento ed irragionevolezza derivante dall’eliminazione del grado d’appello in una controversia avente ad oggetto diritti fondamentali ed averlo, invece, conservato per numerose cause “bagatellari”. La seconda riguarda l’insussistenza dei requisiti di necessità ed urgenza in relazione al D.L. n. 13 del 2017.

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto manifestamente infondate entrambe le eccezioni con orientamento, ormai consolidato, che il Collegio condivide così massimato:

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione.(Cass. 27700 del 2018).

In relazione alla seconda eccezione il rigetto è stato così massimato:

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime.(Cass. 17717 del 2018 ed anche 28119 del 2018). Nel primo motivo di ricorso viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo dovuto a travisamento della prova consistente nell’avere, il Tribunale, ritenuto che la vittima fosse proprietaria del terreno ove si trovava l’albero abbattuto. Dal racconto del ricorrente non emergeva questo elemento ritenuto decisivo ai fini del difetto di credibilità. La censura è inammissibile dal momento che il difetto di credibilità è stato desunto dal Tribunale da una pluralità di fattori, tra i quali quello contestato, incidenti con pari decisività sulla valutazione finale. Nel secondo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 27, per avere il Tribunale fondato il proprio giudizio di non credibilità sul mancato assolvimento dell’onere della prova da parte del ricorrente, in relazione ad elementi di fatto che non potevano essere acquisiti nell’immediatezza della fuga e comunque incompatibili con la legislazione penale nigeriana. Peraltro, proprio le norme violate prescrivono che è sufficiente la credibilità intrinseca del richiedente asilo secondo i criteri indicati dell’art. 3, comma 5, mentre i riscontri probatori oggettivi possono e devono essere frutto dell’indagine officiosa svolta dal giudice, in relazione a quei fatti che non è stato possibile provare.

Il Tribunale, come già rilevato nel primo motivo, ha desunto il complessivo difetto di credibilità e verosimiglianza del racconto del ricorrente da una pluralità di indici, prevalentemente legati alla inattendibilità e contraddittorietà intrinseca della vicenda sia in relazione al fatto e all’imprevedibilità della caduta dell’albero, sia in relazione alla fase successiva alla morte. Il mancato assolvimento dell’onere della prova costituisce un profilo concorrente ma non esclusivo, avendo il Tribunale ritenuto che la totale mancanza di riscontri probatori non fosse esclusivamente attribuibile all’impossibilità di procurarne ma fosse connessa all’inattendibilità complessiva del racconto. Ne consegue che, se pur astrattamente può condividersi la censura laddove sottolinea la sufficienza della credibilità intrinseca e l’illegittimità di una valutazione di non credibilità che si fondi soltanto sulla mancanza di riscontri probatori, tuttavia nel caso di specie, il giudizio, prevalentemente fondato sull’esame di fatti e sulla loro coerenza od incoerenza intrinseca, non ha questo esclusivo fondamento e sul profilo di non credibilità prevalente, quello relativo all’inattendibilità logica del racconto, non vi è censura specifica e, comunque, si tratta di un giudizio inerente al merito, non sindacabile se non nel limitato ambito dell’omesso esame di un fatto decisivo, neanche adombrato in concreto nella fattispecie, dovendosi, peraltro, rilevare che la giustificazione argomentativa al riguardo è del tutto adeguata.

Nel terzo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione al rigetto della protezione umanitaria. Si lamenta in particolare che non è stata considerata la situazione d’insicurezza ed instabilità politica della Nigeria.

La censura è inammissibile perchè non coglie appieno le rationes decidendi contenute nella pronuncia impugnata, nella quale si esclude per un verso, il raggiungimento di un livello d’integrazione sufficiente a determinare la comparazione con la situazione oggettiva e per l’altro che vi sia una situazione di vulnerabilità effettiva sotto il profilo della violazione dei diritti umani, così dando atto dell’esame delle COI menzionate a proposito dell’esclusione dell’ipotesi di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

In conclusione il ricorso deve ritenersi inammissibile.

All’inammissibilità del ricorso consegue l’applicazione del principio della soccombenza in relazione alle spese processuali.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte contro ricorrente da liquidarsi in Euro 2100 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Non ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, in relazione all’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso principale, ove dovuto, salvo che non sia intervenuta revoca dell’ammissione a patrocinio a spese dello Stato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2020

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